Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/11/2010, in prima pagina, l'editoriale di Giuliano Ferrara dal titolo " Cacciate i coloni dagli insediamenti, bruceranno le sinagoghe". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Erika Dellacasa dal titolo "Giovane ebreo picchiato da palestinese. Da Israele accuse alla polizia di Genova ". Dalla STAMPA, a pag.32 la lettera di Angelo Pezzana dal titolo " Amos Oz e l’odio per Israele ".
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la "Cartolina da Eurabia" di Ugo Volli di questa mattina, pubblicata in altra pagina della rassegna.
Eccogli articoli:
Il FOGLIO - Giuliano Ferrara : "Cacciate i coloni dagli insediamenti, bruceranno le sinagoghe"
Giuliano Ferrara
Mentre sfilavo nella giornata del Foglio pro Israele, dal Campidoglio alla Sinagoga, ed erano giorni complicati, con i carri di Sharon spediti in giro per la Cisgiordania a smantellare le infrastrutture del terrorismo, era l’aprile del 2002, era l’inizio di una offensiva strategica che ha debellato le stragi suicide nelle città di Haifa, Tel Aviv, Gerusalemme, mi raggiunge una telefonata solidale di Abraham Yehoshua. Sentivo l’affetto, sentivo l’imbarazzo, sentivo l’immedesimazione e insieme la lontananza. Perché non eravamo insieme? L’altro giorno ho visto che Amos Oz è stato maltrattato a Torino dai soliti con la kefiah. Gli rimproverano la guerra di Gaza: non Hamas con i suoi missili, ma gli scrittori complici del governo di Gerusalemme di Tsahal, con le loro idee, ne sarebbero responsabili.
Poi vedo David Grossmann e altri che firmano petizioni al fine di desertificare gli insediamenti ebraici in Palestina, e motivano pieni di struggimento, di incertezza mal dissimulata, il loro intendimento: non è un boicottaggio, dice Grossmann, è un tentativo di arginare la deriva fascista dell’apartheid nei territori, non possiamo fare serate letterarie o di teatro in mezzo all’ingiustizia. Ma perché, mi sono domandato, gli scrittori israeliani dell’establishment letterario di sinistra sono imbarazzati dalla loro stessa vita, dalla loro patria, dal sacrificio dei loro figli e fratelli, dalla splendida avventura del sionismo politico, dall’esistenza di una democrazia moderna con poteri divisi e autodeterminazione in mezzo all’orrore dispotico e corrotto dei regimi che li circondano? Gli scrittori non dovrebbero avere le remore dei leader politici, degli ambasciatori, degli analisti, dovrebbero dire la verità nella sua totale nudità morale.
E la verità è che gli insediamenti non sono fascismo e apartheid ma scampoli di pionierismo democratico, gli ebrei hanno diritto di stare dove credono e la loro presenza urbanistica, sociale, familiare, umana, deve essere rispettata per quanto tragico sia il contesto in cui si realizza: la definizione di confini statali, la creazione di uno stato palestinese autogovernato e democratico e in pace con Israele, laddove un giorno dominava la dinastia hascemita alla testa delle tribù nel mandato coloniale britannico, è da tenere distinta da tutto il resto.
Non ci sono aree off limits per gli ebrei in Palestina, e finché le forze politiche palestinesi rivendicheranno la cacciata dei coloni dagli insediamenti, vuol dire che vogliono la cacciata di Israele, il primo e più grande insediamento, da quella che considerano la loro terra.
Si possono avere obiezioni politiche di ogni sorta alla strategia degli insediamenti territoriali e alla stessa decisione (temuta da Ben Gurion) di mantenere così a lungo l’occupazione dei territori; gli insediamenti corrispondono, come tutti sappiamo, al fondo più estremo ed espansivo dell’ideologia sionista, del suo profetismo nazionale e biblico, ma si deve partire dalla realtà e insieme dalla potenza d’immagine della verità: Israele, sfidato esistenzialmente, ha vinto la guerra ma resta in estremo pericolo, e i settlers sono quella sua avanguardia che offre con una vita di pazzesco eroismo quotidiano radici territoriali e civili all’albero della madrepatria, quella dei confini originari e riconosciuti dalla comunità internazionale ma non dai vicini di casa dello stato ebraico.
Niente è più strano della smemoratezza con cui l’opinione pubblica benpensante, compresi gli scrittori israeliani pieni di fervore e di buona fede, trascura di inserire nel suo giudizio le verità scomode per l’ideologia irenista: i muri difendono dal terrorismo, e una volta sradicati gli insediamenti, come a Gaza, bruciano le sinagoghe, crollano le pietre, vince l’estremismo fondamentalista.
La STAMPA - Angelo Pezzana : " Amos Oz e l’odio per Israele "
Amos Oz
Caro Direttore, nella cronaca di sabato 13 sugli incontri torinesi con Amos Oz, vedo citato il mio nome quale «esponente della comunità ebraica», una etichetta che non mi appartiene, non essendo nemmeno ebreo. Sono invece un cittadino europeo/torinese, che da più di trent’anni si occupa professionalmente delle vicende mediorientali, di Israele in particolare, mettendoci sempre la faccia, senza mai nascondere il mio pensiero.
Le accuse grottesche ad Amos Oz, che però hanno conquistato i titoli dei quotidiani, dimostrano quanto le menzogne paghino in fatto di visibilità, bastano otto (perché tanti erano) odiatori dello Stato ebraico con due striscioni per oscurare il nome di uno dei più grandi scrittori contemporanei, fatto passare per un guerrafondaio. Consola e fa ben sperare il grande successo che Oz ha avuto nel suo tour piemontese, prima o poi ci si renderà conto di ciò che divide la democrazia di Israele dal fanatismo dei suoi odiatori.
Cordialmente,
Angelo Pezzana
CORRIERE della SERA - Erika Dellacasa : " Giovane ebreo picchiato da palestinese. Da Israele accuse alla polizia di Genova "
Università di Genova
GENOVA — Ibrahim, palestinese di Gaza, nella sua stanza alla casa dello Studente a Genova prepara un esame, Assaf, israeliano, in quella casa — dice — non ci metterà più piede «perché per noi è diventata troppo pericolosa». La cronaca del violento scontro che li ha visti protagonisti è finita sul quotidiano Yediot Ahronot sotto il titolo «Fear in Genoa», paura a Genova ed è stata ripresa dalla radio militare e dal telegiornale serale di canale 2, il più seguito in Israele. Il quotidiano ha attaccato la polizia, sostenendo che ha sottovalutato il caso, come fece allo stadio con gli ultrà serbi. «Ho visto la morte in faccia» accusa lo studente israeliano, ventisei anni, iscritto da un anno e mezzo ad Architettura. «Non è vero. C’è stata solo una lite, anche se molto forte» si difende Ibrahim, 22 anni, al quarto anno di Medicina.
Il conflitto arabo-israeliano ha allungato la sua ombra e il suo carico di violente emozioni, improvvisamente, martedì scorso nella mensa universitaria di Genova. I due studenti concordano solo su un punto: la scintilla è stato uno sguardo. «Mi fissava, in modo ironico», dice Ibrahim. «Non posso guardare chi mi pare? Guardare non è tentare di uccidere», dice Assaf e continua «Ibrahim mi ha aggredito con un coltello, me lo ha puntato in faccia poi alla gola, gridava di volermi ammazzare. Sono riuscito a scappare ma nessuno mi ha aiutato». «Non avevo coltelli — dice Ibrahim —. Eravamo in mensa e in mano avevo una forchetta. Ci siamo spintonati, è vero, e hanno dovuto dividerci».
Assaf è andato prima all’ospedale (sette giorni di prognosi, mostra un segno rosso sulla gola) poi in questura per la denuncia. La Digos genovese è cauta sulla contestazione dell’odio razziale, le testimonianze sulla presenza di un coltello sono per ora molto vaghe e sembra che trovi riscontro solo la minaccia con la forchetta, le indagini sono in corso. La questura ha preso contatto con l’Università e con la comunità ebraica. «Questo è il primo episodio grave a Genova da molti anni - dice il rabbino Giuseppe Momigliano-. Hoparlato con Assaf, era molto scosso, negli ultimi tempi gli studenti israeliani hanno detto di soffrire per un’atmosfera più pesante all’Università. Spero che tutto questo non finisca per aumentare la tensione. Comunque non si è ritenuto necessario rinforzare la sicurezza per la sinagoga».
«Io sono di Gaza — racconta Ibrahim — da quattro anni non vedo la mia famiglia e chissà quando la potrò vedere, mio nonno è morto mentre io ero qui. Lui, Assaf, andava in giro a raccontare che da militare a Gaza ha ammazzato i palestinesi. Non voglio parlare con quelli come lui, non voglio averci nulla a che fare. Se mi salutano li saluto, ma è meglio se stiamo distanti. Qui ho molti amici italiani, gioco anche in una squadra di calcio, studio, non voglio guai».
Gli studenti israeliani — dice Assaf — sono sotto pressione: «dobbiamo uscire sempre almeno in due - racconta - soprattutto nel centro storico, in mensa non possiamo più andare perché gli arabi sono la maggioranza e le ragazze hanno paura».
Il pro-rettore Maurizio Martelli attende notizie precise sull’accaduto: «Prima si devono ricostruire i fatti — dice — poi l’Università prenderà i provvedimenti adeguati al caso. In base al regolamento si va da un semplice richiamo a sanzioni gradualmente più serie. Non era mai successo nulla di simile a Genova ma devo dire che non sono molto stupito. La tensione fra i due gruppi c’è, è reale, e non bisogna sottovalutare certi segnali per evitare che la situazione diventi grave». «Bisogna valutare le cose cercando di spogliarsi dall’emotività» dice il responsabile della comunità ebraica Maurizio Ortona «fatto è che gli studenti israeliani sono una ventina e quelli arabi molte centinaia. Anche il fattore numerico ha il suo peso». È una vicenda che è destinata a non finire qui. Anche l’Ambasciata israeliana è stata informata.
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