Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/01/2011, a pag. 34, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo "Dialogo tra israeliani e palestinesi. La carta giordana e i veti incrociati".
A. B. Yehoshua, Antonio Ferrari, Avraham Burg
Il breve articolo di Antonio Ferrari è quantomeno ambiguo.
Dato che la media dei lettori non sa nemmeno chi sia Avraham Burg - e questo non è grave, visto che la sua figura è del tutto screditata in Israele - attivo sostenitore dello Stato unico binazionale, come tutti quelli che vorrebbero la cancellazione di Israele.
Non a caso la sinistra sionista in Israele ha sempre respinto l'idea di uno Stato unico binazionale.
Ferrari accosta a Burg il nome di A. B. Yehoshua, facendo pensare al lettore che lo scrittore israeliano condivida le sue tesi.
In realtà, Yehoshua, in un articolo dall'eloquente titolo 'Un unwelcome intro to the binational state' pubblicato ieri su Haaretz (http://www.haaretz.com/print-edition/features/an-unwelcome-intro-to-the-binational-state-1.405013), si limita ad analizzare la proposta di uno Stato binazionale non solo non approvandolo, ma facendo capire tutti i pericoli che comporta. Ma dal pezzo di Ferrari questo non si capisce, l'impressione è che Burg e Yahoshua siano d'accordo.
Ecco il pezzo di Ferrari:
Se non altro è una prova di tenacia e buona volontà questo nuovo appuntamento in Giordania tra israeliani e palestinesi, dopo un annodi silenzio provocato dal muro contro muro: i palestinesi pongono la condizione che Israele fermi gli insediamenti; lo Stato ebraico dice no, perché il premier Netanyahu non vuole precondizioni. Ora tocca al re Abdallah II il compito di riprovarci, anche per ricollocare il regno, attraversato dai fermenti delle rivolte arabe, fra gli attori irrinunciabili di ogni possibile accordo fra le parti. Il sovrano ha bisogno di un risultato, non soltanto perché i165 per cento della popolazione del suo Paese è di origine palestinese, ma perché oggi, con le gravi tensioni che stanno provocando pericolosi terremoti politici nella regione, Abdallah si trova strategicamente più vicino ad Israele rispetto al passato. Impossibile non vedere un legame tra il nuovo impegno politico del re e la sfida dell'Iran con gli esperimenti missilistici e la minaccia di chiudere Hormuz. E dimenticare cosa potrebbe significare, per la monarchia hashemita, la possibile implosione del regime di Bashar el Assad, minato dalla rivolta degli oppositori e dalla conseguente sanguinosa repressione. Il re è così preoccupato dall'instabilità del Paese confinante che, in un'intervista, ha invitato il suo coetaneo presidente siriano a fare un passo indietro, o meglio a farsi da parte. La mossa di Abdallah di sponsorizzare assieme al Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia) il rilancio dei colloqui fra israeliani e palestinesi è insomma una disperata necessità per tutti. Tuttavia, il compito dell'inviato di Abu Mazen, Saeb Erekat, e quello di Netanyahu, Isasc Molho, che si vedranno ad Amman, è quasi proibitivo. Sono decisamente troppi i veti, e sono in corso troppe manovre. Israele tenta ancora di guadagnare tempo, e teme la nuova atmosfera (decisamente più cordiale) fra i laici dell'Anp e i fondamentalisti di Hamas. I palestinesi hanno l'aria di non preoccuparsi troppo di pazientare, e seguono con interesse il dibattito sui rischi di uno Stato binazionale, rilanciato in Israele dagli editoriali su Haaretz di Avraham Burg e Yehoshua. In fondo, il mancato obiettivo dei due Stati, dopo tanti fallimenti negoziali, può essere il prologo ad una soluzione (un solo Stato per due popoli) che sicuramente è più accettabile per i palestinesi che per gli israeliani.
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