Estate israeliana e Primavera araba
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere l'articolo di A. B. Yehoshua, pubblicato in altra pagina della rassegna.
Bibi Netanyahu, Stanley Fischer, le tende a Tel Aviv
GERUSALEMME - Quella che potrebbe passare alla storia come l’estate israeliana può essere letta come la risposta di una democrazia alle varie “primavere arabe” che hanno sì messo in fuga rais che si credevano eterni, affrontato repressioni durissime, per ritrovarsi però con le richieste di libertà vanificate dall’arrivo sulla scena politica di forze ancora più autoritarie, e con le richieste di cambiamento, che erano state alla base delle proteste, vanificate . Anche in Israele la gente scende in piazza, sabato sera c’è stata una manifestazione con 150.000 partecipanti, occupa con le tende i viali di Tel Aviv per protestare contro il costo della vita che continua ad aumentare, 2500 medici, con la solidarietà del sindacato delle infermiere ospedaliere, dimostrano a Gerusalemme davanti alla Knesset (il Parlamento), mentre il loro presidente è da una settimana che fa lo sciopero della fame perché il servizio sanitario non è più all’altezza e chiedono un aumento dei salari, la classe media non accetta più di pagare affitti troppo alti, insomma mentre agosto è anche qui il mese delle vacanze, una parte significativa della società israeliana chiama in causa il governo e chiede un cambio di politica.
Il governo Netanyahu, che ha tenuto il suo paese fuori dalle crisi economiche che hanno devastato le finanze di tutti gli stati occidentali, grazie ad una severa politica di controllo messa in atto dal governatore della Banca d’Israele Stanley Fischer, e che quindi avrebbe potuto mostrare i lati positivi del suo governo – oltre a tutto in Israele non esiste quasi la disoccupazione - ha invece deciso di affrontare le proteste, non negandone le motivazioni, creando un esecutivo ministeriale che le affronti con urgenza. Intanto il saggio presidente Shimon Peres ha ricevuto nella sua residenza di Gerusalemme il dottor Leonid Eidelman, pregandolo di interrompere lo sciopero della fame, ma ottenendo un cortese rifiuto.
Nessuno però chiede la cacciata del governo, l’unica a volerlo, ma con toni bassi, è l’opposizione rappresentata dal partito Kadima guidato da Tzipi Livni, che però non ha i voti per un ribaltone, limitandosi a richiedere che il bilancio del 2012 venga cambiato tenendo conto delle nuove priorità. Di fatto non la chiedono nemmeno coloro che protestano, i soli a esigerle sono i commenti degli intellettuali su Haarez, il quotidiano che si autodefinisce il “cane da guardia della democrazia israeliana”. Che vorrebbero un benessere diffuso per tutti, invocano la giustizia sociale che può essere tale se viene amministrata dallo stato, dimenticando il risultato disastroso delle economie socialiste di sovietica memoria, che di collettivo realizzarono soltanto la miseria. Israele ha un’economia di mercato, con il positivo e il negativo che comporta. Ma se è vero che il costo della casa è molto alto, la soluzione sarà un maggior numero di abitazioni, i costi salgono, ha scritto un economista, quando ci sono in vendita 10.000 appartamenti e ci sono 20.000 acquirenti, mentre se se cifre sono all’incontrario è il mercato stesso a far scendere i prezzi. La concentrazione della ricchezza c’è in Israele come in tutti i paesi, un rapporto della Knesset ha certificato che 16 grandi gruppi posseggono la metà della ricchezza. E con ciò ? E’ un problema, toccherà al governo agire in modo da aumentare i controlli, favorire nuovi equilibri attraverso una maggiore concorrenza, come ha dichiarato ieri il governatore della Banca d’Israele Fischer, senza alterare l’economia di mercato che dalla fine degli anni ’70, con la fine del monopolio politico dei laburisti, ha creato le premesse per la crescita di un’economia che ha trasformato il paese.
Intanto Netanyahu ha cominciato col bloccare l’aumento del prezzo della benzina. Ascolterà tutte le richieste dei dimostranti, senza assumere posizioni di cedimento al vento populista che precipiterebbe Israele nell’anarchia. Cambiamenti si, ma non tutto e subito, come vorrebbero coloro che rimpiangono l’economia di stato senza averla in gran parte conosciuta.
Ecco la differenza tra l’estate israeliana e la primavera araba, la prima si sta svolgendo nel rispetto reciproco delle parti, la seconda nella messa al bando annunciata delle libertà civili.
Anche in Israele i cittadini hanno capito che possono far valere le loro ragioni, ma lo stanno facendo in modo non dissimile da mille altre occasioni. La primavera araba è stata invece un’esplosione che sta lasciano dietro di sé solo rovine.
Agosto sarà un mese caldo, non solo per via della temperatura. Bibi farà bene a chiudere i conti con le proteste prima di settembre, quando all’Onu ci sarà il voto sul riconoscimento dello stato palestinese. Con le conseguenze che ci saranno, non improbabile una terza intifada. Israele non potrà permettersi nessuna divisione interna. Sarà anche in base a queste considerazioni che Amos Oz ha scritto oggi su Haarez in prima pagina un editoriale dal titolo “siamo tutti fratelli”,un tono conciliante, anche se le analisi sono quelle di sempre, e, come sempre, in parte condivisibili. Ha il merito di indicare quali sono i cambiamenti per realizzare quella ‘giustizia sociale’ che i dimostranti invocano: dirottare gli investimenti nei territori, bloccare i fondi alle scuole ultra ortodosse,riequilibrare le ricchezze fra le diverse classi sociali. Nulla di nuovo si dirà, è vero, ma la difficoltà sta nella loro realizzazione, Amos Oz scrive un editoriale, Bibi è il capo del governo che sta in piedi solo se ha i numeri. Una differenza di ruoli enorme.