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Informazione Corretta-La Stampa Rassegna Stampa
17.10.2011 Shalit domani libero, ma Israele non perdona e non dimentica
Analisi e commenti di Zvi Mazel, A.B.Yehoshua, Aldo Baquis

Testata:Informazione Corretta-La Stampa
Autore: Zvi Mazel-A.B.Yehoshua-Aldo Baquis
Titolo: «Migliaia di terroristi in libertà: il dilemma di Israele-Perchè questo baratto è comunque giusto-Domani lo scambio + Le Storie»

Gilad Shalit sta per essere liberato, dopo l'accordo con Hamas per il rilascio dei 1027 terroristi palestinesi. Pubblichiamo l'analisi di Zvi Mazel, che contribuisce a chiarire i termini della trattativa.
Segue il commento di A.B.Yehoshua, sulla STAMPA di oggi, 17/10/2011, a pag.1/17, che analizza i pro e i contro dell'opinione pubblica israeliana.
Aldo Baquis, sullo stesso quotidiano, cura l'intera pagina 16 con una cronaca, nella quale riporta le parole di Shimon Peres "Israele non perdona e non dimentica", più 4 ritratti di terroristi inclusi nello scambio, con il raccontro preciso e terrificante dei crimini che hanno commesso. Non da meno gli altri 1023 che verranno rilasciati a breve.

Migliaia di terroristi in libertà: il dilemma di Israele
di Zvi Mazel

(traduzione di Angelo Pezzana)

 

 1027 terroristi verranno liberati in cambio di un soldato israeliano. Cinque anni dopo il rapimento di Gilad Shalit in territorio israeliano, il governo di Gerusalemme è giunto riluttante alla conclusione che liberarlo con la forza non era possibile, sia per la mancanza di informazioni precise su dove fosse o perché una azione di salvataggio avrebbe potuto mettere a rischio la sua stessa vita.

Venuto a patti su uno scambio così diseguale, lo Stato ebraico dimostra ancora una volta di non poter abbandonare i suoi soldati e che l’antico principio di salvare le loro vite è valido oggi come lo era al tempo della Bibbia. Non è stata una decisione facile. Durante questi lunghi cinque anni Israele ha affrontato un profondo dibattito. Dimostrazioni di massa e un enorme sostegno pubblico hanno premuto per la liberazione del soldato rapito mentre serviva il suo paese, con i vari governi di fronte a laceranti discussioni. La liberazione di un numero così alto di terroristi pone in essere una minaccia reale. Gli uomini e le donne che stanno per essere rilasciati hanno programmato ed eseguito attacchi criminali contro civili, fra la gente per le strade, sugli autobus, nei ristoranti, ovunque potevano, uccidendo indiscriminatamente uomini, donne, bambini. Sono stati arrestati solo grazie a coraggiose operazioni portate a buon fine da dei commando a costo di gravi rischi. Sono stati processati per i loro crimini, assistiti da avvocati di loro scelta. E alla fine dei vari gradi processuali, condannati. In prigione ricevevano i loro avvocati, rappresentanti della Croce Rossa e persino i loro famigliari. Gilad Shalit è stato tenuto prigioniero per cinque anni senza processo, senza un avvocato, senza essere stato visitato dalla Croce Rossa nemmeno una volta, lo stesso vale per i famigliari. Una vergognosa violazione della legge internazionale.

 Diversi governi israeliani hanno dovuto affrontare questo stesso problema: come non cedere al ricatto di Hamas durante i negoziati, mentre premevano le manifestazioni per la sua liberazione. Alla fine Hamas comunicò la lista del migliaio di prigionieri da liberare, ma non riuscì ad includere Marwan Barghouti, il pluri-assassino, capo del movimento dei Tanzim responsabile di centinaia di attacchi terroristici, e Ahmed Saadate, che assassinò il Ministro del Turismo Rehavam Zeevi.

Dopo cinque anni Hamas prese atto che Israele non li avrebbe mai liberati, per cui non ci sarebbe mai più stata una offerta migliore. Accettare lo scambio, non ha impedito ad Hamas di proclamare che, ancora prima che lo scambio abbia luogo, che avrebbe continuato a cercare di rapire soldati israeliani per ottenere il rilascio di altri assassini non inclusi nel presente scambio. In base a quanto stabilito, Israele rilascerà questa settimana 450 terroristi, 280 imprigionati per crimini efferati, con sentenze di svariati ergastoli; degli altri 280, 164 non potranno rientrare in Cisgiordania e dovranno rimanere nella Striscia di Gaza; 40 verranno espulsi in altri Stati. Dopo due mesi altri 550 verranno liberati. Israele deciderà, un accordo con l’Egitto, chi farà ne parte. Quasi sicuramente vi saranno inclusi un certo numero di prigionieri di provenienza Fatah.

 La maggior parte dei negoziati è stata opera di Gerhard Conrad, dell’intelligence tedesca; ma anche l’Egitto ha preso parte all’ultima fase dei negoziati, anche per dimostrare di avere ancora un ruolo significativo nella regione, malgrado la montante anarchia che sconvolge il paese dall’inizio delle dimostrazioni che hanno portato alla caduta di Mubarak. Si dice, ma la notizia non è ancora stata confermata, che l’Egitto abbia esercitato forti pressioni su Hamas per spingerne i capi ad accettare un compromesso, con la promessa di poter aprire un ufficio di rappresentanza al Cairo. Questo perché Hamas si trova a disagio a Damasco a causa della guerra civile, e vorrebbe trasferirsi in un altro paese. Cosa non facile, perché nessuno stato arabo vuole ospitare una simile organizzazione terrorista. Sembra che vi sia stata una partecipazione anche della Turchia nello scambio, dovuta alle buone relazioni con Hamas. Questo porterà a un disgelo nelle relazioni con Ankara ? Solo il tempo potrà dirlo.

 Nel frattempo Hamas emerge quale riconosciuto vincitore e la sua popolarità non è mai stata così alta, visto l’alto numero di prigionieri che è riuscita ad estorcere a Israele. Un successo a spese di Abu Mazen, capo dell’Autorità palestinese, che ha fallito nel tentativo di far riconoscere l’autodeterminazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967, visto che l’opinione internazionale ha confermato che potrà avvenire solo dopo negoziazioni dirette tra Israele e l’Autorità palestinese.

Anche se Gilad Shalit verrà liberato grazie all’impegno morale di Israele, lo scambio non farà avanzare la pace nella regione. Hamas sarà più forte, essendo riuscita ad ottenere la liberazione del maggior numero possibile di prigionieri, dei terroristi che di nuovo saranno pronti a mettere in atto operazioni criminali agli ordini di Hamas. Gli estremisti ne usciranno rafforzati, fra i palestinesi e nel mondo arabo, e nuovi attacchi sono all’orizzonte. Secondo le statistiche, più del 60% dei terroristi rilasciati nei precedenti scambi hanno commesso nuovi atti terroristici.

La comunità internazionale non ha nulla per cui essere orgogliosa. Come ha dichiarato Gerald Steinberg, presidente di NGO Monitor per il controllo dei diritti umani, il 12 ottobre scorso, “ Durante i cinque anni della prigionia di Gilad Shalit a Gaza, nei quali ogni diritto umano è stato vergognosamente negato, organizzazioni come UN Human Rights Council, Human Rights Watch, Amnesty International, Euro-Mediterranean Human Rights Network (EMHRN), Gisha, e la Croce Rossa Internazionale, hanno mostrato poco o nessun interesse. Allo stesso modo il Rapporto dell’Onu sulla guerra di Gaza, con a capo il giudice Richard Goldstone, aveva ignorato la prigionia di Shalit, contravvenendo platealmente alle leggi internazionali. Una macchia morale che potrà mai venire cancellata”.

 Ora tocca a Israele a stare ancora di più in guardia, rafforzare le proprie difese contro il terrorismo, dato che Hamas e gli altri gruppi terroristici, giudicando lo scambio una grande vittoria, alzeranno il livello dei loro attacchi. La pace in Medio Oriente ha fatto un grande passo indietro, e non è Israele il responsabile.

 Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta

La Stampa-A.B.Yehoshua: " Perchè questo baratto è comunque giusto "

A.B.Yehoshua visto da D.Levine 

Gli entusiastici festeggiamenti esplosi in Israele per l’atteso rilascio del soldato rapito Gilad Shalit potrebbero far pensare che il governo israeliano non abbia solamente concluso un accordo con Hamas (accordo a cui si poteva forse arrivare già due anni fa) ma sia riuscito a portare un israeliano su Marte e ora ne attenda il ritorno.
Anche in passato soldati e civili sono stati tenuti prigionieri in Stati arabi o presi in ostaggio da organizzazioni terroristiche o di guerriglia di vario tipo. E per ottenere la loro liberazione è stato applicato lo stesso principio di centinaia o migliaia di detenuti o prigionieri di guerra in cambio di pochi. Ma da che ricordo non si è mai registrato un entusiasmo popolare tanto travolgente quanto quello scatenatosi dopo l’annuncio del previsto rilascio del giovane Shalit.

Una delle ragioni di questo entusiasmo nasce dalla notevole capacità della famiglia Shalit e del suo entourage di tenere vivo l’interesse per le vicende del ragazzo durante i cinque anni trascorsi dal suo rapimento e di conquistare il sostegno di una vasta parte dell’opinione pubblica che non si è mai stancata di chiedere al governo israeliano di raggiungere un accordo con Hamas per il rilascio del soldato.

Molti israeliani infatti, fra cui intellettuali, membri delle forze dell’ordine e di sicurezza e appartenenti a tutte le classi sociali, si sono uniti alla campagna per ottenere la sua liberazione. Sono state organizzate manifestazioni e raduni. Si sono appesi ovunque poster e manifesti che ricordavano il numero dei giorni di prigionia. Ma alla famiglia Shalit va soprattutto il merito di avere saputo compiere un atto di coraggio: lasciare per più di un anno la propria casa in un piccolo villaggio della Galilea per erigere una tenda di protesta accanto alla residenza del primo ministro a Gerusalemme perché l’opinione pubblica non dimenticasse la sofferenza della vittima e dei suoi familiari e premesse affinché il capo del governo accettasse le dure condizioni imposte da Hamas.

Ma nonostante la simpatia popolare non pochi israeliani, non solo di destra ma anche di sinistra, si sono opposti allo scambio di un unico soldato per mille e più prigionieri palestinesi, fra cui alcuni responsabili di attentati gravissimi in cui hanno perso la vita decine di persone.

Potrei suddividere gli oppositori a questo accordo in tre categorie.

La prima è composta da coloro che vedono nei prigionieri palestinesi criminali assassini che non meritano il perdonoe il cui rilascio sarebbe un errore sia da un punto di vista legale che morale nonché un terribile colpo per i parenti delle vittime innocenti. Tali persone sarebbero quindi inevitabilmente disposte a far sì che il prigioniero rimanga in mano ai suoi carcerieri.

C’è da dire che benché questa presa di posizione non sia molto comune ha comunque alcuni sostenitori anche fra chi non appartiene ai circoli della destra.

C’è poi chi deplora la disparità numerica dello scambio. Gente che sarebbe disposta ad accettare il rilascio di un unico prigioniero palestinese, fosse anche il responsabile del più efferato attentato terroristico, ma non quello di centinaia.

A questa presa di posizione potrei replicare che fin dall’inizio del conflitto arabo-israeliano, nelle guerre combattute contro paesi arabi densamente popolati nel ’48, nel ’67 e nel ’73, gli israeliani hanno ottenuto risultati notevoli a dispetto della loro inferiorità numerica. I nostri soldati sono ben addestrati, dispongono di tecnologie avanzate e di capacità militari migliori di quelle degli arabi, e di certo di quelle dei guerriglieri palestinesi. Quindi, esigendo il rilascio di 1.000 prigionieri in cambio di un unico soldato, Hamas chiede in pratica di raggiungere un qualche equilibrio militare, non umano. In altre parole mille dei loro prigionieri che lottano con coltelli, con cinture esplosive, con ordigni e razzi primitivi valgono uno solo dei nostri soldati.

Israele è rassegnato alla propria inferiorità numerica e continuerà ad addestrare i suoi soldati in modo da poter superare questa lacuna, sia su un piano militare che morale. Un unico prigioniero in cambio di migliaia non è perciò un’umiliazione o una resa ma un accordo accettabile che riconosce, anche da parte del nemico, la capacità militare dei combattenti israeliani.

Ma c’è una terza categoria di persone che si oppone strenuamente allo scambio di prigionieri con Hamas e le cui ragioni esigono che chi, come me, lo sostiene, affronti l’argomento.

Queste ragioni sono semplici. In base all’esperienza una parte dei prigionieri liberati nel quadro di precedenti accordi è tornata all’attività terroristica progettando o compiendo attentati che hanno causato molte vittime israeliane. La liberazione di un unico soldato potrebbe quindi mettere in pericolo parecchie vite umane.

Potrei confutare tale ragionamento con tre spiegazioni possibili che, credo, saranno in grado di neutralizzarlo in maniera discreta.

1. Molti dei prigionieri liberati saranno trasferiti nella Striscia di Gaza e lì, in un territorio completamente distaccato da Israele, non potranno compiere attentati terroristici contro Israele ma tutt’al più unirsi alle forze combattenti di Hamas.

2. Un’altra parte dei prigionieri verrà espulsa dalla Cisgiordania e non verrà in contatto con la popolazione israeliana, sia in Giudea e in Samaria sia in Israele.

3. I prigionieri che rimarranno in Cisgiordania, alcuni dei quali potrebbero ripetere atti di terrorismo, si troveranno non solo sotto la supervisione dei servizi di sicurezza israeliani (che sanno di loro tutto ciò che c’è da sapere) ma anche di quelli dell’Autorità Palestinese, un elemento nuovo che non esisteva in passato. L’Autorità Palestinese negli ultimi anni si occupa in maniera efficace di prevenire atti di terrorismo e di violenza con l’intento di stabilizzare la situazione in Cisgiordaniae preparare il nuovo Stato palestinese che sorgerà. In altre parole i prigionieri che torneranno alle loro case in Cisgiordania, una settantina credo, non solo saranno sotto il costante controllo dei servizi di sicurezza israeliani ma potrebbero anche essere influenzati dall’atmosfera positiva che si respira nei territori dell’Autorità palestinese in attesa della ripresa di un negoziato per la soluzione di due stati per i due popoli.

E chissà, forse come è successo in altre nazioni, dal carcere potrebbero uscire nuovi capi disposti a collaborare con un nemico che in passato è stato il loro aguzzino.

La Stampa-Aldo Baquis: " Domani lo scambio "

Domani dovrebbe essere il giorno della libertà per Gilad Shalit. Il caporale francoisraeliano, rapito da un commando palestinese il 25 giugno 2006, sarà scambiato con 1.027 prigionieri. La liberazione avverrà al valico di Rafah, fra Gaza e l’Egitto. Ieri Israele e Hamas hanno presentato la lista dei primi 477 detenuti da liberare. Ci sono anche 27 donne. Nell’elenco anche Ahlam Tamimi, complice di un attentato suicida in una pizzeria, e Amneh Muna, che progettò l’omicidio di un 16enne israeliano nel 2001. Nell’accordo figura la «deportazione» di alcuni prigionieri. Una condizione posta da Israele per tutelarsi da possibili futuri attentati. Dei primi 477 detenuti, 110 saranno autorizzati a tornare in Cisgiordania; 131 faranno ritorno a Gaza. Gli altri 236 saranno «deportati», non si sa ancora in quale Paese. Nella seconda fase saranno liberati altri 550. Le liste debbono essere prima autorizzate da Shimon Peres. Il presidente di Israele ha detto che firmerà i condoni, ma aggiungerà la frase «non perdono e non dimentico».

Aldo Baquis: " Le Storie "

1) Amna Muna, si spacciò per una turista Usa e fece ammazzare un 16enne "

Amna Muna, reclusa 081042962, è probabilmente la palestinese più odiata in Israele. Nel 2001 questa studentessa palestinese di Ramallah aveva 23 anni ed era impegnata in continue schermaglie politiche su Internet con i coetanei israeliani. A loro si presentava come una americana di passaggio, «Sally». Quando scambiò i primi messaggi con Sally, Ophir Rahum era un ragazzo israeliano di 16 anni. Con lui, la «turista» americana sembrava cordiale. «Incontriamoci», propose Muna nel gennaio 2001. «Vediamoci mercoledì insistette -, non dirmi di no, ho nostalgia di te, my love...». Rahum e Sally si incontrarono alla stazione centrale degli autobus di Gerusalemme. In macchina, lei lo portò fra Gerusalemme e Ramallah in una zona deserta dove li attendevano tre miliziani di al-Fatah armati di kalashnikov. «Doveva essere solo un rapimento», spiegherà Muna, in seguito.

Ma Rahum, che contro le sue aspettative aveva opposto una disperata resistenza, fu crivellato di colpi nell’automobile. Il suo cadavere fu poi abbandonato in un cantiere edile.

2) Abdel Aziz Salha, L'uomo che mostrò al mondo le sua mani speorche di sangue

Nell’ottobre 2000 l’Intifada al Aqsa era alle battute iniziali, quando due riservisti israeliani (Yosef Avrahami e Vadim Norjich) entrarono per errore a Ramallah e furono condotti a forza in un commissariato di polizia. Attorno all’edificio la folla spumeggiava, voleva sangue. In una stanza al secondo piano dell’edificio, i due furono linciati. Fra i loro carnefici (una decina) vi era anche Salha. Si era arrampicato sulla parete esterna, era quindi entrato dalla finestra. «Vidi un soldato riverso sull’addome - ricorderà in seguito Salha -. Sulla schiena gli era stato conficcato un coltello. Lo impugnai a mia volta, e lo pugnalai altre due-tre volte. Poi lo strangolai con le mani. Quando vidi che avevo le mani intrise di sangue, andai alla finestra e le mostrai ai manifestanti».

L’immagine di Salha alla finestra è rimasta incisa nella memoria collettiva degli israeliani. Il fratello del soldato Norjich ha detto ieri di sentirsi tradito dal governo: «Il ministro della difesa Ehud Barak mi aveva promesso che Salha non avrebbe più rivisto la luce del sole. Ero scettico. Avevo ragione».

3) Ahlam Tamimi, La giordana con la ghitarra del massacro in pizzeria

Il 9 agosto 2001 l’avvenente studentessa dell’Università di Bir Zeit (Ramallah) Ahlam Tamimi passeggiava «vestita all’occidentale» a Gerusalemme con l’amico Ezzedin al Masri. Anche lui aveva l’apparenza di un israeliano qualunque, con la chitarra in spalla.

Giunti all’incrocio con la via King George notarono che in quel momento la pizzeria Sbarro era affollata. Gli ordini che avevano ricevuto dal braccio armato di Hamas erano di fare una strage di ebrei. Ahlam si accomiatò con un sorriso, Ezzedin entrò nel locale dove fece esplodere il corpetto e l’ordigno nascosto nella chitarra. I morti furono 16, i feriti oltre 100. Fra le vittime cinque membri della stessa famiglia, gli Schijveschuurder: padre, madre, e tre dei sei figli. Al processo (in cui fu condannata a 16 ergastoli) Ahlam Tamimi disse ai giudici che le vittime israeliane erano ancora «poca cosa» rispetto a quelle patite dai palestinesi nella Intifada. Sconvolto dalla sua imminente liberazione, il figlio maggiore degli Schijveschuurder giorni fa ha imbrattato di vernice la lapide che a Tel Aviv ricorda il premier Yitzhak Rabin, colui che aveva puntato sulla pace con i palestinesi. Schijveschuurder progetta di disseppellire i suoi cari e tornare con quei resti, una volta per sempre, in Olanda.

4) Abdel Hadi Ghanim, Dirottò un bus a Gerusalemme e lo condusse in un burrone.

Era il 6 luglio 1989 quando Ghanim salutò la moglie Naama, allora al nono mese di gravidanza, diretto a Israele. L’Intifada delle pietre lo aveva sconvolto: diversi amici erano rimasti uccisi. Pur disarmato, quel giorno Ghanim voleva la vendetta. A Tel Aviv salì sull’autobus di linea diretto a Gerusalemme. Dai finestrini puntò lo sguardo verso le verdi campagne della vallata Ayalon. Poi la strada si inerpicò verso Gerusalemme e alla destra si intravedeva un ripido burrone. Ghanim balzò sull’autista, prese il volante e fece volare nel baratro l’automezzo, che si ribaltò diverse volte. Molti passeggeri furono proiettati all’esterno. Ma i 16 rimasti prigionieri dentro morirono carbonizzati in un orrendo rogo. Prima di lui, nessuno aveva pensato di compiere attentati all’interno di autobus. In anni successivi, i bus sarebbero divenuti un obiettivo ricorrente.

In una recente intervista televisiva, Naama Ghanim disse di sperare in uno scambio di prigionieri fra Shalit e i detenuti palestinesi, fra cui suo marito «che è in carcere da oltre 20 anni. Ha pagato: non basta forse?». Anche i congiunti delle vittime di quell’attentato dissero alla televisione che, pur di rivedere Shalit a casa, non si sarebbero opposti alla liberazione di Ghanim.

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