Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/01/2011, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "McEwan: «Sì al premio israeliano. Ma non sto con i coloni»".
Ian McEwan
Dedichiamo questa cronaca agli odiatori di Israele, un Paese che dedica un premio di fama mondiale ad uno scrittore che lo accetta criticando contemporaneamente la politica del governo.
Un premio meritato, McEwan è un grandissimo scrittore. Complimenti a Israele, come sempre fulgido esempio di democrazia reale.
Ecco l'articolo:
GERUSALEMME — La Paradis può attendere. Perché Ian McEwan non ha esitato. E tra un mese, quando gli daranno il «Jerusalem Prize» , lui ci andrà. Un premio che è una specie d’anticamera del Nobel: sulla via di Stoccolma, folgorò Bertrand Russel e Octavio Paz, Coetzee e Naipaul, senza dire dell’ultimo Mario Vargas Llosa. Un premio che ogni due anni è la croce d’ogni prescelto: chi lo accetta, passa subito per servo del sionismo. Collaborazionista. Nemico dei palestinesi. Le sirene del boicottaggio sono in servizio permanente, il consiglio ad artisti e intellettuali è lo stesso: girare al largo dai riflettori israeliani. C'è chi ci casca: tra un mese doveva venire in concerto a Tel Aviv anche Vanessa Paradis, la cantante pop francese, lei assieme al fidanzato Johnny Depp, ma proprio lunedì la coppia ha rinunciato. C'è chi dice no: «Ovvio che intendo accettare — risponde McEwan dalla sua casa londinese —. E’ un riconoscimento d’altissimo valore. E io sono onorato d'entrare nell’elenco degli scrittori che l’hanno vinto prima di me» . Cortesie per gli ospiti, ma non solo. McEwan frequenta i galà letterari da più di trent’anni e sa di che cosa parla. L'ultima volta, Haruki Murakami fu bersagliato di critiche dal Palestine Forum e caldamente invitato a non ritirare il «Jerusalem» : «Mi piace fare esattamente l’opposto di ciò che ho detto — fu l’ironica replica del giapponese, salendo sul palco della premiazione —, è nella mia natura di narratore» . McEwan argomenta in altro modo: «Penso che uno dovrebbe sempre fare una distinzione tra una società civile e il suo governo. Qui si parla di letteratura. Vado alla Fiera del libro di Gerusalemme, non al ministero degli Esteri israeliano. Io non sostengo le colonie nei Territori e neppure Hamas. Sto col segretario dell'Onu, Ban Ki-moon, e col suo appello a congelare le costruzioni. Sto coi numerosi amici d’Israele che non riescono a sperare nella pace, finché ci sono gl’insediamenti. Ma non mi sognerei mai di sostenere i missili di Hamas che piovono sugl’israeliani» . Piovono pietre, intanto. Qualche giorno fa è passato per Ramallah il regista Ken Loach e l’ha ridetto: guai agli uomini di cultura che accettano inviti da uno come Netanyahu. Fra gli scrittori israeliani, da Oz a Yehoshua, oltre a Grossman, c'è l'impegno a rifiutare conferenze in territori occupati. Anche all'International convention center di Gerusalemme, l'aria sarà calda: quest'edizione numero 25 sfida già altre critiche — per esempio, invitando Umberto Eco, il suo «Cimitero di Praga» e la scia di polemiche antisemitiche —, ma per ora a irritare è quella bustina di 10 mila dollari accettata da McEwan. Con l'attestato al narratore che «meglio esprime la libertà dell'individuo nella società» , ai personaggi che nei suoi romanzi «combattono per il loro diritto a dare un’espressione personale alle loro idee» , alle pagine che raccontano «l'amore per le persone e la preoccupazione per il loro diritto a realizzarsi» . Storce il naso Betty Hunter, che dirige le campagne di solidarietà per la Palestina: «Sono lieta che McEwan disapprovi le colonie. Ma vorrei fargli notare che, quando accetta questo prestigioso premio, in un certo modo dà il suo sostegno al governo israeliano e alle sue politiche illegali d'espulsione del popolo palestinese» . Poco importa alla Hunter che neppure l'impegnatissima Simone de Beauvoir rifiutò il «Jerusalem» : è come discutere dell'innocenza del diavolo, «uno scrittore che accetta di partecipare a questa rassegna, è uno che viene usato dal governo per fare pubbliche relazioni. E dimostrare al mondo quel che Israele vuole: di non essere isolato» .
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