Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/05/2010, a pag. 21, l'intervista di Viviana Mazza a El Baradei dal titolo " Il Nobel El Baradei al clan Mubarak: 'Un Egitto libero' ".
El Baradei
VIENNA – Tra tappeti antichi e quadri moderni, nel suo salotto nel cuore di Vienna, Mohammed ElBaradei si concede una pausa. Il paladino della diplomazia con l’Iraq e l’Iran, l’egiziano dai baffi curati e gli occhiali tartarugati che la Cia sotto Bush sorvegliava con una cimice nel telefono ha lasciato a dicembre la guida dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu, dopo 12 anni e un Nobel per la Pace. Ma non s’è abbandonato a tempo pieno ai suoi hobby — jazz, poesia, comprare vestiti alla nipotina Maya di 2 anni. A 67 anni, la sua vita è più intensa che mai. Tiene conferenze sui «problemi globali» e, appena può, va in Egitto dove intellettuali e membri dell’opposizione lo spingono a candidarsi nel 2011 alla presidenza, che Hosni Mubarak detiene da 29 anni. Si candiderà se le elezioni saranno democratiche, ha detto. E con lo slogan taghyeer (cambiamento) ha lanciato una petizione per riformare il processo elettorale e abolire la legge marziale in vigore dal 1981, appena prorogata di 2 anni. «L’Egitto rischia di esplodere», scrive su Twitter. «Il cambiamento è inevitabile».
Lei avverte che l’Egitto «è una bomba a orologeria». Perché?
«Se si continua a reprimere la gente con la legge di emergenza, col carcere, negando diritti fondamentali come quello di riunirsi, prima o poi ci sarà una rivolta. Nessuno è felice. Il 42% degli egiziani vive con un dollaro al giorno, il 30% non sa leggere e scrivere, la disoccupazione è dilagante, la corruzione ovunque… Per la maggioranza la priorità sono i bisogni primari, non c’è speranza per il futuro. E se hai i soldi, vivi isolato in zone residenziali ma non puoi comprare l’aria pulita o una burocrazia funzionante. Nessuno sente di poter controllare il proprio destino. Voglio far capire al regime che è meglio cambiare in modo pacifico».
Il governo la invita a candidarsi, nel rispetto delle regole.
«Ne sarebbero felici perché legittimerei un sistema che è totalmente autocratico. Non lo farò ameno che vi siano le garanzie presenti in ogni sistema democratico: supervisione della magistratura, osservatori internazionali, par condicio, diritto di voto agli egiziani all’estero. La costituzione chiude la porta ai candidati indipendenti e, se vuoi farlo con il tuo partito, devi averlo da 4 anni. La sola via è unirsi a un partito esistente, approvato da un comitato controllato dal partito al potere, ma francamente è ridicolo».
Allora come spera di cambiare le cose?
«Abbiamo 100mila firme per il cambiamento: raggiunti alcuni milioni, il governo dovrà ascoltare la gente. Quando potrò dire che rappresento la maggioranza degli egiziani, avrò una piattaforma diversa sia all’interno del Paese che all’estero. Non posso avere un quartier generale né raccogliere fondi, così uso internet, Twitter e i media tradizionali. Quando sono in Egitto cerco di incontrare la gente anche se con difficoltà perché la legge di emergenza non consente di riunire più di cinque persone senza permesso. Cerco di aggirare il sistema».
Mubarak dice che il Paese sta già cambiando.
«Cambiamento per me vuol dire democrazia, libertà e giustizia sociale. Non sarà rapido come il caffè solubile ma non staremo ad aspettare Godot. La gente è povera, non stupida: quando viene picchiata alle manifestazioni, questo non è cambiamento, è il Medioevo. Giustificano la legge marziale con la lotta al terrorismo. Certo, la sicurezza va garantita ma non dovrebbe essere un pretesto per reprimere la libertà del popolo».
Lei ha l'appoggio dei Fratelli musulmani. C'è chi teme che mirino ad uno Stato islamico, ad imporre la sharia.
«Controllano il 20% del parlamento e non puoi impedire che partecipino alla politica per via del background musulmano. Ovviamente devono accettare che questo è uno Stato secolare, rispettare la Costituzione. Ma il governo egiziano spaventa l’Occidente dicendo che la scelta è tra un sistema autoritario e Bin Laden. È falso: la Fratellanza musulmana non usa mai la violenza ed è pronta a lavorare in parlamento. Si parla tanto di sharia. La costituzione dice già che questo è uno Stato musulmano e la sharia è la principale fonte di legislazione. La sharia ha interpretazioni diverse e sono questioni da discutere ma non hanno nulla a che fare con gente come Bin Laden, che pratica la violenza usando la religione come pretesto. La radicalizzazione in Medio Oriente mi preoccupa. Nasce dalla perdita di speranza e di dignità. Ma la stabilità si ottiene solo se il popolo elegge liberamente il governo».
L'esempio di suo padre è stato importante per lei?
«Probabilmente. Era un avvocato, presidente dell’Ordine, e si scontrò spesso con Nasser e con Sadat per la libertà e la democrazia. Ciò che so con certezza è che per me la libertà è vita. Credo che non andremo da nessuna parte se non siamo liberi. La famiglia umana continuerà ad auto-distruggersi».
In futuro, si farà vedere più spesso nelle strade in Egitto?
«Sì, ma devo fare le cose gradualmente. Devo far capire alla gente che c’è un legame tra benessere e libertà. Per chi non ha mai conosciuto la democrazia, è difficile capire che un sistema politico libero garantisce una vita migliore».
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