Sull' OPINIONE di oggi, 08/05/2010, con il titolo " Con Israele e per la Ragione"
Dimitri Buffa commenta l'appello di Fiamma Nirenstein diffuso da Informazione Corretta, il Folgio, L'Occidentale.
Segue un commento con gli aggiornamenti diffuso dal sito www.fiammanirenstein.com
e la riproposta del testo dell'appello "Con Israele, con la Ragione"
L'Opinione-Dimitri Buffa: " Con Israele e per la Ragione "
Con l¹arrivo della bella stagione ci sono intellettuali ebrei che si
cimentano con l¹ambiguità degli "appelli alla ragione", sempre mono diretti
contro la attuale dirigenza politica israeliana, con la stessa
superficialità con cui le signore cambiano il guardaroba. Basta leggere
l¹ormai famoso "J call", sottoscritto in Italia da personaggi culturalmente
qualificati come Gad Lerner e Moni Ovadia, per rendersene conto.
C¹è un passaggio in particolare che denota una scarsa onestà intellettuale,
o alternativamente una incoercibile voglia di firmare, per chi l¹ha
sottoscritto. Quello in cui si dice che "ancora una volta l'esistenza di
Israele in pericolo" e che però il pericolo non proviene soltanto dalla
minaccia di nemici esterni, ma dall'occupazione e dalla continua espansione
delle colonie in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, un
errore morale e politico che alimenta, inoltre, un processo di crescente,
intollerabile delegittimazione di Israele in quanto stato.
Poi si prospettano queste due alternative esistenziali: presto Israele
sarà posta di fronte ad un'alternativa disastrosa : o diventare uno stato
dove gli ebrei saranno minoritari nel loro proprio paese o mantenere un
regime che trasformerebbe Israele in uno stato paria nella comunità
internazionale e in un perenne teatro di guerra civile."
Naturalmente i governi israeliani non sono del tutto immuni da colpe nella
propria poiltica di sicurezza. Ma questa parola, nell¹appello dei "J call"
non viene quasi mai menzionata. Eppure la "ragione" ci dice che quando si
vive da 62 anni con l¹acqua alla gola in un contesto geografico dove tutti
vogliono la tua morte, esiste il principio del "primum vivere e deinde
philosophari".
Ora questo appello, cui peraltro ha risposto indirettamente Elie Wiesel
("per me Gerusalemme è al di sopra della politica.. e, contrariamente a
certe notizie di stampa, ebrei, cristiani e musulmani possono costruire le
loro case in tutta la città"), e molto più direttamente qui in Italia la
parlamentare del Pdl Fiamma Nirenstein, non tiene in alcun conto la realtà
delle cose.
Sostiene l¹appello della Nirenstein che "l¹aggressione a Israele dei
firmatari del documento Jcall è ispirata da una visione miope della storia
del conflitto arabo-israeliano, da una mancanza di percezione chiara del
pericolo che Israele corre oggi di fronte a un grande attacco fisico e
morale. E¹ addirittura incredibile che personaggi intelligenti e colti come
Alain Finkelkraut e Bernard-Henri Levy, invece di occuparsi dell¹Iran che
ben presto terrà tutto il mondo nel raggio della minaccia della sua bomba
atomica, bamboleggino con l¹idea che Benjamin Netanyahu sia il vero ostacolo
alla pace..."
In effetti Gerusalemme Est è nella disponibilità dei palestinesi dall¹epoca
del tratatto di Oslo, ma questa cosa non ha mai favorito alcun dialogo.
Perché mentre un popolo, quello israeliano, cerca soluzioni diplomatiche a
dure se non crudeli rinunce, l¹altro popolo, quello palestinese, a causa
della propaganda islamista oggi e di quella pan arabista ieri, cerca solo
una maniera di ricacciare tutti gli ebrei via da quel pezzo di terra grosso
come il Lazio.
Rileva la Nirenstein che "voler spingere Israele a concessioni territoriali
senza contraccambio significa semplicemente consegnarsi nelle mani del
nemico senza nessuna garanzia: lo sgombero di Gaza, compiuto senza
trattativa, ha portato risultati disastrosi, il territorio lasciato dagli
abitanti di Gush Katif è diventato un¹unica rampa di lancio per missili e
terroristi; la trattativa di Ehud Barak, intesa a cedere a Arafat
praticamente tutto quello che chiedeva, portò semplicemente all¹orrore della
seconda Intifada, con i suoi duemila morti uccisi da attentati suicidi. Lo
sgombero della fascia meridionale del Libano nel 2000 ha rafforzato gli
Hezbollah, li ha riempiti di missili, ha condotto alla guerra del 2006."
Oggi c¹è questa amministrazione di Obama che sembra molto propensa a
chiedere sulla pelle di tutti gli israeliani, questo tipo di concessioni
senza contro partita. Si pensi anche agli accordi che si vorrbbero imporre
per fare restituire alla Siria le alture del Golan da cui bombardare il
territorio israeliano diventerebbe come lo sport del tiro a segno. Come dice
la Nirenstein: "Alain Finkelkraut, Bernard-Henri Levy e i loro amici
sostengono di preoccuparsi per il futuro e la sicurezza d¹Israele, ma di
fatto ignorano l¹elemento basilare che ha impedito ai processi di pace di
andare in porto, ovvero il rifiuto arabo e palestinese di riconoscere
l¹esistenza stessa dello Stato d¹Israele come dato permanente nell¹area.
Basterebbe che ogni mattina leggessero la stampa palestinese e araba e se ne renderebbero conto."
E infatti se ne è reso conto Daniel Pipes che proprio ieri in un articolo
ricoradava i monitoraggi di Palestinian Media Watch di Itamar Marcus che
ogni giorno che Dio manda in terra ci raccontano di che razza di propaganda
anti semita grondino i media della zona.
Scrive Pipes che "la politica dell'Anp di intitolare le scuole, i campi
estivi, gli eventi sportivi, le strade e le cerimonie alla memoria di
terroristi mina sostanzialmente la possibilità di percorrere la strada della
pace". Ma questa precondizione di civile convivenza tra popoli nella stessa
area sembra non avere alcuna importanza per gli Henry Levy, i Lerner, gli
Ovadia e i Finkelkraut. Loro hanno abbracciato l¹ideologia del senso di
colpa imposta dalla comunità internazionale e credono davvero che qualche
migliaio di coloni con un problema di abusivismo edilizio siano il vero
ostacolo per la pace.
Dimitri Buffa
M.O., Nirenstein: oltre 1500 firme all'appello internazionale in risposta a JCall
“Sono già oltre 1500 le adesioni, tra cui quelle di numerosi personaggi di rilievo internazionale, all’appello in risposta a JCall, lanciato giovedì da Fiamma Nirenstein, giornalista e parlamentare, dal quotidiano Il Foglio, dal sito “Informazione Corretta” e da L’Occidentale.
Tra le ultime firme celebri quelle di Vittorio Sgarbi, Raffaele La Capria e Oliviero Toscani, che vanno ad affiancare nell'adesione all'appello Paolo Mieli, Giuliano Ferrara, Alain Elkann, l’On. Enrico Pianetta, presidente dell’Associazione parlamentare di Amicizia Italia-Israele, Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, Dore Gold, ex Ambasciatore di Israele all’Onu, il filosofo francese Shmuel Trigano, Norman Podhoretz, scrittore americano ed ex direttore di Commentary Magazine, la studiosa americana Phyllis Chesler, il professor Giorgio Israel, i giornalisti Angelo Pezzana, Giancarlo Loquenzi, Giulio Meotti e Carlo Panella e numerosi parlamentari.
L’appello, diffuso anche in inglese, francese e spagnolo vuole essere una risposta a JCall, il gruppo di intellettuali francesi che lunedì scorso ha presentato al Parlamento Europeo un documento chiamato “Appello alla ragione”, in cui si oppone all’odierna politica israeliana.
“Con Israele, con la ragione” – così è intitolato il documento promosso da Nirenstein e gli altri - sostiene invece che il principale ostacolo al processo di pace sia il rifiuto arabo e palestinese di accettare lo Stato d'Israele come dato permanente nell'area mediorientale e che solo una rivoluzione culturale in tal senso potrà favorire un reale cambiamento. L'appello si ripropone inoltre di creare in Europa un movimento di sostegno alle ragioni di Israele come premessa basilare per un reale ed effettivo percorso di pace”.
Seguono il testo dell’appello e la lista dei primi firmatari.
Informazioni: 393-8058906 (segreteria On. Fiamma Nirenstein)
Roma, 8 maggio 2010
"CON ISRAELE, CON LA RAGIONE"
L’aggressione a Israele dei firmatari del documento Jcall è ispirata da una visione miope della storia del conflitto arabo-israeliano, da una mancanza di percezione chiara del pericolo che Israele corre oggi di fronte a un grande attacco fisico e morale. E’ addirittura incredibile che personaggi intelligenti e colti come Alain Finkelkraut e Bernard-Henri Levy, invece di occuparsi dell’Iran che ben presto terrà tutto il mondo nel raggio della minaccia della sua bomba atomica, bamboleggino con l’idea che Benjamin Netanyahu sia il vero ostacolo alla pace, che l’impedimento essenziale per giungere a una risoluzione del conflitto sia un ipotetico, riprovevole atteggiamento israeliano. Sembra che gli intellettuali firmatari ignorino la realtà e inoltre che se ne infischino del contributo che il loro documento darà e sta già dando al movimento di delegittimazione senza precedenti che minaccia concretamente la vita di Israele.
Voler spingere Israele a concessioni territoriali senza contraccambio significa semplicemente consegnarsi nelle mani del nemico senza nessuna garanzia: lo sgombero di Gaza, compiuto senza trattativa, ha portato risultati disastrosi, il territorio lasciato dagli abitanti di Gush Katif è diventato un’unica rampa di lancio per missili e terroristi; la trattativa di Ehud Barak, intesa a cedere a Arafat praticamente tutto quello che chiedeva, portò semplicemente all’orrore della seconda Intifada, con i suoi duemila morti uccisi da attentati suicidi. Lo sgombero della fascia meridionale del Libano nel 2000 ha rafforzato gli Hezbollah, li ha riempiti di missili, ha condotto alla guerra del 2006.
Alain Finkelkraut, Bernard-Henri Levy e i loro amici sostengono di preoccuparsi per il futuro e la sicurezza d’Israele, ma di fatto ignorano l’elemento basilare che ha impedito ai processi di pace di andare in porto, ovvero il rifiuto arabo e palestinese di riconoscere l’esistenza stessa dello Stato d’Israele come dato permanente nell’area. Basterebbe che ogni mattina leggessero la stampa palestinese e araba e se ne renderebbero conto. Nessuna concessione territoriale di quelle che gli intellettuali francesi sembrano desiderare con tanta energia può garantire la pace, ma solo una rivoluzione culturale nel mondo arabo. E nessuno la chiede, nemmeno Obama che invece preme solo su Israele. E’ divenuta la moda di questo tempo.
L’attacco a Netanyahu che si legge nell’appello di Jcall è volto a destrutturare la sua coalizione di destra. Ma la realtà è che non è mai contato nulla che un governo israeliano fosse di destra o di sinistra: i Palestinesi hanno sempre comunque rifiutato ogni proposta di pace.
Ma che Israele diventi ancora più piccolo non servirà a niente finché Abu Mazen non rinuncerà a intitolare le piazze al nome dell’arciterrorista Yehiya Ayash, finché il mondo palestinese non smetterà di distribuire caramelle quando viene ucciso un ragazzo ebreo in qualche ristorante, finché non accetterà la richiesta davvero minimalista di Netanyahu di riconoscere che lo Stato di Israele è lo Stato del popolo ebraico.
Sembrano ignorare questo dato evidente anche gli intellettuali israeliani che hanno firmato un documento addirittura contro il premio Nobel Elie Wiesel che ha scritto una nobilissima lettera in sostegno di Gerusalemme come patria morale e storica del popolo ebraico.
E’ una triste epidemia perbenista, con la quale probabilmente si pensa di fornire un po’ d’ossigeno ai movimenti pacifisti che in questi anni non ha saputo altro che fallire ripetutamente sullo scoglio della cultura dell’odio islamista e contribuire alla diffamazione di Israele. Ma non si arriverà a nessun processo di pace (e le generose offerte di Olmert rifiutate da Abu Mazen ne fanno fede) finché una larga parte del mondo non smetterà di sperare che la distruzione di Israele sia dietro l’angolo, sulla scia della nuova eccitazione islamista dell’Iran e dei suoi amici Siria, Hezbollah, Hamas tutti sempre più armati di armi letali, e non solamente di vane parole, come i firmatari dell’”appello alla ragione”. Ma anche le parole possono uccidere e distruggere.
Non ci sfugge, di fronte a una così evidente ignoranza della politica della mano tesa di Netanyahu con il discorso di Bar Ilan e il congelamento di dieci mesi degli insediamenti, lo sblocco di molti check point e la promozione di importanti misure per agevolare l’economia palestinese, che sia presente nel “documento Finkelkraut” un traino obamista, un perbenismo da salotto buono cui spesso gli intellettuali non sanno dire no. Esso mette i nemici di Israele, e sono più di sempre e più agguerriti, nella condizione di delegittimare e attaccare lo Stato ebraico, dicendo: “Anche molti ebrei sono dalla nostra parte”. Se questo era lo scopo dei firmatari, lo hanno raggiunto.
per firmare:
Le sottoscrizioni in continuo aggiornamento sono visibili al link: http://www.petitiononline.com/israel48/petition-sign.html
Primi firmatari:
Fiamma Nirenstein (giornalista e deputato), Giuliano Ferrara (direttore de Il Foglio), Paolo Mieli (presidente Rcs Libri, ex direttore del Corriere della Sera), Angelo Pezzana (giornalista, informazionecorretta.com e Libero), Ugo Volli (semiologo, Università di Torino), Shmuel Trigano (professore, Universités à Paris X-Nanterre), Giorgio Israel (Università La Sapienza), Giulio Meotti (giornalista, Il Foglio), Raffaele La Capria (scrittore), Vittorio Sgarbi (critico d'arte), Oliviero Toscani (fotografo), Evgeny Kissin (pianist), Gianni Vernetti (deputato, ex Sottosegretario agli Esteri), Peppino Caldarola (giornalista), Alain Elkann (scrittore, consigliere Ministero Beni Culturali), Carlo Panella (giornalista, Il Foglio), Susanna Nirenstein (giornalista), Emanuele Ottolenghi (Senior Fellow, Foundation for the Defense of Democracies), Daniele Scalise (giornalista), Giancarlo Loquenzi (Direttore, l’Occidentale), Edoardo Tabasso (professore, Università di Firenze), Leonardo Tirabassi (presidente Circolo dei Liberi Firenze, Fondazione Magna Carta), Angelo Moscati (Presidente Benè Berith Giovani Italia), Johanna Arbib (World Chairman Board of Trustees Keren Hayesod), Giacomo Kahn (Direttore mensile Shalom), Magdi Allam (parlamentare europeo), Luigi Compagna (senatore), David Cassuto (ex vicesindaco di Gerusalemme), Riccardo Pacifici (presidente Comunità Ebraica di Roma), Anita Friedman (Associazione Appuntamento a Gerusalemme), Cecilia Nizza (Consigliere Comunità Ebraica Italiana, Gerusalemme), Leone Paserman (presidente della fondazione Museo della Shoah di Roma), Massimo Polledri (deputato), Enrico Pianetta (deputato, Presidente Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele), Alessandro Pagano (deputato), Renato Farina (deputato), Marco Zacchera (deputato), Gennaro Malgieri (deputato), Andrea Orsini (deputato), Dore Gold (President, Jerusalem Center for Public Affairs, former Ambassador of Israel to the UN), Norman Podhoretz (Writer, Editor-at-Large, Commentary Magazine), Michael Ledeen (Freedom Scholar, Foundation for Defense of Democracies), Barbara Ledeen (senior advisor, The Israel Project), Phyllis Chesler (Emerita Professor of Psychology and Women's Studies, City University of New York), Nina Rosenwald (Editor-in-Chief, www.hudson-ny.org), Harold Rhode (esperto di Medioriente, ex Pentagono) Caroline Glick (editorialista, Jerusalem Post), Rafael Bardaji (Foreign Policy director, FAES Foundation), Raffaele Sassun (Presidente Keren Kayemeth LeIsrael Italia), Max Singer (a founder and Senior Fellow, Hudson Institute), George and Annabelle Weidenfeld (President, Institute for Strategic Dialogue), Anna Borioni, (associazione Appuntamento a Gerusalemme), Efraim Inbar (Director, Begin-Sadat Center for Strategic Studies), Zvi Mazel (former Ambassador of Israel to Egypt and Sweden), George Jochnowitz (Professor emeritus of Linguistics, College of Staten Island)
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