Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/06/2011, a pag. 18, l'intervista di Marinella Venegoni alla cantante israeliana Noa dal titolo " Noa vota Pisapia: Milano diventi simbolo di pace ".
Noa
Noa è molto impegnata a rivendicare la pace.
E' un'artista, non una politica. Come tutti gli artisti rappresenta la cultura del proprio Paese.
Peccato che la giornalista sottovaluti l'ostilità, i pregiudizi e l'odio che alcune forze politiche italiane bene individuate in coloro che volevano impedire la presenza di Israele a Milano attraverso la mostra Unexpected Israel hanno dimostrato. Venegoni le definisce 'marasma' invece di scrivere ciò che sono.
Noa, grandissima cantante, si esibisce in tutto il mondo, non è tenuta a conoscere le beghe italiane. Toccava all'intervistatrice renderle evidenti con parole appropriate, cosa che non ha fatto.
Ecco l'intervista:
Quando di parla di israeliane toste, il primo nome che si fa da noi è sempre quello di Noa. Di origine ebrea yemenita, se ne andò dal suo paese a soli due anni, dopo che la proclamazione dello stato d’Israele aveva causato non pochi problemi alla sua famiglia. Suo padre, docente universitario, trovò lavoro e riparo a New York, e a 17 anni la ragazza poi divenuta cantante famosa, decise di vivere in Israele, dove ancora risiede, in un kibbuz, con il marito medico e tre figli.
Ora Noa sta per partire per l’Italia, il 15 sarà protagonista con David Grossman di una serata curiosa e stimolante, al teatro Nuovo, all’interno di «Unexpected Israel», la serie di iniziative in partenza da domani in Piazza Duomo che ha sollevato polemiche e minacce da parte di gruppi radicali filopalestinesi. Un minimo di pace sembra tornata, dopo che il neosindaco Giuliano Pisapia ha promesso uguale spazio a una manifestazione sulla Palestina, ma chissà.
C’è stato molto marasma, cara Noa, su «Israele Inatteso». Finché Pisapia ha rilanciato con uguale progetto sulla Palestina.
«Ho sentito parlare del nuovo sindaco di Milano Pisapia, mi hanno detto che è bravo, la manifestazione si deve tenere. Ho capito che ha proposto un evento sulla Palestina, e mi sembra la soluzione perfetta, che riflette la cosa giusta da fare ogni volta che ci sono contese, delle quali noi siamo grandi esperti».
Già, grandi esperti...
«Il punto secondo molti di noi è: recognize, apologize, share. Riconoscere cioè tutte le cose terribili che abbiamo fatto, e chiedere per queste scusa. Poi condividere la conoscenza e la terra. Per me, raggiungere quel fine è abbastanza semplice. Intanto, riconosciamo l’attenzione che ora riceviamo da Milano».
Che cosa farete, lei e lo scrittore David Grossman?
«Non saremo in piazza Duomo ma in teatro. Una specie di talk-show, ma con una nuova formula: ci intervisteremo a vicenda, lui leggerà le sue cose, io canterò le mie canzoni. Approfondiremo il rispetto che abbiamo l’uno per l’altro, le nostre idee in comune su vita, arte, politica. Speriamo venga gente».
Ci sono sempre momenti di grande tensione, quando si parla di Israele. Dovunque.
«C’è anche il fatto che spesso i giornalisti non dipingono la situazione com’è. Amano il sangue, e mi spiace tanto. Quel che si dipinge non riflette ciò che succede qui. C’è una Grande differenza fra criticare il governo di Israele, e criticare Israele. Molta gente qui la pensa diversamente, e quando ha votato pensava che i comportamenti sarebbero stati diversi. Sarebbe importante fare un lavoro senza esser scoraggiati. Se sono in Israele e non so niente nè sui pacifisti né sui palestinesi, io voto pure la destra: per questo bisognerebbe sempre dare informazioni accurate».
E le organizzazioni palestinesi?
«Fanno cose che non aiutano la loro causa. Se i Palestinesi arrivassero a contestare me e Grossman, parlerebbero contro la loro causa: perché noi difendiamo la loro causa. Se tu metti tutti gli israeliani nello stesso piano, fai qualcosa di molto distruttivo. Invece bisogna i n c o r a g g i a r e certe iniziative. Su Facebook c’è un gruppo organizzato che conta 50 mila giovani israeliani e 30 mila giovani palestinesi: così dovrebbero essere le cose».
Secondo lei ci sarà mai uno stato palestinese, come da molti auspicato?
«Sì, certo. La questione è in che modo: pace, dialogo, aiuto, o violenza e guerra? Ecco perché molta gente preme il governo per il dialogo, e dovrebbe essere la stessa cosa per i palestinesi. Abbiamo estremisti da entrambi le parti, ma non scordiamo che sono minoranze e non possiamo farci comandare da loro».
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