Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/08/2011, a pag. 25, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo " Se i libri di scuola francesi cancellano la parola Shoah " e la sua intervista a Pierre Nora dal titolo " Il termine è entrato nell'uso comune. Vogliono relativizzare una tragedia unica ".
Il termine giusto per riferirsi al genocidio degli ebrei è Shoà. Tutte le altre traduzioni sono sbagliate. La peggiore è 'Olocausto', in quanto significa 'offrire la propria vita', una traduzione che, oltre ad essere sbagliata, è offensiva.
Ecco i due articoli
" Se i libri di scuola francesi cancellano la parola Shoah "
Claude Lanzmann, Shoah, Auschwitz
PARIGI — Claude Lanzmann, oggi 85enne, amico di Jean-Paul Sartre e compagno di Simone de Beauvoir (dal 1952 al 1959), attuale direttore della loro rivista Les Temps Modernes e autore del bellissimo libro di memorie «La lepre della Patagonia» (Rizzoli), cominciò a lavorare a un documentario sullo sterminio degli ebrei nel 1974. Dopo undici anni di lavoro e circa 300 ore di testimonianze dei sopravvissuti, l'opera finale di 9 ore e mezzo era pronta. «Nel corso della lavorazione non ho mai usato alcun nome per quello che non osavo neppure chiamare l'evento — scrisse qualche anno fa —. Tra me e me, come in segreto, dicevo la Cosa. Come poteva esserci un nome per ciò che era assolutamente senza precedenti nella storia dell'uomo? La parola Shoah mi si è imposta perché, non parlando l'ebraico, non ne comprendevo il senso, e questo era un altro modo per non dare un nome».
Nel 1985 il documentario «Shoah» ebbe successo in tutto il mondo, e da allora — soprattutto in Europa — quella parola è entrata nel lessico storiografico e nell'uso comune per designare lo sterminio sistematico di sei milioni di ebrei ad opera dei nazisti e dei loro volonterosi aiutanti. Oggi il termine Shoah — e quel che rappresenta, ossia l'unicità del massacro degli ebrei — è rimesso in discussione, ed è lo stesso Lanzmann a darne notizia con un indignato intervento sulle colonne di Le Monde: al posto di Shoah, nei manuali scolastici francesi, viene ora preferito il generico termine «annientamento».
Non capita per caso. Una circolare del ministero dell'Educazione nazionale, passata piuttosto inosservata ma pubblicata nel bollettino ufficiale n° 7 del settembre 2010, insisteva già sulla necessità di sopprimere la parola Shoah dai manuali. «Una raccomandazione seguita degli editori dei volumi scolastici di questo rientro 2011», sostiene Lanzmann, scandalizzato. «Genocidio, sterminio, annientamento, sono nomi comuni che hanno bisogno di un aggettivo che li qualifichi — scrive —. Ecco perché si può leggere in alcuni nuovi manuali (Magnard, Hatier) la formula genocidio degli ebrei e in altri (Nathan Le Quintrec) genocidio nazista. Chi genocida chi è un'altra questione, e la dice lunga sull'imprecisione dei redattori e sul pasticcio ingenerato dal rifiuto, per niente innocente, della parola Shoah». Lo scrittore e regista accusa lo storico Dominique Borne, importante dirigente del ministero, di avere imposto la sua visione e il suo fastidio per l'uso di una «parola straniera». «Non ce l'hanno solo con il nome, ce l'hanno con la Cosa», dice Lanzmann, che denuncia l'espressione «annientamento degli ebrei e degli zingari» come la prova di una volontà di relativizzare, appunto, la Shoah.
"Il termine è entrato nell'uso comune. Vogliono relativizzare una tragedia unica"
Pierre Nora
PARIGI — È venuto il momento di andare oltre il termine Shoah?
«No, la guerra alla parola Shoah è assurda. Lanzmann ha ragione. Per una volta, mi viene da aggiungere, sono d'accordo con lui». Il grande storico Pierre Nora, 80 anni a novembre, accademico di Francia e direttore per Gallimard della monumentale opera Luoghi della memoria, ha fatto della libertà intellettuale una delle sue battaglie, fino a fondare l'associazione «Liberté pour l'Histoire» in opposizione alle norme (dalla legge Gayssot sulla negazione dei crimini contro l'umanità a quella sul genocidio degli armeni) che finiscono a suo giudizio con l'imbrigliare il lavoro del ricercatore. Ebreo, a 12 anni si salvò dalla Gestapo scappando dalla finestra della scuola di Villard-de-Lans dove era tenuto nascosto. Amico di Israele, meno viscerale di Lanzmann, stavolta condivide la sua indignazione.
Perché è una parola così importante?
«È entrata senza sforzo nell'uso comune. Nel mondo anglosassone si continua a preferire Olocausto, ma in Europa dopo il film di Lanzmann la usano tutti, storici e — finora — insegnanti e allievi. Non c'è motivo di sconsigliarne l'utilizzo nei manuali scolastici».
Come mai allora quella circolare del ministero francese?
«Non credo per antisemitismo. Conosco bene Dominique Borne, il dirigente del ministero su cui Lanzmann punta il dito. Non è un antisemita, ma il classico democratico cristiano che esprime ormai un pensiero che non è solo suo: alcuni ebrei esagerano con le rivendicazioni e con la tendenza a mettere sempre in avanti la loro tragedia. A parere di Borne e di quelli che la pensano come lui, gli ebrei hanno mitizzato il loro dolore, hanno spostato il pendolo troppo da una parte ed è venuto il momento di riequilibrarlo. Solo che in questo modo lo stesso pendolo viene spinto all'estremo opposto, e neanche questo va bene».
In gioco, pare di capire, c'è l'unicità della Shoah.
«Al di là della questione nominalistica, è questo il punto. Non condivido la tentazione di fare dello sterminio il momento, di fatto, centrale della nostra identità. Su questo sono stato spesso in disaccordo con Lanzmann, che in altre occasioni ho trovato troppo oltranzista».
Ma stavolta, lei dice, Lanzmann ha ragione.
«Sì, lo dico da storico, nessun altro massacro nella storia dell'uomo è simile alla Shoah. Non quello degli zingari, ora associato in qualche manuale a quello degli ebrei. È odioso mettersi a fare classifiche tra le tragedie, ma gli zingari non furono vittime di un piano sistematico di sterminio totale, non erano loro la priorità di Hitler. L'industria della morte venne messa in piedi per la Shoah, per sterminare gli ebrei».
Anche quello del Ruanda è riconosciuto come genocidio.
«Certamente, nessuno pensa che nella storia dell'uomo solo gli ebrei siano stati l'unico bersaglio di un massacro generalizzato su base etnica. Ma solo contro di loro si è pensata e realizzata un'azione di tipo industriale, tecnologica, razionale. Gli orrori del Ruanda sono agghiaccianti, naturalmente. Ma dal punto di vista dello storico, a prescindere dalla assai spiacevole classifica delle vittime, cioè sei milioni di ebrei contro un milione di tutsi, un conto sono le stragi a colpi di machete, e un conto è l'invenzione delle camere a gas, dei forni crematori, del complesso e moderno sistema burocratico dei treni e dei campi di concentramento».
Crede che stia vincendo la voglia di banalizzare la Shoah?
«Proponendo al suo posto l'assurdo e vago termine di "annientamento", si vuole relativizzarla, ridurne la portata nei secoli, in qualche modo addomesticarla. Ripeto, non direi che siamo in presenza di un atto di antisemitismo strisciante, ma di normalizzazione, questo sì».
Non è strano che, prima della protesta di Lanzmann, una circolare così importante fosse passata sotto silenzio?
«Sì è molto strano e, quanto a me, me ne dispiaccio enormemente. È qualcosa che non avrebbe dovuto sfuggirmi, non bisogna mai abbassare la vigilanza. Arriveremo a ribattezzare il Memoriale della Shoah chiamandolo "Memoriale dell'annientamento"? È davvero ridicolo».
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