Israele, niente cittadinanza per via matrimoniale La stessa notizia da due punti di vista
Testata:Il Giornale - Il Manifesto Autore: Redazione del Giornale - Michele Giorgio Titolo: «I palestinesi che sposano un israeliano non potranno più ottenere la cittadinanza»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 13/01/2012, a pag. 17, l'articolo dal titolo " I palestinesi che sposano un israeliano non potranno più ottenere la cittadinanza ". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " La Corte suprema boccia i coniugi palestinesi".
Israele, una legge impedisce ai palestinesi di ottenere la cittadinanza israeliana per il solo fatto di aver sposato un cittadino israeliano. Leggendo la breve del Giornale, chiunque dotato di buon senso riesce a capire la situazione e perchè sia stato preso un provvedimento simile. Buon senso, merce rara negli articoli di Michele Giorgio che, invece, preferisce descrivere la legge in termini di 'discriminazione etnica'. Ecco i due pezzi:
Il GIORNALE - "I palestinesi che sposano un israeliano non potranno più ottenere la cittadinanza"
Tel Aviv Una legge che nega l’estensione automatica della cittadinanza o anche il diritto alla residenza permanente agli sposi palestinesi di cittadini di Israele ( ma la ammette in casi umanitari), è stata approvata dalla Corte Suprema di Gerusalemme al termine di un lungo e sofferto dibattito. Da un lato la difesa dei diritti civili di oltre un milione di arabi israeliani. Dall’altro considerazioni generali di sicurezza dello Stato ebraico. Alla fine sei giudici hanno respinto gli appelli delle organizzazioni per i diritti civili che volevano l’abolizione della legge, approvata «in via provvisoria» nel 2003 quando Israele era impegnato in una lotta spasmodica contro un’ondata di attentati terroristici palestinesi. Altri cinque giudici (fra cui la presidentessa del Corte Suprema, Dorit Beinish) hanno votato per abolire la legge. Sintetizzando il pensiero della maggioranza, il giudice Asher Grunis ha affermato: «I diritti civili non possono essere una ricetta per un suicidio nazionale. Non esiste alcun esempio di un Paese che consenta l’ingresso di migliaia di cittadini di una entità nemica, per qualsiasi fine, durante un periodo di guerra, o di lotta armata». Se le coppie miste israelopalestinesi vogliono vivere in piena armonia «che si trasferiscano nei Territori, o altrove» ha suggerito il presidente della Knesset Reuven Rivlin, del Likud.
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " La Corte suprema boccia i coniugi palestinesi"
Michele Giorgio
«E’ un giorno buio per la protezione dei diritti umani, e per la Corte Suprema israeliana che non è riuscita a difendere un diritto fondamentale dalla tirannia della maggioranza alla Knesset, il parlamento di Israele. Si colpisce la vita di tante famiglie il cui unico peccato è di avere nelle vene sangue palestinese ». Così gli avvocati dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele (Acri), Dan Yakir e Oded Feller, hanno commentato la decisione della Corte Suprema che mercoledì sera ha respinto, con sei voti contro cinque, i ricorsi presentati dalla parlamentare Zehava Galon, dall’Acri e da due organizzazioni per i diritti umani, Adalah eHamoked, contro gli articoli della Legge sulla Cittadinanza che dal 2003 negano agli sposi palestinesi di cittadini israeliani il diritto a diventare cittadini o residenti permanenti in Israele. E’ un divieto che non può esistere in uno Stato democratico, perché nega il ricongiungimento familiare su base etnica. Il solo fatto di essere palestinese fa venire meno il diritto. Eppure i giudici della Corte Suprema, interpretando evidentemente il sentire di un paese sempre più spostato a destra e che si sente sempre più libero da vincoli internazionali, lo ritengono invece un divieto legittimo, perché impedisce che il conferimento della cittadinanza a migliaia di palestinesi dei Territori occupati metta a «rischio», tra decenni, la maggioranza ebraica di Israele. «I diritti umani non sono una ricetta per un suicidio nazionale», ha scritto nella sentenza il giudice Asher Grunis, che prenderà presto il posto di Dorit Beinish (chemercoledì sera si è trovata in minoranza proprio su questa sentenza) alla presidenza della Corte Suprema. La sconfitta della Beinish conferma che i massimi giudici israeliani si stanno piegando sempre più spesso alle pressioni di stampo ultranazionalista che giungono dalla Knesset. «La Corte ha dato legittimità a una legge che attua una discriminazione grave su base etnica. Tutto ciò non ha nulla in comune con la democrazia e il diritto perché rientra nelle politiche che attuano gli Stati autoritari », ha detto al manifesto l’ex ministro dell’istruzione Yuli Tamir. La modifica della Legge sulla Cittadinanza fu presentata nove anni fa come «provvisoria», volta unicamente a impedire che l’ottenimento del passaporto israeliano o della residenza permanente offrisse a militanti di organizzazioni armate il modo per entrare nel paese e compiere attentati. Ora emerge il suo intento discriminatorio. In base alla legge, la cittadinanza israeliana può essere concessa a un palestinese soltanto in pochi casi. I più colpiti sono gli arabi israeliani, cioè palestinesi con passaporto israeliano (circa il 20% degli oltre 7 milioni di cittadini di Israele) che corrono il rischio di dover emigrare per poter tenere unita la famiglia. Un «transfer» silenzioso che potrebbe riguardare in modo particolare migliaia di donne arabe costrette a lasciare Israele e a trasferirsi nei Territori occupati per poter vivere, con i figli, assieme aimariti. Avranno vita più facile i palestinesi collaborazionisti dei servizi di sicurezza israeliani. La legge infatti afferma che il ministero dell’interno è autorizzato a concedere la cittadinanza se il richiedente dalla Cisgiordania si identifica con lo Stato di Israele e che lui o suoi familiari hanno cooperato o dato un contributo alla sua sicurezza. L’anno scorso solo 33 delle 3mila domande di cittadinanza presentate sono state approvate, ha rivelato l’avvocato Sawsan Zaher, che aveva presentato ricorso a nome del gruppo Adalah. Sarebbero oltre centomila invece i palestinesi che negli ultimi venti anni si sono visti accordare i permessi permamenti di residenza e la cittadinanza.
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