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La Repubblica Rassegna Stampa
12.03.2012 Il programma nucleare iraniano va bloccato
Secondo David Grossman sarebbe un errore attaccare, ma quale sarebbe la soluzione allora ?

Testata: La Repubblica
Data: 12 marzo 2012
Pagina: 1
Autore: David Grossman - Fareed Zakaria
Titolo: «Israele, non colpire Teheran - Kissinger: Per negoziare bisogna dare legittimità al regime degli ayatollah»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 12/03/2012, a pag. 1-27, l'articolo di David Grossman dal titolo " Israele, non colpire Teheran " preceduto dal nostro commento, a pag. 29, l'intervista di Fareed Zakaria a Henry Kissinger dal titolo "Kissinger: Per negoziare bisogna dare legittimità al regime degli ayatollah".
Ecco i due pezzi:

David Grossman - " Israele, non colpire Teheran "


David Grossman

Il paragone fatto da Grossman tra la guerra in Libano e una potenziale guerra contro l'Iran non regge. Israele non confina con l'Iran, non c'è rischio di occupazione.
Per il resto, Grossman dovrebbe leggere libri di storia per capire cos'è avvenuto negli anni '30. Allontanarsi un po' dai problemi contemporanei farebbe bene anche al suo stile di narratore.
Il pericolo iraniano viene sottolineato anche da Henry Kissinger, che per tutta la vita ha riposto le propria fiducia nella bontà della diplomazia, ma non è tonto come paiono esserlo alcuni romanzieri che praticano poco la storia.
Ecco il pezzo:

Benjamin Netanyahu sta tenendo molti discorsi in questi giorni. Dinanzi ai nostri occhi infiamma i suoi ascoltatori, e anche se stesso, con ricorrenti riferimenti alla Shoah, al destino degli ebrei e delle generazioni future. Di fronte a questa retorica catastrofistica e apocalittica ci si può chiedere se Netanyahu distingua i pericoli reali che Israele deve affrontare dagli echi e dalle ombre dei traumi del passato. Questa è una domanda importante, cruciale, perché una confusione fra le due cose potrebbe condannare Israele a rivivere quegli echi e quelle ombre.
Ovviamente se tutto questo - il pathos, il grande mantice della Shoah - non è che un espediente destinato a indurre il mondo a esercitare pressione sull'Iran,e se l'espediente funzionerà senza che Israele sferri un attacco, allora ammetteremo con gioia che il primo ministro ha compiuto un ottimo lavoro e merita tanti complimenti. Ma se Netanyahu pensa e agisce secondo una visione del mondo ermetica, che oscilla tra i poli della tragedia e della salvezza, ecco che ci troviamo in un ambito di discussione completamente diverso.
Anziché tradurre in maniera monodimensionale l'Israele del 2012 nella Shoah degli ebrei d'Europa dovremmo porci un'altra domanda: è opportuno che Israele, di propria iniziativa, scateni una guerra contro un paese come l'Iran (una guerra dalle conseguenze imprevedibili) per prevenire uno scenario futuro, indubbiamente pericoloso, ma che nessuno è sicuro che si realizzi? In altre parole: Israele dovrebbe rischiare una catastrofe certa nel presente per impedirne una futura? (segue dalla copertina) Èdifficilissimo prendere una decisione oculata in una situazione simile. Sarebbe difficile per qualsiasi leader israeliano e senza dubbio lo sarà per Netanyahu, sul quale agiscono con forza il trauma del passato e quello possibile del futuro. Potrà Netanyahu, nel groviglio di pressioni da lui stesso create e fomentate, trovare un punto di appoggio in un presente ragionevole, lucido e pragmatico? Un presente che non sia parte di un mito tragico e apocalittico che sembra volere ripetersi per noi in ogni generazione? Anche questa è infatti la realtà del presente: già oggi tra Israele e Iran esiste un equiliIran" brio del terrore. Gli iraniani proclamano che centinaia di loro missili sono puntati verso le città israeliane, ed è ipotizzabile che Israele non rimanga a braccia conserte davanti a un simile pericolo. Questo equilibrio del terrore, che a detta degli esperti comprende armi non convenzionali, chimiche e biologiche, finora non è stato violato e nessuno può stabilire con certezza se sarà mantenuto in futuro. Nessuno può nemmeno sapere se armi o capacità nucleari "filtreranno" dall'Iran a gruppi terroristici o se l'attuale regime iraniano sarà sostituito da uno più moderato. Anche il capo del governo, il ministro della Difesa e i membri del gabinetto di sicurezza israeliani che dovranno votare a favore o contro un attacco all'Iran operano, nell'attuale dilemma, sulla base di '' ,, supposizioni, timori, congetture e ansie. Senza sottovalutare l'importanza di congetture e di ansie possiamo ritenere che siano una base solida per un'azione che potremmo rimpiangere per generazioni? Nessuno in Israele è assolutamente certo che tutto il potenziale nucleare iraniano verrà distrutto da un attacco israeliano. Nessuno sa neppure con esattezza quale livello di morte e distruzione una reazione iraniana seminerà nelle città di Israele. Non è superfluo ricordare la sicurezza e l'illusione di conoscenza e di informazioni precise con le quali lo stato maggiore dell'esercito e il governo israeliani affrontarono lo scoppio della seconda guerra del Libano, né il fallimento delle previsioni della prima guerra del Libano a seguito della quale Israele si ritrovò invischiata in un'occupazione di 18 anni. E ci sono altri innumerevoli esempi.
Inoltre, anche se le infrastrutture del potenziale nucleare dell'Iran verranno distrutte, non si potranno cancellare le conoscenze accumulate. Queste conoscenze, e i loro depositari, si risolleveranno dalla polvere e creeranno nuove infrastrutture e questa volta, insieme all'intero popolo iraniano, bruceranno di offesa, di odio sfrenato e di sete di vendetta per la profonda umiliazione subita.
L'Iran, come si sa, non è solo un paese fondamentalista ed estremista. Ampie fasce della sua popolazione sono laiche, colte e progredite. Numerosi rappresentanti del suo vasto ceto medio hanno manifestato con coraggio e a rischio della propria vita contro un regime religioso e tirannico che detestano. Non sto dicendo che una parte del popolo iraniano provi simpatia per Israele ma un giorno, in futuro, queste persone potrebbero governare l'Iran ed essere forse più propense a Israele. Una tale possibilità sfumerebbe tuttavia se Israele attaccasse l'Iran raffigurandosi come una nazione arrogante e megalomane, un nemico storico contro il quale lottare strenuamente, anche agli occhi dei moderati iraniani. Questa eventualità è più o meno pericolosa di un Iran nucleare? E cosa farà Israele se a un certo punto anche l'Arabia Saudita deciderà di volere armi nucleari e le otterrà? Sferrerà un altro attacco? E se anche l'Egitto, sotto il nuovo governo, sceglierà questa strada? Israele lo bombarderà? E rimarrà per sempre l'unico paese della regione autorizzato ad avere armi nucleari? Sebbene questi interrogativi siano già noti e risaputi occorre ripeterli costantemente un attimo prima che le orecchie si otturino nella foga della battaglia: una guerra porterà un vantaggio concreto? Un vantaggio tale da assicurare a Israele una vita tranquilla per molti anni futuri? Un vantaggio tale da far sì che un giorno, forse lontano, lo stato ebraico verrà accettato come legittimo vicino e partner così che l'intera questione delle armi nucleari, israeliane e di altri paesi, risulti superflua? Una risposta legittima a questi interrogativi, difficile da digerire ma che vale la pena di discutere pubblicamente, è che se le sanzioni economiche non indurranno l'Iran a interrompere la produzione di uranio arricchito, e se gli Stati Uniti, per motivi loro, non attaccheranno l'Iran, Israele farebbe meglio a non sferrare un attacco, anche se questo significherà doversi rassegnare, a denti stretti, a un Iran nucleare.
Questa possibilità sarebbe estremamente dura da accettare e la nostra speranza è che le pressioni internazionali la vanifichino. L'eventualità di un attacco israeliano potrebbe però essere altrettanto dura e amara. E siccome non c'è modo di stabilire con certezza se un Iran dotato di armi nucleari attaccherà Israele, Israele non dovrà attaccare l'Iran.
Un simile attacco sarebbe azzardato, sconsiderato, precipitoso e potrebbe cambiare completamente il nostro futuro, non oso nemmeno immaginare come. Anzi, no: lo posso immaginare, ma la mano si rifiuta di scriverlo.
Non invidio il capo del governo, il ministro della Difesa e i membri del gabinetto. Sulle loro spalle pesa una responsabilità indescrivibile. Penso al fatto che in una situazione tanto ambigua e controversa l'unica cosa certa talvolta è la paura. Sarebbe allettante aggrapparvisi, consentirle di consigliarci e guidarci, percepire il palpito familiare che noi israeliani riconosciamo. Sono sicuro che chi è a favore di un attacco all'Iran lo giustifica sostenendo che in questo modo si eviterà la possibilità di un incubo peggiore in futuro. Ma chi ha il diritto di condannare a morte così tante persone solo in nome di un timore che potrebbe non concretizzarsi mai?

Fareed Zakaria - " Kissinger: Per negoziare bisogna dare legittimità al regime degli ayatollah "


Henry Kissinger

Segretario Kissinger, se vogliamo evitare un conflitto con l'Iran sembra che si debba assolutamente trovare una soluzione negoziata. Così come ci fu chi negoziò con i cinesi all'epoca delle follie di Mao, quando guidava contro gli Stati Uniti i movimenti dei guerriglieri e dei rivoluzionari sparsi in tutto il pianeta, e chi poi trattò con i sovietici, e con i vietnamiti perfino all'acme di quella guerra... Le chiedo: come possiamo arrivare a negoziare con Teheran? Esiste secondo lei una strada da seguire che possa portarci a una sorta di soluzione negoziata in Iran? «Non sono contrario all'idea di negoziare.
Anzi, io stesso l'ho fatto quando ne ho avuto l'occasione. Con l'Iran la vera questione non è se dobbiamo o meno negoziare: si tratta di formulare tre domande distinte. Possiamo pensare a una data limite entro la quale svolgere tali trattative? Secondo: esiste un obiettivo preciso da perseguire che possa davvero rispondere alle esigenze? Terzo: è ipotizzabile che in conseguenza di ciò l'Iran riesca a entrare nel sistema internazionale e diventarne un membro responsabile? Si tratta di tre aspetti e tutti molto cruciali».
Osservando la situazione che si è venuta a creare con l'Iran, crede che essa sia a tal punto disastrosa che Israele debba necessariamente colpire militarmente nei prossimi mesi o al più entro al più un anno, un anno e mezzo? «Mi inquieta ciò che riferiscono le cosiddette fonti d' intelligence, secondo le quali non siamo in grado sapere se gli iraniani stanno effettivamente fabbricando armi nucleari. Io credo che dovremmo partire dal presupposto che loro stanno facendo di tutto questo per acquisire una specifica capacità militare. E non credo che su questo punto si possa dissentire. E però.
L'Iran è più isolato che mai. E di conseguenza capisco perché gli israeliani possano pensare che, se colpissero adesso, l'Iran non riceverebbe granché aiuto dalla comunità internazionale». Come negoziatore lei si è rivelato sempre molto bravo a comprendere che la controparte deve ottenere qualcosa nel momento in cui noi otteniamo ciò che vogliamo. Come è possibile farlo con l'Iran, tenuto conto di tutte le questioni di politica interna? Quel che intendo dire, naturalmente, è che loro dovranno fare qualche concessione, ma presumibilmente anche noi dovremo fare altrettanto.
«Loro dicono di essere in apprensione perché i paesi vicini starebbero sviluppando armi nucleari: e questo li porterà sempre a sostenere di essere sotto una minaccia militare e di doversi difendere. Di sicuro noi dovremmo quindi essere disposti a risolvere le loro preoccupazioni qualora in cambio di ciò ottenessimo un'effettiva fine inconvertibile del loro programma nucleare».
Aspetti un momento. Vediamo se ho capito che cosa intende: lei sta dicendo che qualora gli iraniani ponessero fine al loro programma di armamento nucleare e volessero dagli Stati Uniti la garanzia della loro sicurezza, e qualora volessero in un certo senso ritornare nella comunità internazionale, saremmo noi che dovremmo facilitare tale iter? «Sì. Adesso questo governo, quello attuale di Teheran, quello degli ayatollah, ha creato nel paese grande ostilità nei confronti degli Stati Uniti. Il criterio di fondo è capire dunque se riusciranno a decidersi a fare ciò: oppure a sopravvivere nel panorama mondiale che le ho descritto. In ogni caso l'Iran è una nazione importante. E come tale può e dovrebbe trovare una propria collocazione nel sistema internazionale».

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