Un incendio devasta le foreste in Galilea, i morti sono più di 40, ma la STAMPA di oggi, 04/12/2010, a pag.16, con il titolo "Peggio gli incendi che i razzi di Hamas", pubblica un pezzo indegno di un giornale serio ed equilibrato.
La cronista è Paola Caridi, quindi il tono dell'articolo, fortemente ostile, c'era da aspettarselo, la sua specialità è essere sempre sbilanciata come se scrivesse sul Manifesto o Infopal.
Certo i giornali israeliani hanno scritto articoli di fuoco contro la mancata preparazione di fronte ad eventi come questo, succede in tutte le democrazie, la funzione di una stampa libera è quella, essere critici con il governo del proprio paese, denunciare quello che non va, che non funziona. Ma riportarli come fa la Caridi, con l'aggiunta di quel titolo, che però riflette bene il contenuto del pezzo, è una operazione di pura propaganda. Ripetiamo, indegna di un giornale come la STAMPA. Che, oltre a tutto, ha in Israele un giornalista come Aldo Baquis.
Segue una dichiarazione di Fiamma Nirenstein.
Ecco l'articolo:
Paola Caridi
Il Carmelo brucia, sopra Haifa. Ma la polemica, in Israele, non aspetta che i Canadair arrivati dalla solidarietà internazionale abbiano partita vinta del più grande incendio nei sessantatré anni di storia nazionale. Le recriminazioni iniziano subito. «Fallimento nazionale», «Yom Kippur dei vigili del fuoco», «Paese del terzo mondo», impotente di fronte alle fiamme il «Paese che spende di più al mondo per la sua sicurezza».
I più noti opinionisti israeliani scendono in campo, con le sciabole sguainate, e attaccano senza mezzi termini l’impreparazione, la mancanza di pianificazione e di mezzi, l’incapacità a fronteggiare una calamità come un incendio boschivo. Calamità prevedibile, in un paese in piena siccità ormai da mesi, senza pioggia e con temperature che a inizio dicembre continuano a superare i 25 gradi. Di incendi ce ne sono già stati, di recente, concentrati soprattutto sulle Alture del Golan. E poi - scrive Yossi Sarid su Haaretz - «il Paese è pieno di quelle discariche abusive» da cui è probabile che sia partito l’incendio, ma «a nessuno importa di far rispettare la legge».
«L’intero paese - prosegue Sarid, uno dei più severi critici della sinistra - è a rischio, ma specialmente Haifa, le cui montagne sono state recentemente descritte dal ministro dell’industria, commercio e lavoro come una “bomba atomica”». Non ci sono, però, solo le discariche, nel giorno della rabbia per il disastro del Carmelo. È la sicurezza il principale imputato in un processo pubblico che è appena iniziato. In un paese in cui le esercitazioni di protezione civile sono routine (l’ultima, a Gerusalemme, si è svolta martedì scorso), è comprensibile lo sconcerto per quello che sta succedendo a Haifa. Ben Caspit su Maariv dice che «il Paese, di fronte alle fiamme, si è trovato con i pantaloni calati», nonostante abbia «satelliti spia», «programmi di attaccare l’infrastruttura nucleare di una lontana potenza regionale, e guidi il mondo dell’hi-tech».
Aluf Benn, su Haaretz va giù ancora più duro: «È meglio per Israele non imbarcarsi in una guerra contro l’Iran che comprenderebbe anche il lancio di migliaia di missili» sul Paese. E gli esponenti pacifisti dicono in pubblico quello che molti dicono in privato, sulla mancanza dei Canadair e sulla presenza di caccia di ultima generazione, compresi gli F-35 appena ordinati agli Stati Uniti. Didi Remez, per esempio, si chiede «quanti aerei antincendio si possano comprare e si possano tenere in buono stato al costo di un F-35. E non è una domanda pacifista».
È lo scontro tra l’immagine di efficienza sul piano militare e il disastro della protezione civile a sorprendere. Pronti alla guerra, insomma, ma non agli incendi. Eppure tutti erano sicuri che il «fronte interno» fosse stato migliorato e testato. Soprattutto dopo l’esperienza del 2006, della guerra contro il Libano e dei katiusha di Hezbollah che avevano colpito, appunto, Haifa. «La struttura della sicurezza ci ha fatto diventare matti, per anni, sulla preparazione del fronte interno in caso di attacco missilistico. E ieri abbiamo avuto la vera risposta», dice Alex Fishman sul più importante giornale israeliano, Yediot Ahronot. «Non abbiamo un sistema contro gli incendi».
Lo avevano detto anche i pompieri, che mesi fa avevano denunciato la mancanza di risorse e di mezzi. Pompieri che dipendono dal ministero dell’interno, dicastero in mano al partito religioso dello Shas e al suo leader Eli Yishai. I colpi di fioretto, ieri, sono stati duri, con la richiesta di dimissioni che arriva da chi, a sinistra, lo accusa di occuparsi d’altro. Di aver voluto mandar via da Israele 1200 minori figli di lavoratori stranieri, e di sostenere la costruzione degli insediamenti israeliani a Gerusalemme est.
Israele: Nirenstein, soddisfazione per soccorso italiano
Dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera :
“Esprimo la mia soddisfazione per la risposta italiana alla richiesta di aiuto israeliana per far fronte alla terribile tragedia dell’incendio che sta devastando il Monte Carmelo, nel nord d’Israele. Il nostro Paese sta già mandando infatti ingenti quantità di FireTroll, un materiale per spegnere incendi di cui Israele si trova in assoluta necessità al momento, avendone esaurite le scorte. Israele si trova di fronte a una autentica catastrofe rispetto al numero di feriti, alla tragedia della perdita di vite umane e alla rovina ambientale delle foreste e dei villaggi del Carmelo, di cui tutta la comunità internazionale deve sentirsi investita rispondendo con gesti di viva e concreta solidarietà”.
Roma, 3 dicembre 2010
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