Il commento di Stefano Magni
Stefano Magni, giornalista dell'Opinione
In questa settimana dal 23 al 30 gennaio 2011, la Giornata della Memoria è stata al centro dell’attenzione. Perché, evidentemente, anche a 66 anni dal 27 gennaio 1945, giorno della liberazione degli ebrei dal campo di sterminio di Auschwitz, parlarne senza farsi sfiorare dal dubbio è ancora impossibile. Lo testimonia persino la nuova guida del Touring Club Italiano per Israele e Territori Palestinesi, che, alla voce “Yad Vashem”, spiega che si tratta del museo della Shoà “dal punto di vista ebraico” (Marco Pasqua, “Bufera sul Touring Club”, La Repubblica, 28 gennaio). Forse si tratta solo di un errore di editing. O di un lapsus freudiano. Ma è un sintomo: è passata l’idea che vi siano più punti di vista sulla storia del genocidio nazista.
La memoria sbiadisce, non solo perché sono sempre meno, per motivi anagrafici, i sopravvissuti dello sterminio nazista, ma perché la storia del genocidio degli ebrei nell’Europa occupata dai nazisti nella II Guerra Mondiale è sempre più sovrapposta al dibattito sul conflitto in Medio Oriente.
L’antisemitismo classico, fascista, come quello degli estremisti di destra che lasciano scritte antisemite contro la Giornata della Memoria a Roma, è un sottobosco culturale duro a morire (Dimitri Buffa, “Negazionismo, il lato B della Memoria”, L’Opinione 27 gennaio). Ma allo stesso tempo è perennemente di nicchia, fermamente delegittimato da tutte le forze politiche e da tutti gli ambienti culturali. Il pericolo è quello del nuovo antisemitismo che arriva con l’onda lunga dei movimenti estremisti mediorientali. Il periodo che stiamo vivendo in questo inizio 2011 è caratterizzato da profonda incertezza sulle sorti del Maghreb arabo-islamico. La rivoluzione tunisina prima, poi quella egiziana contro il dittatore Mubarak, possono segnare l’inizio di una nuova svolta democratica in Medio Oriente. Ma è difficile che riescano a contenere la diffusione dell’antisemitismo in quella regione, dove “I protocolli dei Savi di Sion” sono ancora letti e la leggenda nera delle “Pasque di sangue” è considerata un fatto storico reale. In Egitto l’unica forza organizzata dell’opposizione sono i Fratelli Musulmani: radicali islamici, jihadisti convinti, non hanno mai accettato il trattato di pace con Israele. Il leader della rivolta è Mohammed el Baradei: l’ex candidato di riferimento dei Fratelli Musulmani, nonché l’ex direttore dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) grazie al quale l’Iran è a un passo dal diventare una potenza nucleare (Carlo Nicolato, “L’uomo nuovo d’Egitto ha dato l’atomica all’Iran”, Libero, 28 gennaio). Contemporaneamente, sempre in questa settimana, in Libano il movimento sciita armato Hezbollah, che mira alla distruzione di Israele, è arrivato al governo, usando come paravento il moderato sunnita Najib Miqati. Hezbollah al potere in Libano e i Fratelli Musulmani in Egitto, assieme possono creare le condizioni per una “tempesta perfetta” contro Israele. L’ideologia pan-arabista prima, quella islamica radicale poi, hanno sempre sostenuto una sola tesi: la Shoà è solo un pretesto (addirittura un falso pretesto, secondo il presidente iraniano Ahmadinejad) per la colonizzazione ebraica della Palestina. Vedendo in Israele la prosecuzione, con altri mezzi, dell’imperialismo, se ne giustifica l’annientamento. Non solo: si incoraggiano violenze contro gli ebrei di tutto il mondo, visti come i sostenitori naturali dello Stato di Israele.
In questo contesto è anche difficile che abbia qualche effetto la nuova proposta di legge del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che mira a proibire esplicitamente il negazionismo. Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, favorevole alla norma anti-negazione, si mostra scettico, quando afferma: “Non m’illudo che una legge punitiva stronchi il fenomeno. C’è già una legge Mancino contro gli slogan neonazisti e l’istigazione alla discriminazione razziale. Ma sull’Europa soffia un brutto vento dell’Est ed è bene correre ai ripari”. Per Pacifici la nuova legge può produrre effetti pratici e ricorda che, in Francia, è stata proprio la norma anti-negazionismo a fermare l’ascesa del Fronte Nazionale di Le Pen: “Se non fosse stato arrestato dopo un comizio chissà come sarebbe andato il ballottaggio con Chirac” (Francesca Paci, “Alfano: Vietato negare la Shoà”, La Stampa, 25 gennaio). Però proprio la Francia è la dimostrazione pratica di quanto sia inarrestabile il nuovo antisemitismo. Nel 2006 Parigi è stata teatro del più orribile omicidio anti-ebraico della storia recente: il sequestro, la tortura e l’uccisione di Ilan Halimi, un ragazzo preso di mira da una banda di immigrati musulmani solo perché ebreo. La Francia, negli anni più duri dell’Intifadah palestinese, ha battuto tutti i record di azioni violente anti-semite. Anche l’Olanda vieta per legge le tesi negazioniste, ma sta diventando una terra sempre più pericolosa per i suoi cittadini ebrei. A segnalare il pericolo è anche un ex commissario europeo, Frits Bolkestein. Secondo il quale gli ebrei dovrebbero consigliare ai loro figli di emigrare, negli Usa o in Israele, perché ad Amsterdam, a Maastricht o all’Aia potrebbero rimanere vittime di “musulmani non integrati”. Il nuovo antisemitismo non cresce nel vuoto. E’ legittimato, direttamente o indirettamente, da una nuova forma di intolleranza, che Manfred Gerstenfeld, presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, chiama “razzismo umanitario”. Il razzista umanitario è convinto che: “se il non-bianco, o il più debole, non può essere giudicato colpevole dei suoi atti, si deve lasciar correre il più possibile anche se vengono commessi crimini efferati”. Questo ragionamento è particolarmente evidente quando si parla del conflitto mediorientale e dei suoi strascichi antisemiti in Europa: “Il successo delle tesi palestinesi, con tutte le menzogne diffuse nel mondo occidentale, sono il risultato del continuato sostegno dei razzisti umanitari. Che presentano i palestinesi come vittime esclusive, riportando il meno possibile i molti crimini che commettono o sostengono. In questo modo i razzisti umanitari sono diventati i sostenitori e gli alleati dei terroristi, assassini e propugnatori di genocidi” (Manfred Gerstenfeld, “Razzisti umanitari”, Informazione Corretta, 28 gennaio). E’ per questi motivi che ricordare la Shoà, nel 2011, non basta. Bisogna aggiornare il dibattito per riconoscere i sintomi del nuovo antisemitismo. E prevenire la possibilità di una nuova Shoà.