Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/11/2011, a pag. 17, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Hezbollah decapita la Cia in una pizzeria di Beirut ", la sua intervista a Giandomenico Picco, ex vicesegretario Onu, dal titolo " Un’operazione durata alcuni anni. Dimostra che sono veri professionisti ", l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Nella tana di Nasrallah cortese e spietato: Israele deve sparire ".
Declino dell'Impero americano ? E' ora che la Casa Bianca cambi politica.
Ecco i pezzi:
Maurizio Molinari - " Hezbollah decapita la Cia in una pizzeria di Beirut "
Hezbollah, Pizza Hut, Cia
Smacco alla Cia a Beirut, firmato da Hezbollah. Il teatro dell’agguato degli 007 filo-iraniani agli agenti americani è stato il popolare Pizza Hut della capitale libanese. Adoperando il più aggiornato software per comunicazioni disponibile in commercio, gli Hezbollah avevano ascoltato le comunicazioni in cui gli agenti della Cia in Libano adoperavano come codice per gli informatori libanesi il termine «pizza». La sorveglianza delle telefonate ha consentito di individuare l’identità di almeno uno, o forse due, informatori. Pedinandoli gli Hezbollah sono così arrivati al Pizza Hut mettendo le mani su una inattesa miniera di informazioni, è qui infatti che la Cia incontrava non uno, due o tre informatori ma dozzine di libanesi e cittadini di altri Paesi che consegnavano, o più spesso vendevano, notizie sul Partito di Dio.
I miliziani hanno ascoltato, fotografato e schedato chiunque entrava e usciva per settimane, forse mesi. Il risultato è stata una mappa del network della Cia in Libano nonché la scoperta di una rete parallela di spie, questa volta in Iran. A Langley, il quartier generale dell’Agency, più volte sono suonati campanelli d’allarme sotto la direzione di Leon Panetta ma chi guidava il desk libanese li ha sottovalutati. Il risultato è uno dei più pesanti bilanci per l’intelligence americana in Medio Oriente perché lo sceicco Hassan Nasrallah lo scorso giugno ha annunciato in tv la «cattura di due agenti della Cia» e ieri fonti statunitensi hanno confermato che gli agenti «smascherati e catturati» sono molti di più, «dozzine di persone». In maggioranza si tratta di libanesi, arabi di altri Paesi e iraniani ma potrebbero esservi anche dei cittadini americani. E se la notizia trapela sui media degli Stati Uniti è perché l’amministrazione Obama non ha idea di che fine abbiano fatto.
A gestire le conseguenze del pesante bilancio è David Petraeus, successore di Panetta, la cui scelta è di alzare il velo su quanto avvenuto nell’evidente tentativo di spingere Hezbollah a trattare per la liberazione dei catturati, avvalorando così l’ipotesi che alcuni possano essere americani. Le fonti di intelligence ammettono che «nella guerra di intelligence a volte si vince, altre si perde» e che «potrebbero esserci state delle vittime» ma il danno maggiore è la decapitazionedella struttura di spionaggio con cui la Cia sorvegliava Hezbollah e l’indebolimento del network iraniano per raccogliere informazioni sul programma nucleare.
L’ex agente Cia a Beirut Rober Baer ha poche speranze di ritrovarli: «Se erano vere spie contro gli Hezbollah non credo li rivedremo mai». Per Matthew Levitt, esperto di intelligence al Washington Institute, invece «molto dipende da chi è stato catturato e cosa ha da dire perché in passato Hezbollah ha già fatto sparire delle persone, ma alcune le ha tenute in vita» come ad esempio è avvenuto con l’israeliano Elhannan Tannenbaum rapito nel 2000 e rilasciato nel 2004 in uno scambio di prigionieri. E la Cia potrebbe avere oggi degli iraniani da scambiare con Hezbollah.
Altri dettagli contribuiscono ad ampliare le dimensioni di una disfatta che forse poteva essere evitata: nel 2009 Hezbollah aveva catturato o ucciso almeno cento informatori di Israele adoperando strumentazioni di intelligence che proprio gli Stati Uniti avevano consentito di far arrivare a Beirut per rafforzare la sorveglianza sulla guerriglia filo-iraniana. Due anni dopo gli stessi strumenti hi-tech, uniti ai più recenti software, si sono trasformati in un boomerang per l’intelligence Usa, consentendo ad Hezbollah di ottenere un successo che ne conferma l’impenetrabilità. Ma non è tutto perché una volta individuato Pizza Hut come «hub» della Cia, l’operazione di controspionaggio è iniziata con due Hezbollah che sono entrati, si sono seduti al tavolo di uno 007 americano e gli hanno offerto informazioni facendo il doppio gioco. Da quel momento l’equilibrio di forze si è rovesciato, con gli agenti americani obbligati a fuggire o a tentare di salvare gli informatori rimasti. La vulnerabilità della Cia ai doppiogiochisti evoca quanto avvenuto a Khost, in Afghanistan, il 30 dicembre 2009 quando un presunto informatore si fece saltare in aria uccidendo 7 agenti.
Paolo Mastrolilli - " Nella tana di Nasrallah cortese e spietato: Israele deve sparire"
Hassan Nasrallah
Isegni della guerra civile, i muri anneriti dalle esplosioni e bucati dai proiettili, erano ancora visibili. Viaggiare lungo la linea verde, che aveva diviso Beirut per 15 anni, dava sempre l’impressione di stare al fronte. Era l’autunno del 1993, però, e non eravamo venuti per una passeggiata nel passato. Il Pkk, dopo aver rapito e liberato l’archeologo italiano Angelo Palego sotto al monte Ararat, aveva deciso di farsi pubblicità offrendo ai media occidentali un’intervista col suo capo, Abdullah «Apo» Ocalan. Beirut era ancora la capitale del terrorismo internazionale e i suoi uomini ci avevano dato appuntamento là: aspettate in questo albergo, e al momento opportuno verremo a prendervi.
Poco male, perché in Libano c’era sempre modo di non perdere tempo. E’ vero che la guerra in Iraq era finita, e a giugno del 1991 si era concluso anche l’incubo degli oltre novanta ostaggi occidentali scomparsi in questa città, con la liberazione dei tedeschi Heinrich Struebig e Thomas Kemptner. Il 13 settembre 1993, però, Clinton, Arafat e Rabin avevano firmato gli accordi di Oslo alla Casa Bianca, e il Medio Oriente era sempre più agitato.
Una maniera per non perdere tempo in attesa di «Apo» era stata la visita ad un ospedale sulle colline di Beirut, dove durante la guerra civile erano stati curati i feriti di tutte le parti: cristiani, musulmani, drusi, ebrei. Il prete maronita che lo gestiva non faceva mai domande. Si presentava gente mutilata dalle bombe, ferita dai proiettili, e lui rimetteva tutti in piedi. Così era diventato popolare fra le fazioni in lotta. Fu lui che suggerì di andare a trovare Hassan Nasrallah, diventato capo di Hezbollah l’anno prima. Disse di stare tranquilli, perché la politica dei sequestri era finita. Si prese qualche giorno e poi confermò che Nasrallah aveva accettato di parlarci. Dovevamo chiedere ad un taxi di portarci alla moschea Imam Rida, quella dove predicava la guida spirituale di Hezbollah, Fadlallah. Là saremmo scesi e qualcuno ci avrebbe preso in consegna. All’appuntamento si era presentato un uomo vestito all’occidentale, che ci aveva accompagnato verso una Mercedes: dentro, seduto e sorridente, c’era il prete maronita che avrebbe fatto da garante. Girammo per le strade tappezzate di bandiere nere, che per dieci anni avevano inghiottito gli ostaggi, fermandoci all’improvviso davanti ad una palazzina anonima di quattro piani. Ci fecero entrare, cominciammo a salire a piedi. Le finestre erano tutte oscurate, non passava uno spiraglio di luce. Si aprì la porta di un appartamento e dentro al soggiorno, seduto sul divano, aspettava Nasrallah. Ogni rumore esterno ci faceva sobbalzare: solo un anno fa il suo predecessore, Abas al-Musawi, era stato ammazzato da un raid israeliano. Nasrallah, con grande cortesia, ci spiegò che la sua linea era semplice: Israele andava cancellata e gli accordi di Oslo per lui non esistevano. Avrebbe continuato a combattere perché saltassero. All’uscita, l’autista che ci portava indietro trovò pure la voglia di scherzare: «Tutto bene, no? Ma se volete diventare famosi, non fate complimenti: noi vi rapiamo, e voi domani siete l’apertura dei giornali».
Maurizio Molinari - " Un’operazione durata alcuni anni. Dimostra che sono veri professionisti "
Giandomenico Picco, Maurizio Molinari
Giandomenico Picco, lei conosce come pochi gli Hezbollah avendo trattato con loro negli anni Ottanta la liberazione degli ostaggi occidentali. Cosa pensa dello smacco che hanno inferto alla Cia?
«Quello degli Hezbollah non è il risultato di un blitz ma di un’operazione durata anni. Dimostra che sono dei professionisti in ciò che fanno, tanto nel bene come nel male. Hanno un livello di professionalità di molto superiore a tutti i loro vicini, che si origina dal fatto di essere espressione di una minoranza».
Quale è la loro maggiore forza?
«Molto è cambiato da quando partecipai alle trattative per la liberazione degli ostaggi e, in particolare, negli ultimi 7-8 anni ma la maggiore forza degli Hezbollah resta nella capacità di comprendere in anticipo la direzione degli eventi che, in Medio Oriente come altrove, è la chiave del successo perché consente di essere pronti quando le novità arrivano».
Molti pensavano a un Hezbollah in difficoltà a seguito dell’indebolimento di Assad in Siria, invece questa vicenda dimostra il contrario...
«Hezbollah non è stato colto impreparato dalle rivolte arabe, aveva probabilmente previsto anche l’indebolimento di Assad e ciò gli ha consentito di creare una struttura con potenzialità tali da affrontare anche lo scenario per lui peggiore ovvero la necessità di dover far a meno della Siria. La capacità di comprendere in anticipo il corso degli eventi ne sottolinea la professionalità».
Perché stabilisce a 7-8 anni fa il momento determinante per il cambiamento di Hezbollah?
«Perché coincide con il 2003 quando l’invasione Usa in Iraq cambiò l’assetto in Medio Oriente, lasciando aperto il campo ad un duello IranArabia Saudita per la supremazia che è ancora in pieno svolgimento. Hezbollah comprese cosa sarebbe avvenuto».
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