sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
19.03.2011 Processo ad Hannah Arendt
Il nuovo libro di Deborah Lipstadt

Testata: Il Foglio
Data: 19 marzo 2011
Pagina: 1
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Processo ad Hanna Arendt»

Deborah Lipstadt, una storica americana della Shoà tra le più importanti,  ha appena pubblicato un libro su Hannah Arendt, dal titolo "The Eichmann Trial" (il processo Eichmann), non ancora tradotto in italiano.
Il FOGLIO di oggi, 19/03/2011, in prima pagina, pubblica un articolo, dal titolo " Processo ad Hanna Arendt ", estremamente accurato sul contenuto del libro, che non è solotanto una cronaca processuale, ma una analisi approfondita del rilievo avuto da Hannah Arendt nella vicenda. Forse la sua prima biografia critica che ne evidenzia non solo le ambiguità verso il nazismo ma anche verso l'antisemitismo. Un libro che farà discutere, anche visto l'altissimo livello di onestà intellettuale dell'autrice.
Ecco l'articolo:


Martin Heidegger         Hannah Arendt

Roma. Sono trascorsi cinquant’anni da quando Hannah Arendt, una delle più note intellettuali di origini ebraiche del Novecento, evocò la “banalità del male” come chiave interpretativa per penetrare il mistero dell’Olocausto ebraico. L’icona simbolica di questa celebre tesi era Adolf Eichmann (“uomini come lui ce n’erano tanti e questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano e sono tuttora terribilmente normali”), il gerarca nazista catturato dagli israeliani a Buenos Aires e impiccato nello stato ebraico. La Arendt seguì il processo come inviata della prestigiosa rivista New Yorker, ricavandone il profilo del grigio burocrate e docile strumento di morte. Nomi di spicco della cultura ebraica la attaccarono duramente. Hans Jonas, amico di gioventù della Arendt, ne prese platealmente le distanze, definendola “ignorante”. Gershom Scholem disse che la banalità del male è “uno slogan” e che Arendt “manca di amore per il popolo ebraico”. Ma da allora, il nome di Hannah Arendt è entrato a far parte del canone occidentale. Adesso una grande storica americana, Deborah Lipstadt, resa celebre per aver smascherato le “ricerche” dello storico negazionista David Irving, demolisce Arendt in un nuovo libro. Si intitola “The Eichmann Trial” ed è edito da Schocken, la stessa casa editrice che all’epoca pubblicò Arendt e che in Israele possiede il quotidiano di sinistra Haaretz. Il Jewish Forward, storica rivista della comunità ebraica newyorchese, parla di “processo ad Hannah Arendt”. In copertina del libro c’è l’icona della Arendt, intellettuale pensosa con la sigaretta accesa. Secondo Lipstadt, nominata da Bill Clinton allo United States Holocaust Memorial Council, Eichmann non fu un “burocrate”, come dice Arendt, ma “un uomo colto che sposò l’idea di purezza razziale”. Eichmann, continua Lipstadt, era “tutto tranne che banale”. “Per Arendt, Eichmann era un uomo ordinario e ogni altro uomo ordinario avrebbe potuto fare ciò che ha fatto. E’ una lettura perversa della natura umana”. Lipstadt non usa mezzi termini sulla Arendt neppure dal punto di vista personale: “Flippant” (frivola) e “cruel” (crudele). La storica americana ne condanna il ruolo che ebbe nel ridare una verginità a Martin Heidegger, il filosofo tedesco che aderì al nazionalsocialismo e di cui Arendt era stata amante: “Arendt lo ha aiutato nella carriera dopo la guerra minimizzando la sua affiliazione nazista”. Celebre è la tesi di Arendt secondo cui Eichmann non era motivato da antisemitismo. Secondo Lipstadt, la minimizzazione dell’antisemitismo da parte della Arendt, che è servita alla cultura secolarista per trasformare Eichmann nel simbolo universale del totalitarismo, nasceva dalla biografia stessa dell’autrice: “A casa di Arendt la parola ‘ebreo’ non veniva mai pronunciata. Accusò i sionisti di parlare il linguaggio di Eichmann”. La colpa principale di Hannah Arendt, la più grave secondo l’autrice, consiste nell’aver assolto, nei fatti, l’antisemitismo: “I commenti della Arendt vennero fatti propri da teologi, intellettuali e umanisti, che abbracciarono la sua spiegazione universale del genocidio che li liberava dal nucleo antisemita della cultura europea. Arendt ci ha fornito una versione dell’Olocausto in cui l’antisemitismo ha un ruolo minoritario. Così, oggi in tanti commemorano le vittime ma si scagliano contro Israele”. Alla fine del libro, Lipstadt abbandona i panni dell’accademica per vestire quelli della polemista: “In Iran la capacità di un uomo, dichiarato antisemita e negazionista dell’Olocausto, di seminare distruzione nel mondo aumenta ogni giorno di più. E violente accuse contro Israele sono accettate da accademici, giornalisti e politici”. In questo senso le tesi di Hannah Arendt sono state utilizzate a fini politici e ideologici, “da persone che lei stessa non avrebbe mai accettato”.

Per inviare al Foglio la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT