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ultim'ora
dai vari TG delle ore 13 sembrerebbe
che l'unico responsabile della strage
norvegese sia un giovanottone 32enne,
biondo, cristiano, conservatore e razzista,
uno che distrugge il centro di Oslo con una
macchina esplosiva, dopodichè parte
su un'altra macchina, arriva sino all'isola
(un'ora di viaggio), scende, sale su una
barca, arriva vestito da poliziotto e
ammazza una novantina di giovani.
ma chi è, Superman ?
Troppa grazia, sant'Antonio, avrebbe detto
Totò, la cosa non ci convince per niente,
meglio attendere le indagini.
Per questo non modifichiamo l'impostazione data
a IC di oggi, ricordando anche il caso della stazione
di Madrid, quando sembrava che la strage fosse
opera dei baschi, mentre era stato il
fondamentalismo islamico.
Preferiamo aspettare, anche perchè le analisi in
questa pagina, anche ammesso che l'autore
o gli autori non siano islamici, mantiene
inalterata la sua validità. Putroppo.
IC redazione
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Ieri sera nei Tg e nei siti internet, oggi, 23/07/2011, sui giornali, la prima notizia è la strage danese. Diamo per scontato che i nostri lettori conoscano le dinamiche degli avvenimenti, per cui dedichiamo le nostre due pagine, una ai commenti, l'altra al richiamo di due libri, la cui lettura avrebbe risparmiato a tanti commentatori di servirsi della parola 'sorpresa'.
Solo uno dei due libri che citiamo è tradotto in italiano, quello di Walter Laqueur, mentre l'altro, di Bruce Bawer, c'è soltanto nell'edizione inglese, come tanti altri usciti su questi argomenti, largamente ignorati dalla nostra editoria, tutta tesa al politicamente corretto. Come la maggior parte dei media italiani, per altro.
Per non ripeterci nelle critiche ai media che minimizzano il pericolo islamico, riprendiamo solo i commenti di chi conosce le cose come stanno ( GIORNALE, FOGLIO, STAMPA, LIBERO). Non stupisca l'inclusione del quotidiano torinese, ma l'intervista di Mario Baudino alla scrittrice norvegese Anne Holt è la chiave per capire come chi si era rifiutato finora di aprire gli occhi nel nome della tolleranza, forse li ha finalmente spalancati.
Ecco gli articoli:
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Sono sempre loro"
Fiamma Nirenstein
Molte piste, ma non tutte, portano ad un attacco da parte del terrorismo di stampo islamico. Nelle prossime ore si dovrà verificare con attenzione quello che per ora è un fondato sospetto. Ma se così fosse non ha nessuna importanza se sia stato a causa delle vignette su Maometto riprese anche in Norvegia nel 2006 dal giornale danese che primo le pubblicò o a causa della presenza di un piccolo contingente in Afghanistan e uno ancora minore in Libia che peraltro se ne andrà il primo agosto, oppure perché al Qaida si è offesa per gli arresti domiciliari del mullah Krekar, sospettato di connivenza con Al Qaida... Non importa quali di queste ragioni venga addotta dalla prima rivendicazione di Ansar al Jihad al Alami per le decine di ragazzi morti al convegno sull’isola di Utoya o per l’orrida distruzione e le sette vittime nel centro di Oslo. Ciòcheimportaèchelaguerradell’islamismo contro la nostra civiltà, se verrà confermata l’ipotesi che nel corso della giornata è diventata sempre più robusta, è feroce e aggressiva. Mentre da parte nostra diventa sempre più grande la difficoltà ad accettare che una vasta fetta della popolazione mondialepossanonvolercibene, enonperragioni sociali o economiche ma per ragioni di ideologia,nonperreazioneaunnostroeventualecomportamentoriprovevolemaperrifiuto del nostro stesso modo di esistere... Ilterrorismooggihavastissimeramificazioni, èdivenutoormaipressochéimpossibile delimitarlo ad alcune associazioni paramalavitose come era nel passato, ad alcuni personaggi di fama internazionale, avvolti nel mistero e nel delitto come poteva essere per esempio Carlos. Oggi il terrorismo è il comma di una teoria islamistica di conquista che va da capi di Stato anche molto importanti, come Ahmadinejad, che ritengono non solo giusto ma doveroso impiegare Hezbollah e Hamas per la guerra contro l’Occidente e costruire la bomba atomica fino, appunto, ad Hamas che domina territorialmente un’area sotto l’insegna dello sterminio del vicino (e questo non lo ostacola nel gestire larghi rapporti internazionali), fino al nuovo complesso franchising di Al Qaida che, dopo l’eliminazione di Bin Laden, è diventato sempre più ambizioso di mostrarsi al posto del pallido ieratico feroce capo assoluto che ora non dà più fastidio ai suoi epigoni, liberi di esprimere la sete di sangue a modo loro. Nella penisola Arabica Al Qaida si chiama Aqap, ed già riuscita a lanciare due attacchi agli Stati Uniti: quello del Natale 2009 sul jet diretto a Detroit e, nell’ottobre del 2010, il vasto complotto delle bombe sugli aerei cargo. In Somalia, il gruppo Shabaab ha lanciato un attentato contro gli americani in Uganda nel luglio 2010, nel Maghreb sempre Al Qaida compie frequenti rapimenti, e altri terroristi agiscono nell’Africa occidentale. Dall’Egitto post rivoluzionario promanano, specie nel Sinai, complotti terroristi sia della Fratellanza musulmana sia di Al Qaida, e in genere le liberalizzazioni della Primavera araba, salve restando le sue pulsioni libertarie, contengono una quantità di esplosivi pericoli di diffusione del terrorismo. E noi che facciamo? Oslo, città che sogna, città che ospita il premio Nobel per la pace, luogo principe del processo di pace, si è fatta prendere alle spalle, nonostante ultimamente la sua polizia fosse in allarme per ventilati piani terroristici; sapeva bene che la vicenda del mullah Krekar aveva già suscitato parecchio scontento nella popolazione musulmana che è quasi il cinque per cento della Norvegia, sapeva che le sue missioni scontentano alquanto molte centrali terroristiche, che la vecchia storia delle vignette ancora duole. Ma Oslo è una città onorevole, che non può, come nessuno di noi occidentali, vivere in un clima di sospetto. Noi dobbiamo credere nella possibilità di pacificazione, nel miglioramento di ogni e qualsiasi relazione, anche quelle con i più espliciti assassini. Al Zawahiri aveva annunciato che Oslo è nel mirino, la sua ambasciata a Damasco era già stata assediata una volta, Al Qaida aveva promesso un bagno di sangue. Ma la strada che seguiamo per combattere il terrorismo al tempo di Obama è diventata ideologicamente incerta, deve essere neutra quanto si può, ormai l’ispirazione basilare è quella di una tattica militare tesa a sradicare le cellule sul campo, sperando che il terreno non si inaridisca troppo rispetto a un futuro rapporto con gli islamisti pronti invece a ricevere una mano tesa: nemmeno un mese fa il capo dell’antiterrorismo John Brennan ha spiegato di nuovo dalla Casa Bianca che la guerra al terrorismo non porta tracce di guerra al terrore come sistema bellico complessivo contro gruppi ideologici, niente freedom agenda, niente asse del male, niente contrapposizione verticale... La strategia contro il terrorismo è disegnata non per perseguire il terrore come ideologia in ogni angolo del mondo, compresa casa nostra, dove purtroppo è sempre più presente, ma ora come ora punta ad al Qaida sul campo, ovvero in Afghanistan, con droni che ripuliscono le zone infestate senza troppi danni collaterali, col bellissimo attacco di Abbottabad... Obama non rinuncia a sperare che si possa seguitare a giocare di sponda sulla micidiale presenza del terrorismo degli hezbollah in America del Sud, sulle cellule che ormai fioriscono negli Usa e in Europa, sulla speranza che Hamas e persino Assad di Siria possano essere recuperati. Probabilmente il mullah Krekar e quelli come lui a Oslo sono ritenuti ospiti difficili ma recuperabili, forse anche nell’illusione di un residuo in quella neutralità che dovrebbe renderti immune. Ma oggi non c’è neutralità per nessuno.
Il Foglio- " Oslo sotto attacco ricorda che al Qaeda ce l'ha con la Norvegia "
Oslo. L’esplosione è stata talmente forte che alcuni hanno pensato a un terremoto. Tutti i vetri dei palazzi attorno agli uffici del primo ministro si sono frantumati, nel giro di un chilometro non ce n’era uno intatto, una colonna di fumo si è alzata nel cielo, mentre migliaia di fogli di carta – i documenti del governo – ricoprivano le strade assieme ai detriti. E’ stata una bomba a esplodere, forse un’autobomba, nel cuore di Oslo, la capitale di una Norvegia fortunatamente mezza in vacanza. Almeno sette morti accertati, quindici feriti, una città nel panico. L’obiettivo dell’attacco era il palazzo del premier, il laburista Jens Stoltenberg. Per ore si è temuto che quell’esplosione così potente fosse soltanto l’inizio di una serie combinata di attacchi, mentre le televisioni davano e subito smentivano la notizia di altri boati in diverse parti della città. Mentre i testimoni dicevano alla tv che c’era “uno stato di guerra”, un uomo con un’uniforme da poliziotto ha iniziato a sparare contro i giovani del partito laburista riuniti a Utoya, un’isola a un’ora a nord della capitale. Era atteso anche il premier, ma nel primo pomeriggio aveva disdetto la sua partecipazione. Cinque ragazzi sono caduti a terra, uccisi dalle pallottole. Altri si sono gettati in acqua – dove, secondo i testimoni, si troverebbero ancora venti cadaveri. Il finto poliziotto si avvicinava ai ragazzi e diceva: “Vieni qui”, e poi sparava, ripetendo: “E’ solo l’inizio”. Poi è stato arrestato: ha fattezze lontane dal jihadista tradizionale – è alto e biondo. Per la polizia i due attentati sono collegati. A fine pomeriggio l’esercito era schierato in tutta la città, mentre le autorità chiedevano ai cittadini di andare a casa, per paura di altri attacchi. La Norvegia (che è membro della Nato) ha subìto parecchie minacce per la sua partecipazione alla guerra in Afghanistan e, più di recente, in Libia. L’illusione della pace nordica è stata più volte messa alla prova: nel dicembre scorso ci fu una doppia esplosione a Stoccolma, mentre ancora oggi ci sono rappresaglie contro la Danimarca per le vignette su Maometto pubblicate sul Jyllands-Posten nel 2005. Ieri è toccato alla Norvegia: secondo fonti d’intelligence, l’attacco sarebbe stato organizzato a Malmö, in Svezia, dove c’è una cellula di al Qaida composta per lo più da yemeniti. Sul web la sigla Ansar al Jihad al Alami (Sostenitori del Jihad globale) ha rivendicato l’attentato ribadendo: “E’ solo l’inizio”, e facendo riferimento alle vignette di Maometto. Il blitz mai realizzato dai Navy Seal La Norvegia ha i suoi problemi con la comunità islamista. Un anno fa furono arrestate tre persone, sospettate di essere parte di un’organizzazione terroristica legata ad al Qaida che progettava attentati in Gran Bretagna e Stati Uniti. Tutti sotto i 40 anni, uno era un norvegese di origini uigure, uno di nazionalità irachena, rifugiato in Norvegia nel ’99 e il terzo era uzbeko, anche lui residente da tempo nel paese. L’anno scorso, due esperti scrissero un articolo per il magazine americano Atlantic in cui spiegarono il problema della Norvegia con al Qaida. Il governo di Oslo ha partecipato fin da subito alla guerra in Afghanistan, e nel 2007 si è meritato una citazione dell’attuale leader del gruppo terroristico, Ayman al Zawahiri, che disse che il gruppo aveva attaccato la Norvegia “in quanto partecipava alla guerra contro i musulmani”. Si è poi ipotizzato che la Norvegia fosse un obiettivo perché vicina a quella Danimarca colpevole di aver offeso il profeta Maometto: allora in Siria fu attaccata l’ambasciata norvegese, e lo stesso accadde in Pakistan alla compagnia telefonica norvegese Telanor. Ma l’indiziato numero uno dell’odio islamista contro la Norvegia resta il Mullah Krekar. Curdo, fondatore del gruppo islamista Ansar al Islam, arrivò a Oslo come rifugiato dall’Iraq nel 1991 (moglie e figli hanno cittadinanza norvegese). Nel 2003 ricevette un mandato di espulsione: era tornato in Iraq a dirigere le attività contro la coalizione occidentale; secondo fonti del Pentagono citate da Newsweek, fu organizzato un blitz dei Navy Seal per catturarlo, ma alla fine non se ne fece nulla per timore di irritare le autorità locali. L’Onu l’ha inserito nella lista dei terroristi nel 2006 e l’anno seguente la Corte suprema norvegese l’ha definito “una minaccia alla sicurezza nazionale”. Quando, nel 2009, il Mullah Krekar, che già era stato il protagonista di un reality show, ha annunciato la volontà di creare un califfato islamico, le pressioni politiche hanno spinto il governo a creare una task force che valuta arresto ed estradizione. Ai giornalisti il Mullah Krekar ha detto, con la sua lunga barba à la Bin Laden: “Se il governo mi manda via e io muoio, il premier subirà la stessa fine”.
La Stampa-Mario Baudino: " Il nostro piccolo paradiso è scomparso per sempre "
Anne Holt, scrittrice di gialli, è stata anche ministro della Giustizia, vive a Oslo con la sua compagna e la loro figlia.
Il paradiso non era difeso, ed è stato assaltato. Anne Holt, la scrittrice norvegese notissima in Italia per i suoi gialli (il primo successo è stato «Quello che ti meriti», cui sono seguiti «Non deve accadere», «La porta chiusa», «La dea Cieca», «La vendetta», tutti pubblicati da Einaudi) in questo momento è attonita davanti alla televisione come gli oltre 4 milioni e mezzo di suoi concittadini, mentre il cellulare squilla in continuazione. Nello Stato forse più prospero e disciplinato d’Europa, senza problemi di debito pubblico e con un generoso Welfare all’antica che compensa abbondantemente le tasse alte e i prezzi piuttosto cari, benzina compresa, è arrivato l’inimmaginabile.
«In questo Paese, fino a ieri, potevi incontrare al pub, o per strada, o nei grandi magazzini, il primo ministro o il principe ereditario. Abbiamo sempre avuto un livello di sicurezza molto basso, e una tranquillità assoluta» racconta al telefono. Lei lo sa meglio di altri, perché scrivere polizieschi è solo la sua terza vita. Prima era giornalista, poi avvocato e, dal 1996 al 1997, è stata ministro della Giustizia. Vive a Oslo con una compagna e la figlia. È sotto gli tutti aspetti l’emblema di una società aperta, tollerante, ora anche multietnica, dove i poliziotti hanno sempre girato disarmati. Ora non più: all’aeroporto, da ieri, hanno la pistola.
Nei suoi gialli ha spesso scavato dentro situazioni patologiche, nella follia che esplode e devasta la vita quotidiana, nella cupa disperazione del singolo in un contesto però ben regolato. Ha raccontato l’eccezione, il male e la disperazione che si celano anche e irrimediabilmente in una vita sociale pacifica.
I suoi detective sono disincantati e a volte, come nel caso dell’investigatore Stubo che in «Quello che ti meriti» ha appena perso moglie e figlia per uno stupido incidente, feriti. Le è accaduto di delineare intrighi internazionali, come il rapimento del primo presidente donna degli Stati Uniti (ma di origini norvegesi) durante una visita di Stato nel Paese dei suoi avi. Il segreto sta però in una zona d’ombra celata nel passato della presidentessa, ed è un segreto privato. Ora la scrittrice confessa di non essersi mai spinta a immaginare un attacco terroristico - e di queste proporzioni - nel cuore del suo Paese, perché semplicemente né lei né nessun altro avrebbe mai potuto pensarci: «È sconvolgente, ma soprattutto devo confessare che è una terribile sorpresa. Non credo che nessuno, qui, si sia mai aspettato niente di simile. La gente è terrorizzata, siamo tutti in attesa di vedere che cosa succede. È persino presto per fare commenti».
E aggiunge, in tipico stile nordico, che l’unica soluzione è aspettare che la polizia faccia il suo lavoro. Aspettare disciplinatamente. Anche se qualche idea, in proposito, ce l’ha. «Da dove viene tutto ciò, mi chiede? Non ci sono ancora risposte, ovviamente. Però dei sospetti sì». Fondamentalisti musulmani? Anne Holt conosce la Norvegia nelle pieghe più segrete. «Diciamo che se quanto sta accadendo avesse un’origine interna sarei molto sorpresa. Non ci sono gruppi estremistici, di destra o di sinistra, così pericolosi e così organizzati da aver la forza di tentare niente di paragonabile. Certo, non si sa mai. Però questa è la situazione».
Non resta, allora, che l’altra ipotesi. «Vuole che le dica quello che penso? Quello che penso, e cioè non quello che so? Tutto porta a concludere che sia un attacco islamista, e ci sono molte buone ragioni intorno a cui riflettere. Intanto Svezia e Danimarca, per dire i Paesi a noi più vicini, sono stati soggetti ad azioni simili, anche se non di questa gravità». Né così spettacolari. «Ma è proprio questo, sapendo che nella società norvegese non ci sono frange estremiste che abbiano un minimo di rilievo, il motivo che mi porta a guardare all’estero. A terroristi che vogliono colpire l’Occidente. Siamo l’obiettivo ideale: le nostre forze sono in Afghanistan, il nostro esercito è fortemente integrato nella Nato, il Paese è stretto alleato degli Stati Uniti».
E per certi versi non è difeso da questo genere di pericoli. Era un paradiso, nell’Europa sempre più blindata. «Sì, la Norvegia ha continuato a essere una società estremamente aperta», risponde la scrittrice. Tanto da sottovalutare i pericoli? «Quelli esterni, direi. All’interno, non ci sono tensioni particolari. Siamo un piccolo Paese che sembrava essere riuscito a realizzare il sogno di un tessuto sociale prospero, ordinato e soprattuttolibero».
La giornata spaventosa di Oslo cambierà tutto? «Temo che il piccolo Paradiso sia finito. Qualcuno gli ha dato l’attacco, ed è riuscito a sferrare un colpo terribile». Un colpo da undici settembre? «In qualche modo sì. Però, ripeto, dobbiamo vedere, capire, e aspettare. In realtà adesso non sappiamo quasi nulla».
Libero-Andrea Morigi: " Con l'islam il buonismo non paga"
Oslo che all’improvviso si trasforma in Beirut fa pensareaunoscontropiù esteso, planetario.EradallaSeconda Guerra Mondiale che la Norvegia non subiva un attacco simile. Che sia un episodio di guerra santa, è indubbio, ma è giunto inatteso. Gli ultimi attentati nella capitale norvegese risalivano al settembre 2006, quando una notte erano stati sparati alcuni colpi d’arma da fuoco contro la sinagoga, senza provocare vittime. Poi l’anno scorso, sempre in settembre, era stato scoperto un piano islamico per colpire probabilmente obiettivi cinesi. Nulla di preoccupante, che potesse segnalare l’ipotesi di un attentato terroristico ben organizzato come quello di ieri. Prima scatta il diversivo, l’esplosione “tattica” nei pressi del ministero per il Petrolio e l’Energia, che provoca sette perdite umane. Per Atle Mesøy, esperto di terrorismo, dalle immagini dell’area colpita, dai danni provocati e dalla presenza sotto un veicolo nero di una macchia inconfondibile di fuliggine, è chiaro che si tratta di una potente autobomba. L’effetto immediato è che tutte le forze di polizia e i soccorsi si precipitano nella zona, che viene chiusa al traffico. Intanto, a qualche chilometro di distanza, si dispiega il resto del piano, che consiste nel colpire il capo del governo Jens Stoltenberg e il suo vice, attesi in un campo estivo del Partito laburista. Le misure di sicurezza impediscono di colpire l’obiettivo istituzionale, ma non di seminare la morte di innocenti in un Paese pacifico e progressista, anche se membro dell’Alleanza Atlantica. Il sospetto di un legame degli attentatori con Al Qaeda è naturale: la Norvegia partecipa alla missione Onu in Libia e al contingente Nato in Afghanistan e si attendono ancora le azioni di vendetta minacciate dai suoi seguaci in seguito all’uccisione in Pakistan di Osama Bin Laden. L’8 luglio dello scorso anno erano state arrestati tre immigrati, un cinese di etnia uigura, un iracheno e un uzbeko – con l’accusa di pianificare attacchi terroristici. E nel 2004 l’allora numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, aveva minacciato direttamente la Norvegia esortando i musulmani «a trasformare in un inferno la terra che hanno sotto i piedi» e a colpire le rappresentanze e gli interessi commerciali dell’Oc - cidente: «Colpite gli americani ovunque, colpite le ambasciate di Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Norvegia». La rivendicazione, comparsa in serata sul forum jihadista Al-Shumuk non aggiunge nulla di più. Mesøy non si nasconde che la decisione di scatenare la guerra santa in Scandinavia possa essere legata alle vignette di Maometto, riproposte anche l’anno scorso dal maggior quotidiano norvegese, Aftenposten. Il suo collega Lars Gule, dell’Universi - tà di Oslo si sofferma tuttavia sull’obiettivo: «Desideravano chiaramente colpire il cuore della Norvegia politica». Agli eccessi della libertà d’espressione, si sono presto abituati anche gli immigrati, prendendo subito ciò che faceva loro comodo. Non possono neanche lamentarsi dell’intol - leranza. Dispongono di un luogo di preghiera ogni mille musulmani, cioè 120 (40 concentrati soltanto nella regione di Oslo) per una popolazione che ammonta a circa 120mila persone, il 2,5% su una popolazione di 4 milioni e mezzo di norvegesi che hanno fatto tutto, davvero tutto per integrarli. Hanno permesso la costruzione di tre moschee affidate ai pachistani, il venerdì lasciano che il muezzin faccia risuonare il suo appello alla preghiera, purché nel limite di 60 decibel. Hanno taciuto sui matrimoni forzati e sulla violenza verso le donne immigrate, denunciati in solitudine dalla scrittrice Hege Storhaug, subito relegata per questo fra gli xenofobi e gli islamofobi. Hanno ospitato il Mullah Krekar, fondatore del gruppo terroristico iracheno Ansar al-Islam e uno dei maggiori predicatori della violenza jihadista.Eppure osano lamentarsi ancora, i musulmani, per non aver ottenuto la macellazione halal. Ma non è certo per qualche quintale di carne che si fanno esplodere gli edifici del governo e si apre il fuoco in un campo estivo laburista. Piuttosto, nel febbraio scorso, era fallito in extremis il tentativo iraniano di impadronirsi di tecnologia missilistica norvegese. Si sarebbe rivelata utilissima per rendere più letale l’arma nucleare ormai in via di perfezionamento, se solo i servizi segreti di Oslo non avessero mandato a monte l’ac - quisto. E ora l’ipotesi di una vendetta di Teheran non è certo l’ultima pista da seguire per risalire al mandante.
Libero-Carlo Panella: " Fine dell'illusione, è ancora l'11/9. Rischia anche l'Italia "
Carlo Panella
Una capitale europea sotto assedio del terrore, una autobomba che fa strage e 7 morti proprio sotto le finestre del primo ministro Jens Stoltenberg, la stazione centrale evacuata, almeno sette giovani laburisti falciati da un kamikaze vestito da poliziotto che gli ha sparato mentre attendevano il comizio (ovviamente rinviato) del premier, la polizia che invita la popolazione a rientrare a casa, l’esercito che presidia Oslo. Un solo commento: alla fine, ai terroristi islamici è riuscito il colpo. È finita l’illusione che il terrorismo fosse ormai diventato problema di lontane lande e che l’occi - dente se ne fosse ormai liberato. Illusione delle opinioni pubbliche, non certo degli esperti e degli analisti. La dea fortuna, ma anche la efficacia della prevenzione, negli ultimi anni hanno fatto fallire attentati di ugual forza devastante: il 12 ottobre 2009 il libico Mohammed Game fallì per caso un attentato alla caserma Santa Barbara di Milano; il 6 novembre del 2009 Malik Hasan, uno psichiatra militare di origine palestinese uccise 13 militari nella caserma FortHoodin Texas e; il 26 dicembre del 2009, il nigeriano Faruk Abdulmutallab, tentò di fare esplodere un aereo della Delta Airlines, in volo tra Amsterdam e Detroit con un raffinato esplosivonascosto negli slip; fortunosamentel’in - nesco non funzionò; il 24 aprile 2010 la polizia di New York arrestò un tassista afgano, Zarein Ahmedzay, che confessò di aver pianificatounattentato nella metropolitana; il 1 maggio 2010 un attentato fallì per puro caso in Times Square, aNew York. La serie era chiara ed eloquente. Ma ieri – purtroppo – a Oslo tutto ha funzionato, anche per unaragionedrammatica eancorpiùpreoccupante. Gli autori, questi “Sostenitori della Jihad globale” chehannorivendicato le stragi,nonsonochiaramente dei “terroristi fai da te”, come Game o Hasan: la successione dei colpi, la capacità di piazzare una autobomba sotto ministeri, oltre alla scarsa previdenza della polizia norvegese, ci indica che si tratta di professionisti che hanno agito dentro una struttura complessa. A sette anni dall’11 marzo 2004 della stazione Atocha di Madrid e a sei dal Tube di Londra del 7 luglio 2005, noi cittadini delle democrazie, siamo obbligati a prendere atto che siamo sempre al “day after dell’11 settembre 2001. Siamo in guerra. Non perché la vogliamo. Non perché l’abbiamo dichiarata né perché cerchiamo uno “scontro di civiltà”. Ma perché nel corpo dell’Islam si è radicato uno scisma, che fa proseliti, che ci ha dichiarato la guerra, e ha l’ardire blasfemo di chiamarla “Santa”. Ci sono musulmani – si proclamano tali – che si ritengono in diritto, nel nome di Allah, di sterminare innocenti a causa delle vignette su Maometto (può essere questa una delle ragioni per cui è stata colpita Oslo), di sparare a raffica su ragazzi che festeggiano i loro ideali laburisti, di maciullareinnocenti solo perché sono ebrei, anche donne e bambini. Anche quell’isola degli eccessi di multiculturalismo, di integrazione, di lassità –diciamolo –nei confronti di questo fanatismo islamico che è la Scandinavia, scopre oggi di essere nel mirino, di dover pagare un tributo di sangue. Domani, sia chiaro, Oslo può replicarsi ovunque, anche in Italia Anche perché –e questo è il vero punto cruciale della questione –la reazione del mondo musulmano a questo scisma di morte è stata sinora fiacca, ambigua, insufficiente. Perché immense fasce di simpatia se non di contiguità, continuano a allignare in un mondo musulmano che pratica sì, nella sua stragrande, assoluta maggioranza, una religione di pace, che è contrario al terrorismo, ma che poco fa per isolarlo, denunciarlo, estirparlo. Infine, manonper ultimo: il sangue versato a Oslo spiega con crudele nettezza perché bisogna continuare a impedire che l’Afghanistan torni ad essere quel santuario del terrorismo, quel covo di al Qaeda, che ha prodotto questo 11 settembre permanente in cui siamo costretti a vivere. Spiega che i dubbi – leciti – sulle missioni militari per la lotta al terrorismo, non hanno in realtà ragione d’essere. La guerra continua.
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