Sul FOGLIO di oggi, 01/10/2011, a pag.2 Giulio Meotti commenta la candidatura al Premio Nobel per la letteratura del poeta siriano Adonis.
A pag. 3, l'editoriale sulla guerra civile siriana.
Ecco gli articoli:
Giulio Meotti: " Adonis poeta arabo da Nobel ma tacciato di parlare come Bernard Lewis "
Adonis Giulio Meotti
Roma. L’anno della “primavera araba” è giudicato ideale dai bookmaker per assegnare un Nobel a un simbolo del medio oriente. Tra pochi giorni a Oslo si sceglierà quello per la letteratura e, fra i favoriti, svetta l’anziano Adonis, il massimo poeta arabo vivente, siriano, nome d’arte di Ali Ahmad Said. Sarebbe una scelta naturale, se non fosse che da mesi Adonis, un alawita come il presidente siriano Bashar al Assad, è accusato di essere colluso con i massacri in Siria. Un “collaborazionista”. Un articolo di Adonis del 31 marzo scorso, “Alla luce del momento attuale in Siria”, presentava un incubo terrificante: la possibilità che in Siria si ripetesse quanto è successo in Iraq. Adonis, che invocava la separazione fra religione e politica, si chiedeva se le rivolte arabe sarebbero finite con un’egemonia islamica. Un secondo articolo, “Ancora sul momento della Siria”, lo vede schierato contro le manifestazioni perché “una politica condotta nel nome della religione da un carro a due cavalli, Paradiso e Inferno, è necessariamente una politica che pratica la violenza e l’esclusione”. Su al Arabiya Adonis ha detto che le proteste “emanano dalla moschea” e che “politicamente gli arabi non hanno mai conosciuto la democrazia”. Paragonato a T. S. Eliot per il suo ruolo nel modernismo letterario, Adonis ha chiesto ad Assad di portare a termine le riforme, come se le centinaia di morti (finora 2.700) non ci fossero. Posizione che ripete al giornale kuwaitiano al Ray: “Credo che il presidente sia in grado di fare le riforme”. Adonis non ha benedetto le rivolte in Tunisia, Egitto, Libia e Siria, definite “una ribellione giovanile”. La romanziera siriana Maha Hassan lo attacca su al Hayat: “Devi dire la verità su quel che sta accadendo in Siria… è la tua ultima occasione”. Un mese fa in Germania scoppiarono polemiche quando ad Adonis viene assegnato uno dei grandi riconoscimenti della cultura tedesca, il Goethepreis Sulla Süddeutsche Zeitung il traduttore del poeta siriano, Stefan Weidner, scrive che “come poeta e come alfiere della modernità nel mondo arabo se l’è senz’altro meritato”, ma ne denuncia anche le aperture ad Assad. Anche su al Jazeera è andato in onda un durissimo attacco al poeta: “Adonis scimmiotta le esauste strategie del terrore di quegli stessi regimi repressivi. Gli arabi, insiste, sono prigionieri del passato, e nella cultura arabo islamica non esiste neppure il concetto di individuo, in quanto gli arabi non si sono ancora ribellati alla super tribù. Purtroppo è una fusione di Bernard Lewis e Irshad Manji”. Il poeta arabo è stato accusato di essere “anti arabo” anche per altre iniziative. Come quando, su Salman Rushdie, condannato a morte da una fatwa omicida, Adonis vergò un appello per dire che “l’ultima volta che uno scrittore è stato messo al rogo, fu nel Medioevo”. O come quando nel 2001 rivolse un appello alle autorità libanesi affinché vietassero una conferenza negazionista dal titolo “Revisionismo e sionismo”. O quando alla Fiera di Torino infuriava il boicottaggio contro Israele e Adonis si espresse contro. Nel 1995 venne addirittura espulso dall’Unione degli scrittori arabi per aver partecipato, a Granada, a una conferenza con gli israeliani. Due anni fa Abderrahmane Chibane, a capo degli ulema algerini, lo ha chiamato “pervertito”, dopo che Adonis aveva elogiato la laicità. Il poeta ha risposto attaccando i fondamentalisti islamici che gli danno di “rinnegato”: “Siamo tutti nella loro lista di obiettivi”. Adonis è il massimo poeta arabo, ma non proprio un simbolo della primavera araba. Ha detto che “la letteratura araba è solo trash”, che gli arabi sono “un popolo avviato a estinguersi” e, infine: “Se un americano, un europeo e un arabo si sedessero attorno a un tavolo, l’arabo che avrebbe da offrire? Niente”.
Il Foglio-Editoriale: " La guerra civile siriana "
A sei mesi e mezzo dal primo “venerdì della collera” siriano, la protesta di piazza ha ceduto il passo al kalashnikov. Molti analisti, alle prime manifestazioni contro il regime di Bashar el Assad, avevano detto: l’opposizione siriana è notoriamente disarmata, l’unico problema può venire dall’esercito, formato in gran parte da sunniti comandati dalla minoranza alawita che decide le sorti del paese. Infatti i primi focolai di dissidenza, quelli che il regime imputava a “bande di terroristi armati”, erano spuntati in città periferiche, a nord e a est, quelle a cui, con ogni probabilità, l’esercito di Damasco aveva destinato le truppe dalla lealtà più traballante. Poi i sobborghi di Damasco e le città di Hama, Homs, Deir ez Zor sono stati rastrellati a più riprese dal regime, determinato nella sua repressione brutale del dissenso. Ma i palazzi del potere, a Damasco, non hanno mai vacillato, nemmeno sotto il peso di sanzioni internazionali sempre più penalizzanti. Un’inerzia violenta, venerdì dopo venerdì (anche ad agosto, quando, cantava la piazza, con il Ramadan è stato “venerdì i tutti giorni”).Intanto l’ambasciatore americano, Robert Ford, ripeteva che Libia e Siria eran molto differenti, e difficilmente Damasco avrebbe visto la sua Odyssey Dawn. E’ stato a quel punto che le previsioni degli analisti si sono unite allo scenario che tutti avevano scongiurato: molti soldati hanno disertato e la piazza è passata dalla resistenza civile alla guerriglia armata. Il nuovo fronte si chiama Rastan, una cittadina di quarantamila abitanti a nord di Homs. E’ un passaggio obbligato sia che si voglia salire a Hama (e poi su fino al confine turco), sia che si voglia andare a Latakia, sulla costa. E’ a Rastan che si stanno dirigendo i disertori, che nel frattempo hanno formato un esercito ribelle. Secondo la Reuters, i soldati ribelli in città ora sono più di mille e stanno combattendo duramente con l’esercito (50 morti da mercoledì) mentre altri battono il territorio alla ricerca di volontari sunniti. Giovedì i militari di Damasco hanno detto all’agenzia ufficiale Sana di aver arrestato in zona “uomini armati con bombe, esplosivi e molte munizioni”. Che, a guardar bene, forse avevano il marchio di fabbrica iraniano.
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