Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/06/2010, a pag. 2-3, le cronache di Gian Guido Vecchi titolate " Medio Oriente, appello del Papa: Evitate il bagno di sangue " e " Occupazione israeliana e Islam politico turbano la regione ", a pag. 3, l'intervista di Davide Frattini a David Rosen dal titolo " Il vero monito rivolto ai regimi dei Paesi arabi ", preceduta dal nostro commento. Dalla STAMPA, a pag. 1-31, l'articolo di Lucia Annunziata dal titolo " Se Benedetto parla come Obama ", preceduto dal nostro commento.
Benedetto XVI accusa Israele di essere la causa dell'emorragia di cristiani dal Medio Oriente : " Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione e imposto alle popolazioni una violenza che rischia di gettarle nella disperazione. La conseguenza di tutto ciò è l’emigrazione, specialmente dei cristiani ". Un'accusa disonesta che non rispecchia la situazione reale. I cristiani israeliani, infatti, non stanno emigrando. Non si può dire altrettanto di quelli residenti a Betlemme (sotto l'amministrazione della tanto osannata Anp) e a Gaza. I cristiani vengono perseguitati nei Paesi musulmani, non in Israele.
Benedetto XVI è a conoscenza di questi dati, perchè straparla ?
Inoltre lascia stupiti il suo silenzio sulla situazione in Turchia, dove i cristiani non hanno vita facile e dove la libertà di culto non è garantita.
Forse Benedetto XVI è come Guido Rampoldi, giornalista di REPUBBLICA, il quale oggi crede la Turchia 'sospesa tra Europa e islam'? Se Benedetto XVI pensa, con la sua politica, di 'recuperare una pecorella smarrita', si sbaglia di grosso. La Turchia non è sospesa. E' tutta pendente dalla parte islamica, ormai. Non c'è niente da recuperare e le dichiarazioni di Erdogan su Hamas non sono altro che l'ennesima prova.
Sullo stesso argomento invitiamo a leggere la 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di questa mattina, pubblicata in altra pagina della rassegna.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Medio Oriente, appello del Papa: Evitate il bagno di sangue "
Hamas esulta dopo le parole di Benedetto XVI
NICOSIA (Cipro) — Bloodshed, « bagno di sangue » . Non capita spesso che il Papa scelga parole così. Dopo la messa nel palasport, l’universalità delle preghiere in greco e in arabo, in inglese e in lingua filippina, dopo l’immagine-simbolo dell’arcivescovo ortodosso di Cipro Crisostomo II che sale verso l’altare a scambiare il segno di pace con il pontefice, Benedetto XVI «consegna» ai vescovi delle Chiese cattoliche orientali il documento comune di lavoro del sinodo di ottobre e scandisce: «Prego che i lavori dell’assemblea aiutino a volgere l’attenzione della comunità internazionale sulla condizione di quei cristiani in Medio Oriente che soffrono a causa della loro fede, affinché si possano trovare soluzioni giuste e durature ai conflitti che causano così tante sofferenze». Poi alza lo sguardo: «Ripeto il mio appello personale per uno sforzo internazionale urgente e concertato al fine di risolvere le tensioni che continuano nel Medio Oriente, specie in Terra Santa, prima che tali conflitti conducano a un bagno di sangue ancora più grande».
Benedetto XVI lo aveva detto appena arrivato a Cipro, quando gli chiedevano dell’attacco israeliano alla nave diretta a Gaza, «la soluzione non è la violenza ma la pazienza del bene». Prima di ripartire, all’aeroporto, torna a riferirsi ai conflitti e allo spargimento di sangue nel Mediterraneo orientale, «come abbiamo tragicamente visto negli ultimi giorni». Ma il «bagno di sangue» è quello di tutto il Medio Oriente. Come nell’intera regione, non solo a proposito dei muri fisici come a Gaza o a Cipro, si tratta di «abbattere le barriere tra noi e i nostri vicini», invoca il Papa durante la messa. I problemi che le comunità cristiane si trovano ad affrontare sono innumerevoli. Il documento dei vescovi orientali— un testo di lavoro, non definitivo, che servirà da base alla discussione del Sinodo — parla del «conflitto israelo-palestinese» come del «focolaio principale» dei vari conflitti, denuncia «il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani» e «l’egoismo delle grandi potenze» che «da decenni» hanno «destabilizzato l’equilibrio della regione», ma insieme parla degli «attacchi contro i cristiani» in Iraq e lancia l’allarme sull’estremismo dell’Islam politico, il «terrorismo mondiale», l’assenza di laicità nei paesi islamici ispirati alla sharia e lo stato di «non cittadinanza» dei cristiani.
In una situazione simile fanno testo le parole del Papa, che danno per così dire la linea al Sinodo. Benedetto XVI non si rivolge solo alle comunità internazionale. L’appello a non dimenticare le comunità orientali è anche per i cristiani d’Occidente e l’invito ad «abbattere le barriere» è diretto a tutti i fedeli che devono «essere il Cristo», dice: «Siamo chiamati a superare le nostre diffidenze, a portare pace e riconciliazione dove ci sono conflitti, ad offrire al mondo un messaggio di speranza, ad estendere la nostra attenzione ai bisognosi». La via della pace è il «trialogo» tra ebrei, cristiani e musulmani, aveva spiegato l’anno scorso in Terra Santa. E ora, rivolto ai vescovi orientali, ripete: «Voi desiderate vivere in pace e in armonia con i vostri vicini ebrei e musulmani». Ma chiede che i diritti dei cristiani «siano sempre più rispettati, compreso il diritto alla libertà di culto e alla libertà religiosa, perché non soffrite giammai di discriminazioni di nessun tipo». Del resto, ricorda, il Medio Oriente «ha un posto speciale nel cuore di tutti i cristiani», e ripete la stessa espressione già usata nell’incontro con gli ebrei americani per definire il popolo eletto: «Fu proprio da lì che Dio si è fatto conoscere ai nostri padri nella fede».
CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Occupazione israeliana e Islam politico turbano la regione "
NICOSIA (Cipro) — L’«instrumentum laboris» è il documento di lavoro che farà da base al sinodo sul Medio Oriente, in Vaticano dal 10 al 24 ottobre. E’ una sintesi, compiuta dalla segreteria del sinodo, delle risposte arrivate dai vescovi orientali, «dall’Egitto all’Iran», e da conferenze episcopali, dicasteri della Curia e religiosi. Il testo è di 41 pagine. Ecco i punti principali.
Cristiani— Persecuzioni, martirio. «La situazione attuale nel Medio Oriente è per non pochi versi simile a quella vissuta dalla primitiva comunità cristiana in Terra Santa», scrive nella prefazione l’arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del sinodo. In Iraq, si legge nel testo, «la guerra ha scatenato le forze del male nel Paese, all’interno delle correnti politiche e delle confessioni religiose». I cristiani sono «tra i più colpiti» perché «rappresentano la comunità irachena più esigua e debole». In Libano «i cristiani sono divisi», senza progetto comune. In Egitto «la crescita dell’Islam politico» rende «la vita esposta a serie difficoltà», si crea una «islamizzazione che penetra nelle famiglie». In «altri Paesi» la «dittatura» spinge «a sopportare tutto in silenzio per salvare l’essenziale».
Palestina— Il «conflitto israelo-palestinese» è definito «il focolaio principale». Si denuncia la violenza «tanto dei forti quanto dei deboli» e il «terrorismo mondiale più radicale» che «sfrutta» la situazione nella regione. La «occupazione» dei Territori è definita «una ingiustizia politica imposta ai palestinesi» che «rende difficile la vita quotidiana» agli stessi cristiani. E ancora, il passo più duro: «Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione e imposto alle popolazioni una violenza che rischia di gettarle nella disperazione. La conseguenza di tutto ciò è l’emigrazione, specialmente dei cristiani». Così, per israeliani e palestinesi, si ripete la soluzione «due popoli, due Stati».
Islam e laicità — La crescita dell’«Islam politico» e le «correnti estremiste» sono «una minaccia per tutti, ebrei, cristiani e musulmani». Negli stati a maggioranza musulmana « non c’è laicità, ad eccezione della Turchia» (dove peraltro la laicità «pone ancora problemi alla piena libertà religiosa»). L’Islam è in generale «religione di Stato, principale fonte di legislazione ispirata alla sharia». C’è solo libertà di culto ma la «libertà religiosa e di coscienza sono generalmente sconosciute nell’ambiente musulmano». Poiché i «musulmani non fanno distinzione tra religione e politica», i cristiani sono nella posizione di «non cittadini».
Gli ebrei — Il riferimento nel rapporto con gli ebrei sono i testi conciliari, a partire dalla Nostra Aetate. Il «dialogo con i fratelli maggiori» è detto «essenziale, benché non facile». Le relazioni risentono, ancora, del «conflitto israelo-palestinese». Si «rifiuta l’antisemitismo» e anche l’«antigiudaismo» è stato «superato dalle linee del Concilio, almeno a livello teorico». Quanto all’antisionismo, «è diffuso il parere che sia piuttosto una posizione politica e di conseguenza da considerare estranea ad ogni discorso ecclesiale».
Coerenza— Il documento invita sacerdoti e religiosi ad essere testimoni «coerenti» e modello per la comunità: «Molti fedeli auspicano una maggiore semplicità di vita, un reale distacco in rapporto al denaro e alle comodità del mondo, una pratica edificante della castità e una purezza di costumi trasparente».
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Il vero monito rivolto ai regimi dei Paesi arabi "
David Rosen minimizza la portata delle dichiarazioni di Benedetto XVI. La cosa non stupisce molto, vista la sua qualifica di consulente del rabbino capo a Gerusalemme per il dialogo inter-religioso.
Ecco l'intervista:
David Rosen
David Rosen è consulente del rabbino capo a Gerusalemme per il dialogo inter-religioso ed è stato nominato dal Vaticano cavaliere del Pontificio ordine equestre di San Gregorio Magno per il ruolo nella riconciliazione tra ebrei e cattolici.
Dal documento di lavoro preparato per il sinodo sul Medio Oriente: i cristiani devono «esigere con mezzi pacifici» che i loro diritti «siano riconosciuti dalle autorità civili». Rabbino, il Pontefice parla a/di Israele?
«Non credo. Israele è l’unica nazione in Medio Oriente dove la comunità cristiana sta crescendo: gli immigrati arrivati dall’ex Unione Sovietica, i lavoratori stranieri, filippini o africani. L’incremento esiste anche tra gli arabi della Galilea.
C’è più libertà religiosa nello Stato ebraico che in tutta la regione. Ammetto che la situazione a Gerusalemme Est sia complicata da ragioni politiche».
Quindi secondo lei si rivolge a Israele perché gli Stati arabi intendano?
«Non può dire: ci inquieta che in Arabia Saudita ai cristiani non sia permesso professare la loro fede apertamente o costruire una chiesa, i copti in Egitto o i cristiani in Iraq stanno scomparendo. Il testo deve essere ambiguo abbastanza per non irritare i regimi arabi. Usa parole che suonano rivolte a Israele e a tutti i Paesi dell’area. Ma pensa a loro».
Definisce il «dialogo con gli ebrei essenziale benché non facile», perché è influenzato dal conflitto israeliano-palestinese.
«Per le comunità cristiane locali non è semplice. I palestinesi sono influenzati dalle loro posizioni politiche. Ma Papa Ratzinger ha
già chiarito che la relazione tra il cattolicesimo e l’ebraismo è unica. È il solo dialogo teologico possibile».
La convivenza con i musulmani è chiamata «vitale»: «Da quello dipende il nostro futuro» . «È molto interessante la scelta delle due parole: "essenziale" va alla radice della relazione, al suo carattere profondo. "Vitale" riguarda la vita dei cristiani nei Paesi arabi, il loro rapporto con i regimi».
Benedetto XVI ha incitato i cristiani a non lasciare il Medio Oriente.
«La Chiesa non può abbandonare il suo luogo natale. Anche se ci potrebbe essere la tentazione di puntare su altre aree, dove i cattolici e i cristiani sono predominanti (l’America Latina, parte dell’Asia,sempre più l’Africa)».
Un altro passaggio: «La violenza tanto dei forti quanto dei deboli ha condotto unicamente a fallimenti e a uno stallo generale». Chi dobbiamo leggere dietro al termine «forti»? Israele?
«Non credo si riferisca alla contrapposizione israeliani-palestinesi. Forti sono i regimi dispotici e totalitari in Medio Oriente. Israele è l’unica democrazia, con i suoi difetti come ogni democrazia».
Ancora: «Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione» . «Il conflitto non è la causa dei problemi, fa da catalizzatore per tutta la frustrazione degli arabi della regione».
La STAMPA - Lucia Annunziata : " Se Benedetto parla come Obama "
Un pezzo elogiativo sulle dichiarazioni di Benedetto XVI che 'parla come Obama'. Non che sia un complimento...ma visto l'entusiasmo di Lucia Annunziata per Obama, deduciamo che per lei lo sia.
Ecco l'articolo:
Lucia Annunziata
Se è possibile mischiare cose che si muovono fra cielo e terra senza irriverenza, si potrebbe dire che il Santo Padre ieri si è espresso sul Medio Oriente come un democratico americano. Usiamo questa formula non per sminuire il discorso di Benedetto XVI, ma per sottolineare con chiarezza quanto di nuovo ci sembra sia emerso dal discorso con cui ha detto addio a Cipro, e dal documento che prepara il Sinodo sul Medio Oriente che si terrà a Roma in ottobre.
La frase che certamente ha avuto più impatto, anche emotivo, riguarda la chiara definizione di responsabilità di Israele: «L’occupazione di Israele dei territori palestinesi sta creando difficoltà nella vita di tutti i giorni, impedendo la libertà di movimento, della vita economica e religiosa», ha detto il Papa, definendola «un’ingiustizia politica imposta ai palestinesi».
Ma è davvero questa una drastica presa di posizione? In realtà su Israele il Vaticano non ha mai avuto toni teneri. Basta riandare con la mente agli interventi pubblici della Chiesa di Roma in merito alla invasione di Gaza da parte di Israele nel 2008.
Più rilevante pare oggi una precisazione che sottolinea la gravità dell’occupazione: un atto, dice Benedetto XVI, «che nessun cristiano può giustificare con pretese teologiche». Il riferimento è fra i più duri, e coinvolge quell’enorme movimento di neo-evangelici (in Usa alcuni ne contano 50 milioni) che giustificano con il percorso della fine della storia, l’esistenza di Israele, e militano al suo fianco. È un fenomeno molto conosciuto negli Stati Uniti, che ha avuto il volto soprattutto del predicatore Jerry Falwell, uomo noto per il suo radicalismo repubblicano.
Forse qui troviamo una chiave di volta del discorso del Papa. Forse è proprio la condanna di ogni estremismo, in qualunque religione, o meglio l’uso della religione come giustificazione di estremismo politico, ad essere il filo che percorre l’intervento di Benedetto XVI.
Meno risalto hanno avuto ieri le sue parole sul mondo arabo, ma non sono state meno forti. Se la relazione con gli ebrei è stata definita «essenziale, benché non facile», quelle «tra cristiani e musulmani sono, più o meno spesso, difficili», ha detto il Papa. E ha introdotto una ragione di distanza fra mondo musulmano e visione cristiana di natura politica oltre che religiosa: «Soprattutto per il fatto che i musulmani non fanno distinzione tra religione e politica, il che mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini». Un taglio netto, e di profonda inconciliabilità, attuato intorno all’idea di cittadinanza, e che in maniera elegante parla dell’essenza di una dittatura.
Benedetto XVI, dunque, ieri non ha risparmiato critiche a nessuno dei protagonismi radicali in Medio Oriente: che sia l’esercizio delle armi di Israele, o il giustificazionismo in nome del Vangelo, o le dittature arabe.
In questo senso la denuncia che ha fatto della precarietà e delle responsabilità mediorientali, non si riferisce solo al governo di Gerusalemme: «Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione e imposto alle popolazioni una violenza che rischia di gettarle nella disperazione». In questo senso, nella sua posizione si avverte quella di Obama: la novità che agisce oggi in Medio Oriente, e che è all’origine di molte delle tensioni, è proprio il cambiamento di lettura che vi ha portato il Presidente Usa. Con il suo discorso del Cairo agli arabi, Obama ha spostato lui stesso l’accento dalla ragione di questo o quello Stato, alle ragioni della cittadinanza: diritti umani, diritti civili, libertà, benessere, ovunque essi vengano violati. Un discorso che certamente ha in parte allontanato gli Usa dal loro ruolo di difensori senza se e senza ma di Israele, che però ha il merito di poter suonare la stessa campana dappertutto, e in tutte le orecchie. Dalla diplomazia, alla società civile, si direbbe in gergo europeo.
Interessante è dunque che anche il Papa abbia parlato di cittadinanza da recuperare, nel senso dei valori di individuo e di libertà innanzitutto. Benedetto XVI si riferisce ai cristiani. Sappiamo qual è la sua preoccupazione su questo tema alla luce delle persecuzioni che i cristiani subiscono in tutti i Paesi arabi, certo non solo a Gaza o nei Territori ex Occupati della Cisgiordania. L’uccisione in Turchia di padre Padovese è ancora nella testa di tutti. La richiesta ai cristiani di diventare il metro di misura dei diritti di tutti è, in effetti, la scelta anche da parte del Santo Padre di puntare sul protagonismo della società civile prima ancora che sui grandi accordi internazionali.
Fin qui l’analisi razionale delle parole. Ma c’è un aspetto emotivo negli interventi - e anche questo va valutato. È indubbio che l’intervento papale è risuonato soprattutto per le affermazioni su Israele. Ed è indubbio che questa eco c’è stata a causa del massacro di pacifisti sulle navi dirette a Gaza. La nostra percezione, in questo senso, più che delle posizioni del Vaticano, ci racconta quanto forte sia in questo momento il sentimento nell’opinione pubblica contro Israele.
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