domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






loccidentale.it Rassegna Stampa
04.06.2011 Israele, disinformatzjia e stereotipi
L'analisi di Costantino Pistilli

Testata: loccidentale.it
Data: 04 giugno 2011
Pagina: 1
Autore: Costantino Pistilli
Titolo: «Israele una ne fa ma cento ne raccontano»

Su L'OCCIDENTALE di oggi, 04/06/2011, Costantino Pistilli analizza pregiudizi e stereotipi che quotidianamente troviamo sui media, non solo italiani.
Ecco l'articolo:


Disinformatzjia: due campioni

Gli Stati Uniti non parteciperanno alla terza conferenza dell'Onu contro il razzismo prevista per il prossimo 21 settembre a New York. Anche il Canada boicotterà l’iniziativa ormai conosciuta come Durban III e non mancherà l’appoggio dell’Italia. La senatrice democratica Kirsten Gillibrand ha spiegato in questo modo la scelta dell’amministrazione Obama: “È un insulto per l'America che le Nazioni Unite abbiano deciso di tenere la conferenza Durban III a New York City, a pochi giorni dal 10° anniversario degli attacchi dell'11 settembre; abbiamo ascoltato tutti le voci anti-semite e anti-americane gridate durante Durban I e Durban II, e dovremmo aspettarci che la stessa cosa accada a Durban III”. Ma Durban III sarà anche un osservatorio particolare per rendersi conto della montante patologizzazione dei pregiudizi e della naturalizzazione degli stereotipi su Israele. Vediamo, allora, quali sono solo alcuni dei luoghi comuni propagandati per infangare lo stato di David, operazione nella quale ci è stato molto d'aiuto il prezioso e impagabile sito internet Informazione Corretta.

In Israele c’è l’apartheid verso i palestinesi come nel Sudafrica degli afrikaner.
Israele non è il paese dell’apartheid. Più di un milione di arabi israeliani lo testimoniano. In Israele non ci sono mezzi di trasporto, scuole, strutture dove gli arabi non possono entrare. Ci sono deputati arabi al parlamento israeliano, come Hanin Zoabi, che possono democraticamente partecipare alla Freedom flottilla e poi accusare il proprio governo di “pirateria” dagli stessi scranni della Knesset. O personaggi come la dottoressa Suheir Assady, la prima donna musulmana a dirigere un reparto ospedaliero in Israele; oppure come la dottoressa Rania el Hativ, la prima donna araba a diventare chirurgo plastico in Israele. Quella stessa nazione dove tutte le indicazioni, dai musei alle strade, sono scritte in lingua ebraica araba e in inglese. Eppure, a settembre per l’ennesima volta Gerusalemme verrà tacciata di essere, “la capitale dell’apartheid, del genocidio, della deportazione e dello sterminio di stampo sionista”. Questo anche grazie al contributo dei New Elders of Washington come Jimmy Carter.

Israele ha fatto saltare gli accordi del vertice di Camp David del 2000.
Israele aveva offerto ai palestinesi più del 95% della Cisgiordania e Gaza, con la possibilità di una strada extraterritoriale che unisse la prima alla seconda, e un settore orientale di Gerusalemme. L'offerta, avallata dall’allora presidente Clinton, venne però respinta da Arafat. Il rais palestinese volle aggiungere alle clausole di pace anche l'impegno d'Israele di prendersi quattro milioni di "profughi" palestinesi, quanti cioè sembravano essere diventati secondo i calcoli dell'OLP, i discendenti di quei 500.000 del 1948. In pratica, una nazione di sei milioni di abitanti (tra cui un milione di arabi) avrebbe dovuto accoglierne altri quattro milioni, forti del diritto di voto, e trasformarsi in questo modo in un secondo stato palestinese. Un suicidio demografico; mai nessun governo al mondo lo avrebbe accettato -e proposto- in qualsiasi trattativa diplomatica. Ma gli intenti di Arafat erano ben diversi. Infatti, prima del vertice americano di luglio Marwan Bargouti, capo di al Fath in Cisgiordania, dichiarava al giornale Ahbar al-Halil: "Dobbiamo iniziare una guerra sul campo contemporaneamente ai negoziati. Cioè un confronto armato". E in quell’estate al-Fath costruirà quaranta campi di addestramento per allenare i giovani palestinesi in vista della Seconda intifada che scoppierà dopo pochi mesi.

Prima del 1948 Tel Aviv era una città palestinese, Tel Al-Rabi, poi gli ebrei le hanno cambiato il nome.
Tel Aviv, la Collina della primavera, la Città bianca, la Città che non dorme mai, è stata fondata nel 1909 da sessantasei famiglie di Ebrei che abitavano a Jaffa. Guidati dal futuro sindaco Meir Diziengoff gettarono le prime le fondamenta di quella che in seguito sarebbe divenuta Tel Aviv. Il luogo, denominato Akhuzat Bayit (casa colonica), era originariamente unito a Jaffa, ma nel 1910 quando prese ad espandersi vide il suo nome mutarsi in Tel Aviv: la "Collina della primavera”, il luogo dove nella visione del profeta Ezechiele trovano casa i fuoriusciti rientrati in patria dopo l'esilio e anche il titolo della traduzione ebraica di Altneuland, il romanzo scritto nel 1902 da Theodor Herzl, fondatore del sionismo.

Durante il Mandato britannico sulla Palestina anche gli ebrei hanno compiuto attentati terroristici attraverso gruppi come l’Irgun Zvai Leumi.
L'Irgun, Organizzazione Militare Nazionale, è stata classificata dalle autorità della Gran Bretagna come un’organizzazione terrorista ma, e qui sta il punto, durante la guerra d’Indipendenza dello Stato ebraico. Siamo tra gli anni venti e trenta del novecento e in Europa gli ebrei vengono bruciati. Quelli arrivati nella “Palestina del Mandato britannico”, invece, per riprendersi la propria terra – anche se gli ebrei non hanno mai lasciato Gerusalemme secondo tutte le statistiche note, cioè dalla metà dell'800- hanno dovuto lottare contro uno degli eserciti più forti del mondo. L’esercito di Sua Maestà, oltre ad impedire di suonare il sofar (il corno d’ariete) per lo Shabbat, divulgava queste minacce: “Hitler ha assassinato sei milioni di ebrei. La nostra divisione aerotrasportata ne eliminerà sessanta milioni se non vi comporterete bene”. Eppure, prima di istallare una mina a contatto contro il sistema ferroviario o un altro ordigno, se le condizioni militari lo permettevano, venivano distribuiti avvertimenti preliminari in lingua inglese come questo: “Si richiede al governo di oppressione di evacuare donne, bambini, civili e dirigenti dai loro uffici”.

Yaacov Meridor, eroe dello Stato ebraico, usava dire: “Le armi erano i nostri mezzi di attacco e la trasparenza del vetro il nostro scudo”. Erano partigiani e non terroristi, morivano per rendere Eretz Israel un paradiso e non per assicurarsene uno nell’Aldilà. Quando i combattenti andavano a compiere un’operazione non auguravano a se stessi il martirio come succede ai feddayn. I soldati dell’Irgun si auguravano come tradizionale saluto di commiato “Abi gesunt”, in yddish “conservati a lungo in buona salute”. Il desiderio degli ebrei che arrivano da tutto il mondo in Eretz Israel era quello di edificare un proprio focolare. Donne come Zippora Porath che per mesi hanno mangiato solo arance o che sono diventate intrepide paracadutiste hanno combattuto per costruire e non distruggere. Dopo la nascita dello Stato d’Israele, infatti, gli attacchi "terroristici" sono immediatamente terminati. Chissà se anche quando sorgerà uno Stato palestinese accadrà la stessa cosa nei confronti d'Israele.

Per inviare la propria opinione a L'Occidentale andare sul sito che segue:


redazione@loccidentale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT