JCall - con amici così, chi ha più bisogno di nemici? Commento del Foglio e Udg entusiasta sull'Unità
Testata:Il Foglio - L'Unità Autore: La redazione del Foglio - Umberto De Giovannangeli Titolo: «Piccoli Lerner crescono - Appello di 3mila ebrei europei: Israele, ragiona. Basta colonie -»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 04/05/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Piccoli Lerner crescono". Dall'UNITA', a pag. 26, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo "Appello di 3mila ebrei europei: Israele, ragiona. Basta colonie ", a pag. 27 la sua intervista a Zeev Sternhell dal titolo " Netanyahu ascolti questi veri amici del nostro Stato ".
L'idea della petizione J-Call contro Israele è piaciuta alla redazione dell'UNITA', che la descrive negli articoli di Udg. " Un atto d’amore verso Israele. Ma un amore sincero, e per questo anche critico ". Con queste parole Udg scrive di JCall. JCall non ha niente a che vedere con l'amore per Israele, se no non sarebbe mai nato. E' un appello in malafede pieno di accuse infondate contro Israele. Per quanto riguarda il terrorismo islamico di Hamas, Hezbollah, nemmeno una parola. JCall è nato con l'unico scopo di fornire agli odiatori di Israele un'altra cassa di risonanza in Europa. Si veda il contro-appello uscito domenica su IC dal titolo "Salviamo la ragione" e la cartolina da Eurabia di Ugo Volli su IC di oggi sulle stesso argomento.
Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " Piccoli Lerner crescono "
Bernard-Heni Lévy
Bruxelles. Lo hanno chiamato J-Call – “European Jewish Call for Reason” – ma è la versione in salsa europea di J-Street – la lobby ebraica liberal e pacifista nata nel 2008 in risposta all’American Israel Public Affairs Committee. Ha raccolto l’adesione di tanti intellettuali e commentatori europei, dai Bernard-Henri Lévy ai Gad Lerner, ed è un “appello alla ragionevolezza” per la pace tra Israele e i palestinesi. Ma la ragionevolezza è stata riassunta nella critica al governo del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Gli intellos impartiscono lezioni sul “futuro di Israele”, ma dimenticano il programma nucleare dell’Iran, i missili Scud consegnati dalla Siria a Hezbollah e i razzi che Hamas continua a lanciare da Gaza. Dicono “siamo al di sopra delle divisioni partigiane”, ma rivendicano di essere “la sinistra ebraica della diaspora”, da non confondere con “la sinistra al governo in Israele”, come spiega al Foglio il professore Zeev Sternhell, uno dei promotori. L’appello di J-Call, lanciato ieri a Bruxelles da diverse personalità e associazioni ebraiche, è un riassunto di vecchie posizioni ideologiche. Il pericolo per Israele è “l’occupazione e il proseguimento ininterrotto degli insediamenti in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme est, che sono un errore politico e una colpa morale”, recita il testo dell’appello sottoscritto da più di tremila persone. “La sopravvivenza di Israele in quanto stato ebraico e democratico (…) è condizionata alla creazione di uno stato palestinese sovrano e indipendente”. “L’allineamento sistematico alla politica del governo israeliano è pericoloso perché va contro i veri interessi dello stato ebraico”. Domani Israele e Autorità palestinese si preparano a riprendere i negoziati di pace indiretti, congelati dopo le polemiche sui nuovi alloggi a Gerusalemme est. L’Unione europea ha detto di “sostenere” la ripresa del dialogo condotto dall’inviato speciale americano George Mitchell, dopo che Netanyahu ha accettato di mettere “tutte le questioni” sul tavolo, compreso il futuro di Gerusalemme e le frontiere palestinesi. L’utilità di una lobby ebraica pacifista in Europa? Praticamente nulla, sembra riconoscere Elie Barnavi, ex ambasciatore israeliano a Parigi, ora diventato direttore del Museo dell’Europa a Bruxelles, in un’intervista a Le Soir: “Qui in Europa non è necessario” fare come J-Street che deve “convincere i decisori americani”. Le richieste di J-Call, in realtà, sono già contenute in centinaia di risoluzioni dell’Europarlamento, di dichiarazioni della Commissione e di conclusioni dei Consigli dei ministri degli Esteri dell’Unione europea. Ieri all’Europarlamento, oltre a David Chemla, Zeev Sternhell e Elie Barnavi (tutti militanti di Peace Now), i protagonisti erano il leader dei verdi Daniel Cohn- Bendit e il socialista francese Vincent Peillon. Ma tra i firmatari dell’appello ci sono anche intellettuali che hanno osato infrangere le barriere del politicamente corretto. Bernard-Henri Lévy ha promesso di andare “a Bruxelles a dire ciò che ho sempre detto: la delegittimazione di Israele è uno scandalo; se Israele non si libera dei territori, a termine non sarà più uno stato maggioritariamente ebraico”. Alain Finkielkraut ha firmato perché, “anche se Israele non è il solo responsabile di questa putrefazione, (…) la politica degli insediamenti mette a repentaglio gli interessi tanto degli israeliani quanto dei palestinesi”. Per Haaretz, J-Call è una “voce ebraica benvenuta” perché è una “risposta ai danni che i membri del governo Netanyahu, in particolare il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, stanno facendo agli interessi di Israele” in Europa. Nato in Francia, l’appello è stato condannato dal Crif, l’istituzione che rappresenta le comunità ebraiche francesi. J-Call “sarà ampiamente usato da quelli che sono i veri nemici di Israele”, ha spiegato il presidente del Crif Richard Prasquier. E poi: “Gli israeliani hanno bisogno della diaspora ebraica per sapere qual è la decisione giusta?”. Nessuna comunità ebraica britannica ha voluto aderire. Emmanuel Navon, professore all’Università di Tel Aviv, ha risposto sul suo blog sul Jerusalem Post: “Barnavi e i suoi amici stanno puntando il loro dito accusatore contro la persona sbagliata (...). Restando compulsivamente attaccati alla loro ideologia fallimentare, i firmatari di J-Call non sono meglio delle loro bestie nere politiche. Il messianismo politico, di destra o di sinistra, è sempre cattiva fede. J-Call è un appello alla cattiva fede”.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Appello di 3mila ebrei europei: Israele, ragiona. Basta colonie "
Alain Finkielkraut, uno dei firmatari di J Call
«Siamo cittadini ebrei di Paesi europei impegnati nella vita politica e sociale dei nostri rispettivi Paesi. Qualunque sia il nostro percorso personale, il legame con Israele è parte costitutiva della nostra identità. Il futuro e la sicurezza di questo Stato al quale siamo molto legati ci preoccupano... Ancora una volta l’esistenza di Israele è in pericolo. Il pericolo non proviene soltanto dalla minaccia di nemici esterni, ma dall’occupazione e dalla continua espansione delle colonie in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est, un errore morale e politico che alimenta, inoltre,unprocesso di crescente, intollerabile delegittimazione di Israele in quanto Stato...». APPELLO COSTRUTTIVO Un «Appello alla Ragione». Un atto d’amore verso Israele. Ma un amore sincero, e per questo anche critico. Un appello - che sarà presentato al Parlamento europeo e illustrato in una conferenza stampa a Bruxelles - sottoscrittoda oltre tremila ebrei europei, tra cui intellettuali e politici di primo piano come Bernard-Henri Levy, Alain Finkielkraut e Daniel Cohn-Bendit. I promotori di questa iniziativa, denominata JCall, paragonano i loro obiettivi a quelli di JStreet, una lobby ebraica americana pro-Israele di indirizzo liberal. La petizione di JCall ribadisce il diritto di Israele a esistere come «Stato ebraico e democratico», ma critica anche la politica israeliana degli insediamenti in Cisgiordania e sostiene la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, coesistente in pace al fianco di Israele. «La nostra iniziativa vuole mostrare che all'interno della comunità ebraica c'è un dibattito - un dibattito aperto - e chenonsiamo monolitici », spiega al quotidiano Haaretz David Chemla, uno dei promotori. «Noi ci identifichiamo con Israele e con i suoi diritti, ma samo critici. Questo è salutare siamo ebrei, sionisti e pronti a sollevarci per difendere il diritto all'esistenza di Israele, ma vogliamo mostrare che è giusto identificarsi con Israele e allo stesso tempo criticare alcune sue azioni». DIALOGO STRATEGICO Per questa ragione - rimarca l’Appello - «abbiamo deciso di mobilitarci intorno ai principi seguenti : 1) Il futuro di Israele esige di giungere a un accordo di pace con il popolo palestinese sulla base del principio di “due popoli, due Stati”. Lo sappiamo tutti, l’urgenza incalza. Presto Israele sarà posta di fronte ad un’alternativa disastrosa: o diventare uno Stato dove gli ebrei saranno minoritari nel proprio Paese o mantenere un regime che trasformerebbe Israele inunoStato paria nella comunità internazionale e in un perenne teatro di guerra civile; 2). È essenziale che l’Unione Europea a fianco degli Stati Uniti eserciti una pressione forte sulle parti in lotta e le aiuti a giungere a una composizione ragionevole e rapida del conflitto. L’Europa in ragione della sua storia ha una grande responsabilità in questa regione del mondo;. 3) Se la decisione ultima appartiene al popolo di Israele, la solidarietà degli ebrei della Diaspora impone di adoperarsi perché questa decisione sia quella giusta. Allinearsi in modo acritico alla politica del governo israeliano è pericoloso perché va contro i veri interessi dello Stato d’Israele. 4) Vogliamo dare vita a un movimento europeo capace di fare intendere a tutti la voce della ragione. Un movimento che si pone al di sopra delle differenze di parte e di ideologia con l’unica ambizione di adoperarsi per la sopravvivenza di Israele come Stato ebraico e democratico, che è strettamente legata alla creazione diunoStato palestinese sovrano e autosufficiente». DESTRA SPIAZZATA Gli «amici» non fanno sconti. Lo chiarisce uno dei firmatari: «Non credo che Netanyahu sia serio quandodice: “Due Stati per idue popoli”. Penso che lui non si fidi dei palestinesi, che voglia garantire la stabilità della sua coalizione di governo», afferma Alain Finkielkraut in una intervista alla radio militare israeliana. Quando il premier israeliano pronuncia quella formula, osserva l’intellettuale francese, «non c'è un significato reale». Finkielkraut ha aggiunto ancora di aver apposto la propria firma al documento «con grande sofferenza, e nella preoccupazione per il futuro di Israele». L’ «Appello» è stato subito accolto con grande favore da esponenti della sinistra sionista (come gli ex ministri Yossi Sarid e Shlomo Ben-Ami), mentre è stato respinto da esponenti della destra. «Si tratta di una importante assunzione di responsabilità - dice a l’Unità Yossi Sarid - da parte di personalità europee che non sono certo tacciabili di essere filo-palestinesi. I firmatari si schierano con le ragioni del dialogo e del compromesso. Concetti che non appartengono al vocabolario politico dei fautori di Eretz Israel».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Netanyahu ascolti questi veri amici del nostro Stato "
Zeev Sternhell
Una iniziativa di grande valenza politica, culturale, etica. Un movimento di opinione che ha il coraggio di guardare a Israele con un atteggiamento costruttivamente critico».Asostenerlo è uno dei più autorevoli storici israeliani: Zeev Sternhell. Qualèlavalenzadell'«Appello allaRagione »? «Una valenza importante, sotto vari punti di vista. È importante sul piano politico, perché l'appello è molto chiaro su alcuni punti cruciali... ». Quali? «Penso alla critica alla colonizzazione in atto nei quartieri arabi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania; una politica che svuota di contenuto concreto il principio, che i firmatari dell' appello sostengono, di “due popoli, due Stati”. Ma la forza dell'appello va oltre l'aspetto più propriamente politico. E tocca un nervo scoperto che investe il rapporto stesso tra lo Stato d'Israele e la Diaspora...». Come viene ridefinito questo rapporto? «In una concezione dialettica fecondamente critica. La Diaspora non è intesa come mera cassa di risonanza di qualsiasi scelta compiuta da coloro che governano Israele. Il rapporto si fa dialettico. E questa è un’acquisizione importante. Si critica Israele per quel che fa e non per quel che è. Si criticano scelte politiche, ritenute sbagliate; quelle scelte, come la colonizzazione, che non solo allontanano un accordo di pace ma che, rileva giustamente l'appello, alimentano la delegittimazione, a livello internazionale, di Israele comeStato. Molti degli intellettuali firmatari dell'appello sono considerati nei loro Paesi degli strenui difensori d'Israele. Ebbene, con questa presa di posizione ridefiniscono cosa sia “difendere” oggi Israele. Una difesa attiva, critica, costruttiva, il contrario di quell'appiattimento acritico che, rimarcano i firmatari, rappresenta un pericolo per Israele». Qual è l'altro aspetto dell'appello chedastoricoescienziatodella politica che l'ha più colpita? «L'aver evidenziato con chiarezza che la pace con i palestinesi e la costituzione di uno Stato di Palestina non sono delle concessioni al “nemico”,mai fondamenti per salvaguardare e rafforzare due pilastri dell'identità nazionale d'Israele: l'identità ebraica e la sua struttura democratica. L'appello lo affermacon grande coraggio intellettuale: se non imbocca questa strada, Israele – cito un passaggio dell' appello - “sarà posto di fronte ad un’alternativa disastrosa: o diventare uno Stato dove gli ebrei saranno minoritari nel proprio Paese o mantenere un regime che trasformerebbe Israele in uno Stato paria nella comunità internazionale e in un perenne teatro di guerra civile...”. È la verità. Ed è importante che è ribadirla siano tremila veri “amici d'Israele”». L'appello lancia un grido d'allarme: Israele è ancora una volta in pericolo, maesso viene anche dall'interno. «Israele ha il futuro nelle sue mani. Ha la forza per compiere scelte impegnative, deve trovare in sé la volontà, politica e morale, per imboccare la strada giusta: quella della pace. Una pace che non sarà a costo zero,masenza la quale Israele vedrà erodere le fondamenta della sua identità...Certo, la nostre capacità militari basteranno a preservare la sicurezza del Paese, ma senzauna scelta coraggiosa a favore della pace, Israele si vedrebbe trasformato in un ghetto atomico in perenne conflitto con l'esterno... ». La destra oltranzista israeliana non apprezzerà questo appello... «Non me ne meraviglio né mi spavento. Considero gli oltranzisti un pericolo per Israele, per le idee che professano e per come le portano avanti. Costoro sono portatori di una visione fondamentalista di Israele. La loro ostilità è la confermache l'appello dei Tremila va nella direzione giusta»
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