Il fallimento dell'avventura palestinese
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Yehudit Weisz)
Abu Mazen Mordechai Kedar
Recentemente ci sono state molte voci su progetti di smantellamento dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp), in particolare da parte di Abu Mazen, per ritornare all’epoca precedente gli Accordi di Oslo del 1993, quando Israele era responsabile di tutti i territori di Giudea e Samaria, comprese le città arabe.
Circa un mese fa, nel marzo 2012, si è tenuta una conferenza al Cairo con esponenti egiziani e palestinesi di primo piano per discutere su questo tema come una seria possibilità, “perché al momento non c’è una soluzione politica all’orizzonte”.
Le questioni affrontate sono state: chi ha l’autorità di decidere lo smantellamento dell’AP, e se i vantaggi di una simile mossa sarebbero stati superiori agli svantaggi. Secondo i partecipanti l’Autorità Palestinese ha fallito perché non ha ottenuto un totale ritiro israeliano da tutti i territori “occupati”nel 1967, e non è riuscita a imporre a Israele il “diritto al ritorno” dei rifugiati.
Ibrahim Hamami, direttore del Centro per gli Affari Palestinesi a Londra, che aveva partecipato alla conferenza, ha dichiarato: “L’Autorità Palestinese era stata istituita per ottenere, mediante continue negoziazioni, la fine dell’occupazione, tuttavia i palestinesi non ne hanno tratto alcun beneficio,
anzi. Hanno dovuto registrare perdita di territori e affrontare le difficoltà dei blocchi stradali.
Un motivo in più per smantellare l’Autorità Palestinese è il timore israeliano del deteriorarsi della propria sicurezza che si verificherebbe in Israele per la mancanza di organismi palestinesi addetti al controllo”.
Con queste affermazioni, Hamami sostiene che tutta la ragion d’essere dell’attività degli organismi palestinesi per la sicurezza si riduce a rafforzare quella di Israele, scalzando così la legittimazione dell’esistenza dell’ Anp. Hamami sostiene che sei anni fa, nel 2006, Abbas aveva già accennato alla possibilità di smantellare l’ Anp dopo che l’esercito israeliano aveva fatto irruzione nel carcere di Gerico e aveva arrestato Ahmed Sadat e i suoi complici. Da allora risorge l’ipotesi dello scioglimento dell’ Anp, ogni volta che Abbas è in crisi con Israele. Il risultato è che i portavoce palestinesi non hanno alternative, possono solo incolpare Israele per il loro fallimento.
E’ una valutazione semplice e quindi facile da capire per un Occidente che la berrà tranquillamente, non avendo alcuna conoscenza approfondita dei problemi del Medio Oriente in generale, e della questione israelo-palestinese in particolare. I
n realtà l’Autorità palestinese non ha mai avuto una sola possibilità di avere successo, a causa dei problemi innati che derivano dalla natura stessa della cultura politica mediorientale.
Esaminiamone alcuni.
1. Il problema fondamentale di uno stato arabo moderno è quello della sua legittimità a esistere come Stato, soprattutto perché non riflette un’unità etnica ben definita, e quindi non è uno stato-nazione inteso in senso europeo, come ad esempio i paesi europei. Tradizionalmente, non esiste un “popolo siriano”, un “popolo giordano”, un “popolo libanese”, o un “popolo sudanese”. Esiste un “popolo arabo”, diviso in tribù, clan, gruppi religiosi, e sette. Gli stati arabi come Siria, Giordania, Libano e Sudan sono creazioni del colonialismo, che arbitrariamente aveva diviso la nazione araba, senza alcun riguardo all’aspetto demografico.
Anche l’Anp soffre di questo problema poiché - per tradizione – non è mai esistito un “popolo palestinese”, e non c’è traccia di tale entità in alcun libro nè giornale stampato prima del 1920, prima che la zona dello “Sham” (la Grande Siria) fosse stata divisa in quattro unità politiche: Siria, Libano, Giordania, e Palestina-Israele.
2. La maggior parte del “popolo palestinese”, la colletività virtuale su cui si ritiene sia stata costruita l’idea di uno Stato palestinese, discende da immigrati che giunsero nell’area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, tra la seconda metà del 19° e il 20°secolo. L’impero ottomano, il Mandato britannico e i villaggi ebraici che si erano stabiliti nel pre-stato di Israele erano un’attraente fonte di sostentamento per i lavoratori immigrati, provenienti dalle zone circostanti. Molti egiziani erano emigrati in Terra d'Israele negli anni intorno al 1860 per sfuggire ai lavori forzati necessari per gli scavi del canale di Suez. Pertanto ancora oggi, molti “palestinesi” hanno nomi come “Al-Masri” (l’egiziano), “Masarwa” (egiziani) e “Fayoumi”, nomi che indicano la loro provenienza dall’Egitto. Altri si chiamano “Al-Haurani”, sono quelli che i britannici avevano portato da Houran, in Siria, per lavorare principalmente nel porto di Haifa. La gente che vive nel villaggio di Jisr al-Zarqa era giunta dal Sudan, non partecipò nel 1948 alla Guerra d’indipendenza, ed è rimasta nel suo insediamento, tra Cesarea e Ma’agan Michael. I geografi europei che visitarono la Terra d’Israele nel 19° secolo, come il Comitato Internazionale d’inchiesta che ha operato nella prima metà del 20° secolo, avevano documentato la presenza di gruppi immigrati da Iran, Afganistan, Yemen, Iraq, Nord Africa e Balcani, che risiedevano in Israele. I residenti di Rehania e Kfar Kama, due villaggi della Galilea, sono dei circassi del Caucaso. Il clan dei Booshank che risiede a Kfar Manda, ha origini bosniache. Tutti i residenti del Negev, la maggior parte dei residenti nella Striscia di Gaza e alcuni che vivono sul Monte Hebron, sono beduini, che per secoli hanno errato tra i deserti del Sinai e del Negev, la Giordania e l’Arabia Saudita. Il loro dialetto saudita testimonia chiaramente il paese d’origine. Alcuni Armeni - che sono cristiani - fuggirono in Israele dalla Turchia negli anni 1915-1918, a causa del genocidio che i turchi perpetrarono contro di loro. Di conseguenza, la maggior parte dei “palestinesi” è un popolo misto, sono diversi gruppi la cui origine non è la Terra d’Israele.
3. Lo Stato arabo moderno, sin dal suo inizio, ha fallito e continua a fallire nel suo principale obiettivo: insinuarsi nel cuore dei cittadini e prendere il posto della loro tradizionale lealtà alla tribù, al gruppo etnico (come curdi, turcomanni, arabi), alle comunità religiose (come musulmani, cristiani, drusi, alawiti) o alle sette (sunniti, shiiti). Una persona si definisce “irachena” o “siriana” solo se sente di appartenere a un sistema di governo o ne gode dei vantaggi economici o politici. Nessuno diventerebbe cittadino di uno stato, non dedicherebbe tempo, benessere, e certamente non la vita, per un sistema di governo se sentisse che non lo rappresenta.
Questo è evidente nel caso palestinese, vista la mancanza di un esercito di volontari. Tutti i dipendenti dell’Autorità palestinese, in particolare quelli che lavorano nell’apparato della sicurezza, sono stipendiati, e servono il governo solo perchè ricevono uno stipendio, per nient'altro, perchè non vedono nell’Anp qualcosa che rappresenti la loro coscienza collettiva. Senza il flusso di fondi, l’Anp non sarebbe mai in grado di pagare gli stipendii dei propri dipendenti, crollerebbe, e questo porta alla chiara conclusione che l’Anp non è considerata come uno Stato che rappresenta i propri cittadini, ma piuttosto un padrone che provvede agli stipendi dei propri dipendenti.
4. Uno dei risultati del fallimento dell’avventura palestinese è la rottura tra Gaza e Ramallah. Da un punto di vista storico il legame tra questi due centri della popolazione araba, è piuttosto debole, non più forte del legame tra altri due centri qualsiasi di popolazione in Medio Oriente. Tra il 1948 e il 1967, la Striscia di Gaza fu sotto occupazione egiziana, mentre la Città Vecchia di Gerusalemme, la Giudea e la Samaria, furono sotto l’occupazione giordana. Questi due stati reagirono con mano ferrea ad ogni tentativo fatto dai residenti di queste due aree per liberarsi dall’occupazione. L’idea di uno “Stato palestinese”che voglia riunire la Striscia di Gaza con la Giudea e la Samaria, è nuova, ed ebbe origine dopo il 1967, dall’incontro tra la sinistra israeliana e l’inganno arabo, che turlupinò alcuni illusi ebrei pronti a credere che gli arabi sarebbero venuti ad un accordo con lo Stato ebraico all'interno della linea del “cessate il fuoco” del 1967, nota come “Linea verde”.
5. L’Anp fu definita inizialmente come un’ entità politica, uno “stato in fieri”, per gli Arabi che vivono in Giudea, Samaria e Gaza. Ma questa definizione è una totale contraddizione rispetto alla moderna propaganda araba che pretende come “palestinesi”, oltre a coloro che vivono in Giudea, Samaria, e Gaza, anche tutti gli Arabi che risiedono all’interno di Israele come cittadini dello stato ebraico, e anche gli immigrati e i rifugiati che vivono nei campi profughi e al di fuori di essi, in Giordania, Siria,Libano e in molti altri stati. Non si instaurò mai alcun collegamento o legame tra OLP, l’organizzazione che diede origine all’ Anp, e i gruppi, definiti oggi come “palestinesi”, che vivono fuori della Giudea, Samaria e Gaza, dato che sin dalla sua formazione nel 1964 l’OLP ha dichiarato di essere “il solo e legittimo rappresentante per la Palestina”.
Allora, se così stanno le cose, qual'è la funzione dell’OLP in Giordania, dove i palestinesi sono la maggioranza? O in Siria (specialmente oggi), o in Libano? Quale sarebbe il significato della formazione di uno stato arabo in Giudea, Samaria e Gaza per i palestinesi che vivono come cittadini di altri stati ? Come potrebbe questo stato risolvere i problemi dei “palestinesi” della diaspora, quelli che in altri paesi non fanno parte delle tribù locali?
6. Dal momento che non fu mai data alcuna risposta a questa domanda, l’OLP ha inventato una risposta, sempre la stessa, ma non realizzabile: “il diritto al ritorno”, ossia una soluzione attraverso una parte terza: gli arabi “palestinesi” che sono nati in Stati arabi, vi hanno vissuto, si prefiggono Israele come obiettivo, nonostante il fatto che nella storia non sia mai avvenuto che la creazione di uno Stato comporti il trasferimento di milioni di persone verso uno Stato che non mai stato il loro.
Ciò che è implicito nel ”diritto al ritorno” è che l’OLP e lo “ stato in fieri” che ha fondato, esclude dalle proprie responsabilità la soluzione del problema dei palestinesi della diaspora. Perciò, ogni volta che sembrava vicina una possibile soluzione tra Israele e l’OLP, Arafat e più tardi Abu Mazen, si sono recati in visita obbligata ai rifugiati in Libano e in Siria, in modo da calmare le proteste e per ricordare che non li stavano dimenticando, che i loro problemi non erano stati dimenticati dall’OLP. Dato però che la loro credibilità era crollata, si sono formate in questi campi organizzazioni come Hamas e il Fronte per la Resistenza, in opposizione al processo politico tra Israele e l’OLP.
7. L’OLP non ha mai definito in modo chiaro e deciso le proprie relazioni con Israele in quanto Stato del popolo ebraico. Nonostante la firma degli Accordi di Oslo, i media “palestinesi” non hanno mai smesso di riferirsi a Galilea, Haifa, Acri, Giaffa e Be’er Sheva – tutti in Israele – come parti della “Palestina”.
Anche ora, la carta geografica dell’OLP include la Palestina nella sua interezza. C’è sempre stato un doppio messaggio: noi parliamo con Israele, ma Israele non esiste perché esiste la Palestina. Così si comporta anche il sistema scolastico palestinese: Israele non compare nei libri come uno stato legittimo; così è anche nelle rappresentazioni pubbliche: tutti i disegni e le illustrazioni della Palestina vanno dal mar Mediterraneo al fiume Giordano, senza alcuna menzione di Israele.
Questa situazione ha creato una dissonanza cognitiva tra molti Arabi così come da parte israeliana: come possono i “palestinesi “ parlare di uno stato in Giudea, Samaria e Gaza, ma nello stesso tempo rappresentare la “Palestina” come un tutt’uno dal Mediterraneo al Giordano, che include anche Israele ?
8. Lo Statuto Nazionale Palestinese stabilisce al punto 1 che “ la Palestina è la patria del popolo palestinese; essa è parte inseparabile della nazione araba”. Questa enunciazione è diventata la versione ufficiale della propaganda palestinese, che esprime le aspirazioni dei “palestinesi”.
La sezione 2 dello Statuto stabilisce che “La Palestina, secondo i confini stabiliti durante il periodo del Mandato britannico, è un’ unità territoriale indivisibile”. Quest’ asserzione nega l’esistenza dello stato di Israele ( e forse persino dello stato di Giordania). Questa sezione non è mai stata cambiata. A seguito della firma degli Accordi di Oslo a Israele fu detto in un documento ambiguo che le sezioni che contraddistinguono gli accordi di pace non sono più operativi, ma lo Statuto stesso non fu mai modificato. E’ questa discrepanza che fa sorgere negli israeliani la percezione che i palestinesi parlano della creazione di uno stato in Giudea, Samaria e Gaza, ma la loro vera intenzione è che alla fine del processo, lo Stato palestinese sarà realizzato esattamente come previsto.
9. Arafat, seguito dai vari capi dell’OLP, fece un errore strategico enorme, quando decise che Gerusalemme doveva essere la capitale dello Stato palestinese. Oltre a deludere molti ebrei che, nonostante il loro desiderio di giungere a una pace con gli arabi, non volevano rinunciare a Sion, la pietra fondante del popolo ebraico, per cui hanno pregato durante i 1900 anni di esilio. La richiesta di avere Gerusalemme è relativamente nuova perché lo Statuto palestinese – sia nella versione del 1964 così come in quella del 1968 – non fa alcuna menzione a Gerusalemme. E’ interessante notare che anche lo Statuto di Hamas del 1988 non parla di Gerusalemme come capitale della Palestina. Inoltre non c’è nessuna base storica per cui la Palestina rivendichi Gerusalemme come capitale, dato che questa città non è mai stata capitale di uno stato o di una provincia islamica. La capitale del “Distretto della Palestina”dopo la conquista Islamica del 637 E.V. fu la città di Ramla, 30 km a ovest di Gerusalemme. E, giusto per un confronto, Gerusalemme nella Bibbia ebraica è nominata centinaia di volte e nel Corano islamico nemmeno una volta sola. Il popolo di Israele è citato centinaia di volte nel Corano, mentre il popolo palestinese – come Gerusalemme – nemmeno una volta.
La richiesta di Gerusalemme capitale palestinese ,priva di basi storiche, ha spinto milioni di Cristiani nel mondo a garantire a Israele un sostegno senza riserve.
10. Il mondo ha prestato poca attenzione al terrorismo palestinese che infuriava in Israele dopo lo scoppio della Seconda Intifada, alla fine di settembre del 2000, fino all’11 settembre 2001. Con gli attacchi che si succedettero in quel giorno a NY e a Washington, il mondo cominciò a comprendere meglio il terrore con il quale Israele si stava confrontando, perché fino ad allora, non aveva avuto ancora la capacità di capire i problemi di Israele. Solo dopo l’11 settembre 2001, fu presa la decisione di dichiarare Hamas, così come Al-Qaeda, organizzazioni terroristiche, e di boicottare ogni banca o organismo qualsivoglia che li finanziasse. I palestinesi, con a capo Arafat, non capivano come la continuazione del terrorismo dopo l’11 settembre 2001, lavorasse contro di loro e rendesse più facile a Israele classifiacrli come terroristi, il che ha oscurato la loro immagine nel mondo fino a oggi, in modo particolare riguardo a Hamas.
11. Fin dal gennaio 2006, la separazione tra OLP e Hamas non è stata una semplice divisione tra due partiti che siedono insieme nello stesso organo governativo eletto dal popolo. Piuttosto, la separazione ha profonde caratteristiche culturali, perché Hamas, che rappresenta un concetto religioso islamico, vede la suddivisione della nazione islamica in stati, come una divisione colonialista, anti-islamica, con l’obiettivo di frantumare la nazione dell’Islam in tante schegge. L’OLP sta cercando di costruire una moderna, artificiale propaganda del popolo palestinese, sulle orme di quella che agisce in Siria, Iraq e Giordania. Hamas, un movimento religioso, derivante della scuola di pensiero dei Fratelli Musulmani, vede la diffusione delle ideologie nazionaliste come qualcosa contrario all’Islam, questo è il motivo della divisione tra i due movimenti.
Nel giugno 2012 Hamas compirà cinque anni dalla costituzione dello Stato islamico nella Striscia di Gaza, mentre in Giudea e Samaria, l’OLP non è riuscita a creare un organo di governo che abbia qualche possibilità di sopravvivere senza il sostegno dello Stato di Israele. Chiunque sia coinvolto con quel che sta accadendo in Giudea e Samaria, arabi o ebrei che siano, sa che Hamas prenderà prima o poi il controllo di Giudea e Samaria, se l’esercito israeliano dovesse abbandonare l’area.
12. Nell’arco del 2011, sin dall’inizio della “Primavera araba”, il mondo arabo ha dimenticato il problema palestinese, perché gli eventi in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Siria hanno prevalso su giornali, stazioni radio, canali televisivi e schermi dei computer. Il mondo arabo ha voltato le spalle ai palestinesi e ai loro problemi, e li ha rimossi dalle iniziative pubbliche. Questo è il motivo per cui i palestinesi, lo scorso settembre, hanno richiesto all'Onu il riconoscimento dello Stato. Il susseguirsi degli avvenimenti in Egitto e in Siria, ampiamenti illustrati nei media arabi, hanno spinto l'OLP a cercare di nuovo alleati a livelli internazionali, in regioni dove non esiste neppure la minima informazione sul medio oriente, e dei problemi che affliggono gli Stati arabi. Esiste nel mondo, e anche in Israele, una speranza, che se i palestinesi otterranno il loro Stato, questo sarà sufficiente perché accettino Israele come uno stato legittimo con il diritto di esistere in pace e sicurezza, Hamas siederà con l’OLP attorno al fuoco e canterà gli inni palestinesi in armonia e i figli di Hebron prenderanno per mogli le figlie di Nablus. Nessuno è disposto però si chiede come reagirà il mondo quando lo Stato palestinese, con contiguità territoriale in Giudea e Samaria, si trasformerà in uno Stato governato da Hamas? E’ interessante constatare come gli israeliani dai cuori sanguinanti, pieni di ingenua speranza nella pace nonostante le deludenti esperienze del passato, sembrino non averne avuto abbastanza, e non prendano questa domanda neppure in considerazione.
Da quanto abbiamo scritto si arriva a una conclusione. Il progetto nazionale palestinese avrebbe dovuto creare un popolo palestinese sul quale fondare la creazione di un loro Stato. Un progetto che si è risolto in un totale fallimento. Ci crede solo una piccola minoranza intellettuale, che si è liberata dalla mentalità tribale. Pertanto Israele e il mondo devono cercare una diversa soluzione. Per esempio la soluzione degli otto stati, che abbiamo presentato di recente, e che si basa sulla creazione di otto città-stato arabe: una a Gaza che già esiste, e che è viva e vegeta da cinque anni; altre sette in ciascuna delle città arabe in Giudea e Samaria: Jenin, Nablus, Tulkarm, Qalqilya, Ramallah, Gerico e la parte araba di Hebron. Israele deve continuare a proteggere le aree rurali in Giudea e Samaria, in modo che non diventino postazioni di Hamas.
Così come agli arabi residenti a Gerusalemme, che hanno la possibilità di avere la cittadinanza israeliana - anche se, secondo molti sondaggi d’opinione pubblica, preferiscono vivere sotto Israele piuttosto che sotto qualsiasi controllo arabo - Israele dovrebbe offrire la cittadinanza israeliana, come dovrebbe fare anche con gli arabi residenti in Giudea e Samaria.
Il mondo si deve svegliare e prendere atto della realtà, leggere l’”Alfatiha”- il primo capitolo del Corano, che è simile al “Kaddish” ebraico e al “Requiem” cristiano - all’Autorità Palestinese, e non trattare più con i suoi ufficiali corrotti, arrivati dalla Tunisia, quei luogjhi dove erano stati cacciati da Rabin (possa riposare in pace) e Peres (a lui, lunga vita), guidati e ingannati dal Premio Nobel, il grande assassino, il bugiardo compulsivo, Yasser Arafat.
Pensavano che Arafat sarebbe stato in grado di gestire Hamas senza l'aiuto della Corte Suprema o delle organizzazioni per i diritti umani, ma ciò che oggi sta accadendo rivela che è Hamas ad aver prevalso sull'OLP (Gaza, sin dal 2007) e anche in Israele, a Sderot, Ashkelon, e l’area che circonda Gaza, i problemi continuano, senza che la Corte Suprema o gli Organismi per i Diritti umani trovino una soluzione, dovendo affrontare i vari Goldstone e il perenne pregiudizio delle Nazioni Unite e della maggior parte del resto del mondo.
Lo sciogliemnto dell’Autorità Palestinese in otto città-stati arabe, basate sulle diverse tribù locali che vivono in queste città, è una condizione necessaria per la pace, affinchè Israele e i suoi vicini arabi possano prosperare.
Israele e il mondo devono accoglierere la proposta di Abu Mazen di andarsene come una benedizione.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
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