Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/02/2011, a pag. 1-44, l'editoriale di Angelo Panebianco dal titolo " L'Occidente si illude di contare ". Dal sito internet del SOLE 24 ORE (che oggi non è uscito perchè in sciopero)l'articolo di Christian Rocca dal titolo " Entrano in gioco i Fratelli musulmani (ma non sono diventati buoni) ". Da IT.DANIELPIPES.ORG l'articolo di Daniel Pipes dal titolo " Il Cairo non è Teheran ", preceduto dal nostro commento. Pubblichiamo l'analisi di Piera Prister dal titolo "Democrazia, addio: i Fratelli Musulmani, come gia' Hamas ed Hezbollah avanzano nel vicino oriente".
Cliccando sul link sottostante è possibile vedere un'intervista della CNN (in inglese) al principe Reza Palhavi,figlio del defunto Scià di Persia, che commenta la situazione in Egitto:
http://www.rezapahlavi.org/details_article.php?english&article=498
Ecco i pezzi:
INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister : " Democrazia, addio: i Fratelli Musulmani, come già Hamas ed Hezbollah avanzano nel vicino oriente "
Piera Prister
Sono tutte e tre organizzazioni minacciosamente antisemite, anticristiane e anti-occidentali: di Hamas e di Hezbollah gia’ se ne conosce l’identita’, ma poco si sa dei Fratelli Musulmani.
In Italia, il primo a metterci in guardia contro i Fratelli Musulmani e’ stato Magdi Allam, l’ex direttore del Corriere della Sera, nato e cresciuto in Egitto e come pochi, profondo conoscitore del mondo islamico, che ora e’ costretto a vivere blindato in clandestinita’. Ed e’ stato anche tra i primi insieme a Mia Farrow, ad aver richiamato l’attenzione sulle stragi continue di cristiani da parte di islamisti nel mondo arabo, sia nei suoi scritti e anche in una conferenza avvenuta anni fa a Roma, a piazza Sant’Apostoli, che allora non ebbe molto seguito.
In verita’ e’ in atto una mattanza crescente di cristiani, da sempre ignorata dai media e che, all’inizio dell’anno, e’ culminata nella strage dei copti nella chiesa dei Santi ad Alessandria d’Egitto e di cui non si e’ spenta ancora l’eco per le modalita’ dell’esecuzione. Quella in verita’ e’ stato un segnale di come il governo egiziano che aveva ritirato la polizia a guardia della chiesa, poco prima dell’esplosione, fosse ormai colluso con gli autori del crimine, e’ stata inoltre un’avvisaglia della tensione che ora, un mese dopo, e’ esplosa in rivolte e tumulti nel mondo arabo, e specialmente in Egitto il paese piu’ popoloso con i suoi 80 milioni di abitanti, dove sono in atto scontri sanguinosi con la polizia, conflitti con i sostenitori del presidente egiziano, e saccheggi, al grido di “morte a Mubarak, morte all’America e morte ad Israele”. Questa rivoluzione sicuramente non portera’ alla democrazia come i piu’ erroneamente credono, compreso il presidente Obama in testa. E’ chiaro che i Fratelli Musulmani cavalcano il disagio sociale, la miseria e la rabbia dei poveri, in un paese dove si vive in media con due dollari al giorno, nell’analfabetismo e nella disoccupazione, nei soprusi e nella privazione. La resa dei conti e’ arrivata anche per quei tiranni corrotti che non di pane, non di liberta’, non di sapere hanno nutrito i loro sudditi, ma li hanno solo infarciti in abbondanza di dottrina islamica e di propaganda, e che hanno permesso che nei loro stati teocratici, si predicasse odio verso le altre religioni e si divulgassero libelli antisemiti, trasmessi persino alla TV magari a puntate, un bel lavaggio di cervello. Sono loro, i Fratelli Musulmani come tutti i terroristi islamici, i diretti eredi del Nazismo che risorge dalle sue ceneri.
Inoltre dalle immagini trasmesse alla TV e dalle fotofrafie riportate sui piu’ autorevoli giornali americani possiamo ricavare un’idea delle virulente proteste in atto per le strade, in Egitto, e notiamo solo una presenza totale di soli uomini, in verita' minacciosi, molti dei quali avvolti in kefiah, mancano del tutto le donne, anzi nelle foto riportate sul W.S.J. di questi giorni, non ce n’e’ nemmeno una, nemmeno l’ombra neanche a cercarla con la lente di ingrandimento. Gia’ dove sono andate a finire le donne, con tutte le studentesse avvolte nel velo che studiano correntemente a Il Cairo, dove pare che il velo le abbia conquistate tutte! Anche ad un distratto osservatore non sfuggerebbe la totale assenza delle donne che avrebbero invece molte ragioni in piu’per protestare, data la loro miserrima condizione, anche in confronto invece alla massiccia partecipazione femminile, repressa anche nel sangue, che abbiamo visto nelle strade di Teheran contro i despoti misogini Khamanei e Ahmadinejad. Ma scrive Daniel Pipes a ragione,"Il Cairo non e' Teheran".
La verita’ e’ che anche in Egitto si sta perdendo ogni speranza di democrazia e sono illusi quanti credono che un colpo di stato possa portare a realizzarla, soprattutto perche’ non ne esistono le premesse.
Infatti il presidente Obama sembra ignorare chi operi dietro le quinte, non sa o non vuole sapere chi siano i Fratelli Musulmani, malgrado tutti i suoi tanti accreditati consiglieri, tra i quali Dalia Mogahed , una giovane “intellettuale” di origine egiziana che veste in hijab, tonaca e fazzoletto calato basso sulla fronte che certamente non ha l’autonomia di pensiero di un Magdi Allam o di Daniel Pipes e ne’ tanto meno di Ayaan Hirsi Ali, ma che certamente a suo modo lo consigliera’ bene in osservanza della Shariah Law…
I Fratelli Musulmani sono un gruppo terroristico antisemita, fondato alla fine degli anni venti in Egitto, da Hasan Al-Banna –nonno di Tariq Ramadan- che era un grande populista e attivista politico, capace di suggestionare l’uditorio e che si fece portavoce della rabbia dei poveri, conquistando l’appoggio degli intellettuali e delle masse arabe, frustrate dall’impoverimento e dall’umiliazione “nelle mani dei paesi occidentali”. Era anche un uomo con una forte componente ascetica, un moralista e percio’ autorevole sotto il profilo religioso, che amava dormire una volta al mese in un cimitero in mezzo alle tombe. In breve sotto la sua influenza, il movimento si sarebbe sparso e diffuso in Nord Africa e nel sud est dell’Asia, senza limiti di razza e di nazionalita’, facendo opera di proselitismo. (Ian Johnson, A Mosque in Munich, 2010 pgg. 110-113 ). Al Banna era un esaltato agitatore politico contro la monarchia egiziana, a suo parere collusa con i Britannici e soprattutto un fanatico antisemita alleato di Hitler e di Husseini, gran mufti’ di Gerusalemme che ordino’ orrendi pogrom contro gli Ebrei, abitanti nella loro antica terra di Israele, del cui nome legittimo i Romani persino la deprivarono, denominandola provincia di “Palestina” dopo averla messa a ferro e fuoco e dopo aver saccheggiato e fatto bottino dei suoi tesori, nel primo secolo dell’era volgare.
Negli anni trenta il movimento dei Fratelli Musulmani divenne filonazista, tanto da accettare denaro da parte di agenti nazisti, denaro che servi’ a finanziare l’apparato militare del gruppo che gia’ in quegli anni organizzava la lotta e la protesta per le strade. “ Even today it has not renounced violence, its leaders advocate terrorism against Israeli civilians…But also the Brotherhood positioned itself as a pro-democracy.. But this allowed the organization to be, at times, revolutionary and reformist, depending on the circumstances. (pag. 109). (Persino oggi, il movimento non ha rinunciato alla violenza, i suoi capi sostengono il terrorismo contro civili israeliani… questo ha permesso ai Fratelli Musulmani di posizionarsi a favore della democrazia e di essere –camaleonticamente- a volte rivoluzionario e riformista a seconda delle circostanze). Cosi’ come sta avvenento in questi giorni per le strade del Cairo.
Ma Al-Banna non ha mai pero’ accettato l’idea della separazione della Moschea dallo Stato, o l’ateismo dei marxisti e dei nazisti. Il suo slogan era: “THE KORAN IS OUR CONSTITUTION. JIHAD IS OUR WAY. MARTYRDOM IS OUR DESIRE”. (Il Corano e’ la nostra costituzione, la Jihad –la guerra santa- e’ la nostra strada da percorrere, il martirio e’ il nostro desiderio).Nel 1937-38 I Fratelli Musulmani incominciarono ad attaccare negozi di ebrei al Cairo e seguitarono fino a culminare nel terribile pogrom del nov. 1945, nel giorno dell’anniversario della Dichiarazione di Balfour, che lascio’ morti, feriti, sinagoghe incendiate e devastazione. L’Egitto poi offri’ asilo a molti gerarchi nazisti tedeschi che in fuga li’ trovarono rifugio, come anche Husseini condannato a morte da un tribunale francese per crimini di guerra.
Altro che prendersela tutti con Israele, un paese forte e glorioso, campione di democrazia, e contro cui s’e’ riversato invece il flagello dell’antisemitismo sotto forma di anti-sionismo, e che fin dalla sua rifondazione e’ stata fatta oggetto di infami accuse, a cui non si sottrae anche il presidente Obama che, fresco di carica, proprio al Cairo e in presenza di Mubarak ha rivolto il suo devoto appello aIla nazione araba, dandole legittimita’ e credito. Ma quale credito! Lo sanno tutti che l’Egitto non e’ una democrazia, se ivi governa - pardon sgoverna- il nuovo faraone Mubarak da tre decenni. E poi l’America in cambio degli aiuti dell’ordine di miliardi che devolve all’Egitto, ha mai chiesto qualcosa in cambio? O forse ha pensato solo ad avere in Egitto un governo dopo tutto mezzo alleato, che pero’ garantisse il passaggio delle petroliere attraverso gli stretti, dirette in Occidente, visto che il prezzo della benzina al momento e’ in ascesa e continuera’ ad aumentare, e cio’incomincia ad allarmare gli Americani. Ed ora, improvvisamente, il presidente Obama elogia i manifestanti ed ammonisce lo stesso Mubarak. E non capiamo perche’ secondo Obama la rivoluzione egiziana sia mossa da ideali di democrazia e di riscatto sociale mentre quella iraniana a suo giudizio non lo era.
La verita’ e’ che si va per il peggio, l’evidenza e’ che stiamo perdendo l’Egitto, la Tunisia e lo Yemen, cosi’ come gia’ abbiamo gia'perso l’Iran, il Libano, la Turchia e Gaza in una capitolazione generale. In effetti in Egitto manca una presenza di riformatori e di dissidenti che possano avviare un processo democratico, anzi la presenza di un presidente anti-israeliano alla Casa Bianca ha fatto ringalluzzire i Fratelli Musulmani che stanno cogliendo a volo l’occasione per manovrare i tumulti a loro favore. E mentre i fanatici islamici stanno prendendo il potere in Egitto con la sopraffazione e l’intimidazione, il presidente Obama, nella conferenza stampa di ieri, ha preso le difese dei dimostranti e continua a romanticizzare la violenza, in modo cosi’ convincente e suadente, parlando astrattamente, come un libro stampato, di liberta’ e di diritti all’autodeterminazione dei popoli in generale, in una rivoluzione standard senza una connotazione individuale, da lasciare tutti incantati. Ma non incanta noi.
CORRIERE della SERA - Angelo Panebianco : " L'Occidente si illude di contare "
Angelo Panebianco
Barack Obama sarà ricordato come un nuovo Jimmy Carter, il presidente che «perse» l’Iran, che subì la rivoluzione khomeinista del 1979? Forse, ma l’ironia sta nel fatto che se questo sarà il suo destino, non sarà lui a forgiarlo, non dipenderà da lui. Dipenderà da come evolverà la situazione in Egitto e negli altri Paesi mediorientali in ebollizione. Nonostante tanti commenti che in Occidente sostengono il contrario, è davvero poco ciò che l’America, per non parlare dell’Europa, può fare in questo frangente. Il destino dell’Egitto è in larghissima misura alla mercé delle scelte che prenderanno, in risposta ai moti popolari, gli attori egiziani che contano. Più che «auspicare» e «suggerire» (e tenere incrociate le dita) gli occidentali non possono fare. Per aver chiara quale sia la reale capacità di incidenza dell’America basti pensare al Pakistan: sia sotto Bush che sotto Obama l’America lo ha ricoperto di dollari senza però mai ottenere che esercito e servizi segreti pachistani smettessero di appoggiare i talebani. È un aspetto della sopravalutazione delle capacità di controllo degli eventi da parte degli occidentali anche la discussione sulla mancata previsione di cosa stava accadendo. Che «prima o poi» le dittature, anche quelle che sembrano più solide, cadano, è inevitabile. Ma nessuno può pronosticare quando prima e quando poi. Molto spesso le dittature hanno una vita lunghissima. Non raramente sopravvivono anche alle crisi di successione. L’unica cosa che, in termini molto generici, si poteva prevedere, e che difatti era stata ampiamente prevista, è che la crisi economica mondiale avrebbe alla lunga destabilizzato, qua e là, diversi regimi dittatoriali. La ragione è semplice: le dittature si garantiscono la stabilità «pagando in contanti» l’acquiescenza, distribuendo a cascata risorse a settori strategici della popolazione (è anche la ragione per la quale in quei regimi lo Stato è massicciamente presente nella economia). La crisi mondiale, riducendo il flusso di risorse, aveva ottime probabilità di gonfiare in diversi luoghi malcontento e opposizione facendo emergere per di più il peso della corruzione. Ma nessuno (nemmeno gli specialisti, gli studiosi dei singoli Paesi) era in grado di dire dove e quando sarebbero esplose proteste così forti da far cadere il regime. La slavina, partita dalla piccola Tunisia, ha investito l’Egitto, ma anche altri Paesi, come Algeria, Giordania, Yemen, sono coinvolti. Poiché l’Egitto è il più importante Stato dell’area, è sull’intero Vicino e Medio Oriente che la sua evoluzione interna inciderà. Il mondo occidentale vive questi eventi in preda a una profonda incertezza. Il Medio Oriente è da sempre il suo nervo scoperto, il suo tallone d’Achille: perché lì c’è Israele, perché lì c’è il petrolio, perché lì ci sono alcuni fra i suoi più inflessibili nemici. Se l’auspicio degli iraniani si realizzasse, se le forze dell’islamismo radicale prevalessero nei principali Stati dell’area (che accadrebbe il giorno in cui quelle forze riuscissero a vincere in Arabia Saudita?) sarebbe per tutti noi un disastro di proporzioni inimmaginabili. Se si può fare poco per condizionare gli eventi, che almeno quel poco non consista di plateali errori. Obama ne ha già fatti quando, in polemica con la politica del suo predecessore, ha demoralizzato gli oppositori democratici del regime di Mubarak e di altre dittature mediorientali, togliendo ai gruppi interessati alla democrazia appoggio morale e finanziario. È evidente che una democratizzazione dell’Egitto e di altri Paesi dell’area è auspicabile. Non solo perché le persone vivono molto meglio nelle democrazie che nelle dittature. Anche perché le democrazie stabili (se e quando riescono a diventare stabili), a meno che non debbano lottare per la sopravvivenza, non esportano, in genere, troppa aggressività. Ma la democratizzazione è un processo difficilissimo. Può finire nel caos. Oppure, attraverso la democratizzazione, possono arrivare al potere forze illiberali (Hamas vinse regolarmente le elezioni a Gaza). In un contesto esplosivo come il Medio Oriente l’avvento di democrazie illiberali non significa pace ma guerra e catastrofi. L’incertezza occidentale ha dunque buone giustificazioni. Tra gli errori che bisognerebbe evitare c’è anche quello di cadere nelle trappole propagandistiche che vengono tese da chi ha interesse a confondere ancor di più il già confuso mondo occidentale. È già cominciata sui mass media una operazione pubblicitaria tesa a «vendere» i Fratelli musulmani come un interlocutore tutto sommato accettabile per noi. In fondo, si dice, a differenza di Al Qaeda, non mettono (più) bombe. Ma il fatto che non mettano più bombe, che abbiano da tempo rinunciato alla violenza, non ne fa affatto un interlocutore. Ideologicamente non sono diversi da Al Qaeda e una loro vittoria finale in Egitto (possibile — esercito permettendo — essendo la Fratellanza l’unica forza politica ramificata e organizzata della società egiziana) configurerebbe precisamente un esito illiberale in grado di spostare in senso antioccidentale l’asse dell’intero Medio Oriente. Se alla fine, sciaguratamente, prenderanno il potere o avranno comunque una forte influenza su di esso, bisognerà per forza cercare di venirci a patti. Ma, almeno, evitiamo di insultare la nostra intelligenza accettando di considerarli una «forza democratica» o giù di lì. Gli esiti della trasformazione in corso incideranno sugli equilibri mondiali. A cominciare dai rapporti fra Stati Uniti ed Europa. Se gli esiti saranno positivi, se, ad esempio, il post Mubarak si risolverà in una transizione controllata verso un assetto stabile e meno opprimente del regime oggi in crisi, tutto bene. Ma se dovessero vincere in Egitto e altrove forze islamiche radicali, è facile scommettere che fra America ed Europa crescerebbero incomprensioni e divisioni. Nonostante l’oscillante Obama, l’America dovrebbe per forza scegliere una linea di contrasto. Per fare quadrato in difesa di Israele e per difendere i propri interessi strategici. L’Europa, che ama poco Israele, e che è debole e spaventata, faticherebbe assai a seguirla.
Il SOLE 24 ORE - Christian Rocca : " Entrano in gioco i Fratelli musulmani (ma non sono diventati buoni) "
Christian Rocca
I Fratelli musulmani non sono diventati buoni e non hanno rinunciato alla violenza. È sufficiente leggere i loro documenti ufficiali, ascoltare anche in traduzione i loro discorsi, conoscere i loro amici. Il possibile pericolo islamista non giustifica la repressione del popolo egiziano né il sostegno a un regime dittatoriale che, lungi dall'essere laico, ha alimentato la cultura dell'odio e ha scritto all'articolo 2 della Costituzione della Repubblica che la sharia è «la fonte primaria della legge».
Non è detto, tra l'altro, che i Fratelli musulmani conquisteranno il potere in caso di elezioni vere, aperte e libere – che per essere davvero tali dovrebbero essere vietate ai partiti con programmi antidemocratici e sovversivi. Secondo Stephen Hadley, l'ultimo Consigliere per la sicurezza nazionale di George W. Bush, è addirittura improbabile una vittoria elettorale della Fratellanza. Alle ultime elezioni hanno ottenuto il 20%, anche se il voto era controllato dal regime.
Fondati nel 1928 proprio in Egitto, la Fratellanza è la culla ideologica dell'islamismo radicale sunnita, è un movimento religioso salafita e con una storia di promozione della violenza in nome dell'Islam. Negli ultimi anni, l'ala egiziana a parole ha rinunciato alla violenza, in modo da allentare la morsa repressiva del regime di Mubarak. Ma non ha rinunciato al sostegno ad Hamas, il gruppo radicale che è sezione palestinese dei Fratelli musulmani, che predica il martirio, che pratica la guerra santa, che non riconosce Israele e che è considerato da Barack Obama «un'organizzazione terrorista».
La Fratellanza, per esempio, giudica al Qaeda un'organizzazione rivale. L'ideologia non è diversa. Il razzismo antiebraico è lo stesso. L'odio per l'America è identico. Sia la Fratellanza sia al Qaeda vogliono guidare il mondo musulmano in nome dell'Islam e instaurare la legge coranica ovunque possibile. Non sono d'accordo sulla strategia per raggiungere il medesimo obiettivo. Un parlamentare dei Fratelli musulmani, Rajab Hilal Hamida, ha detto che dal suo punto di vista Osama Bin Laden, al Zawahiri e al Zarqawi non sono terroristi: «Sostengo le loro attività, perché sono una spina nel fianco degli americani e dei sionisti... Chi uccide i cittadini musulmani non è un combattente di jihad né un terrorista, ma un assassino criminale». Il problema, insomma, non sono gli attacchi agli americani e agli israeliani, ma le vittime musulmane.
La nuova guida suprema della Fratellanza, il conservatore Muhammed Badi, è stata nominata un anno fa, prevalendo su figure più moderate e più politiche come Muhammed Habib e Abu al Futuh. Moderate, però, fino a un certo punto. Nel 2007, quella leadership "moderata" aveva stilato una bozza di programma politico di 128 pagine per un partito islamico egiziano. Il testo prevedeva l'istituzione di un Consiglio degli Ulema, composto da esperti di legge coranica, con l'autorità di valutare la conformità di leggi e atti di governo con la sharia. Un organo di tutela religiosa ispirato al Velayat-e faqih, il principio fondamentale della Costituzione teocratica dell'Iran dell'ayatollah Khomeini. Su questo punto non c'era un consenso unanime, al contrario dell'altro principio contenuto nella bozza di programma: donne e infedeli non potranno essere eletti ai ruoli più importanti dello stato egiziano.
Il nuovo leader del movimento, con un passato in carcere assieme a Sayyid Qutb, il più radicale dei pensatori islamisti, considera "assurdi" i negoziati di pace diretti e indiretti con i "nemici sionisti". Invoca la resistenza, compresa quella armata, fino a quando ogni lembo di terra di Palestina e musulmana sarà liberato dalle forze occupanti sioniste e americane. Nega validità giuridica alle decisioni dell'Onu e delle istituzioni internazionali e risponde soltanto al Corano. Giura che il jihad è un obbligo individuale per ogni musulmano. Invoca, citando lo statuto di Hamas, il profeta Maometto: «Prima del giorno del giudizio, i musulmani combatteranno gli ebrei e li uccideranno, fino a quando gli ebrei non si nasconderanno dietro le rocce e gli alberi. Le rocce e gli alberi diranno: "Oh, musulmano! Oh, servo di Allah! C'è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo"». No, i Fratelli musulmani non sono diventati buoni.
IT.DANIELPIPES.ORG - Daniel Pipes : " Il Cairo non è Teheran "
Un pezzo molto interessante, peccato per il titolo che non ne rispecchia il contenuto.
Daniel Pipes
Per leggere il pezzo in lingua originale: http://www.danielpipes.org/9391/turmoil-in-egypt
Come era prevedibile, il tanto atteso momento di crisi dell'Egitto è arrivato, le ribellioni popolari stanno scuotendo i governi in tutto il Medioriente e l'Iran si trova come mai prima di ora al centro dello scacchiere regionale. I suoi governanti islamisti intravedono, infatti, la possibilità, in questo caos, di dominare l'area mediorientale. Ma le rivoluzioni sono difficili da mettere a segno e sono convinto sia che i fondamentalisti non riusciranno a effettuare un ampio sfondamento del Medioriente sia che Teheran non emergerà come il giocatore chiave di questa contesa. Ovviamente dietro questa mia conclusione ci sono molte riflessioni. Di seguito le principali.
Tahrir Square al Cairo, il 25 gennaio scorso.
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La prima riguarda l'eco della rivoluzione iraniana. Salendo al potere nel 1979, l'Ayatollah Khomeini ha cercato di diffondere l'insurrezione islamista in altri Paesi, ma il suo disegno non è riuscito quasi da nessuna parte. Anzi, sono dovuti passare ben trent'anni prima che l'autoimmolazione di un venditore ambulante in una sconosciuta località tunisina innescasse la conflagrazione a cui aspirava Khomeini e che le autorità iraniane ancora cercano. La seconda riflessione concerne la cosiddetta guerra fredda mediorientale. Il Medio Oriente si divide da anni in due grandi blocchi impegnati in una guerra fredda regionale al fine di far crescere la propria influenza. Il Blocco della Resistenza guidato dagli iraniani include la Turchia, la Siria, Gaza e il Qatar. E il Blocco dello Status quo che comprende il Marocco, l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, la Cisgiordania, la Giordania, lo Yemen e gli emirati del Golfo Persico. Da notare che il Libano in questi giorni si sta spostando dal Blocco dello Status quo a quello della Resistenza e che questo diffuso malcontento ha luogo solo in seno al Blocco dello Status quo. Terza considerazione: la peculiare situazione di Israele. I leader israeliani hanno scelto la strada del silenzio e non aprono bocca e la loro quasi irrilevanza sta a sottolineare la centralità iraniana. Se Israele ha molto da temere dai vantaggi di Teheran, questi allo stesso tempo evidenziano il fatto che lo Stato ebraico è un'isola di stabilità e che rappresenta l'unico alleato affidabile dell'Occidente in Medioriente. La quarta riflessione sottolinea la mancanza di ideologia. Le teorie che coniano slogan e quelle cospirative che dominano i discorsi mediorientali sono ampiamente assenti dalle folle radunate all'esterno dei palazzi governativi per chiedere di porre fine alla stagnazione, all'arbitrarietà, alla corruzione, alla tirannia e alle torture.
Quinto punto: esercito contro moschee. I recenti avvenimenti confermano che due poteri, le forze armate e gli islamisti, dominano una ventina di Paesi mediorientali: l'esercito controlla il popolo grazie alla forza e gli islamisti offrono una visione. Le eccezioni esistono: una sinistra vivace in Turchia, fazioni etniche in Libano e in Iraq, la democrazia in Israele, il controllo islamista in Iran. Ma lo schema sopra descritto è ampiamente la norma. La sesta riflessione riguarda l'Iraq, che è il Paese più instabile della regione, l'Iraq e pur tuttavia non è teatro delle manifestazioni di protesta perché la sua popolazione non fa fronte a un'autocrazia vecchia di decenni.
Settima analisi: è possibile un golpe militare? Gli islamisti desiderano bissare il loro successo in Iran sfruttando il malcontento popolare per assumere il potere. L'esperienza della Tunisia ci induce a un attento esame dello schema che potrebbe essere reiterato ovunque. La leadership militare tunisina ha concluso che il suo uomo forte, Zine El Abidine Ben Ali, era diventato troppo difficile da accontentare – specie con l'ostentata corruzione della famiglia di sua moglie – per poter conservare il potere, così lo ha rimosso e, per sicurezza, ha spiccato un mandato di cattura internazionale per lui e la sua famiglia. Fatto questo, quasi l'intera vecchia guardia è ancora lì al suo posto, con il capo di Stato Maggiore Rachid Ammar a rimpiazzare Ben Ali come intermediario del Paese. La vecchia guardia spera che ritoccare il sistema, garantendo più diritti civili e politici, le garantirà di conservare il potere. Se questa mossa avrà successo la manifesta rivoluzione di metà gennaio finirà per essere un vero e proprio colpo di stato.
Il generale Omar Suleiman: sarà il quarto governante militare dell'Egitto dal 1952?
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Questo scenario potrebbe ripetersi ovunque, specie in Egitto, dove l'esercito domina il governo dal 1952 e intende mantenere il potere contro il Fratelli musulmani al bando dal 1954. La nomina di Omar Suleiman, l'uomo forte di Hosni Mubarak, pone fine alle pretese dinastiche della famiglia Mubarak e solleva la prospettiva che Mubarak rassegni le dimissioni a favore di un governo militare diretto. Più in generale, scommetto sul modello del tipo "più continuità che cambiamenti" che è emerso finora in Tunisia. Un governo oppressivo si mitigherà un po' in Egitto e ovunque, ma i militari continueranno ad essere gli intermediari fondamentali.
Ottava considerazione: la politica americana. Il governo Usa ha un ruolo fondamentale nell'aiutare il Medioriente a transitare dalla tirannia alla partecipazione politica senza che gli islamisti assumano il controllo del processo rivoluzionario. Nel 2003, George W. Bush ha avuto l'idea giusta di chiedere che venisse avviato un processo di democratizzazione, ma ha rovinato questo tentativo chiedendo dei risultati immediati. Barack Obama ha inizialmente ripreso la vecchia politica fallita del comportarsi bene con i tiranni, ma ora si è schierato con gli islamisti contro Mubarak. Obama dovrebbe emulare Bush, facendo però un lavoro migliore, vale a dire comprendere che la democratizzazione è un processo a lungo termine che richiede la necessità di instillare delle idee intuitive riguardo alle elezioni, alla libertà di parola e alla supremazia della legge.
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