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La Stampa - Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
18.04.2010 Mentre Ahmadinejad lancia il suo vertice atomico la Cina continua a rifornirlo di benzina
La via del dialogo scelta da Obama si dimostra sempre meno efficace. Cronache di Maurizio Molinari, Luca Vinciguerra

Testata:La Stampa - Il Sole 24 Ore
Autore: Maurizio Molinari - Luca Vinciguerra
Titolo: «Ahmadinejad lancia il suo vertice atomico - Iran: la Cina garantisce le forniture di benzina»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 18/04/2010, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "  Ahmadinejad lancia il suo vertice atomico  ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 13, l'articolo di Luca Vinciguerra dal titolo "Iran: la Cina garantisce le forniture di benzina  ". Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Ahmadinejad lancia il suo vertice atomico "


Maurizio Molinari

Espulsione dell’America dall’Agenzia atomica, ispezioni nucleari in Israele e un numero esiguo di ospiti stranieri: la prima giornata del contro-summit nucleare a Teheran ha messo in rilievo argomenti e limiti della posizione iraniana nel braccio di ferro in corso con la comunità internazionale.
Gli argomenti sono quelli espressi dal presidente Mahmud Ahmadinejad e dalla Guida Suprema della rivoluzione Alì Khamenei nei discorsi iniziali del vertice che ha come motto «energia nucleare per tutti, armi atomiche per nessuno». Ahmadinejad ha accusato Barack Obama di essere «un bullo» perché «ci vuole proibire l’uso dell’energia nucleare» mentre l’America «ha usato l’atomica e minaccia di farlo ancora» al punto da dover essere considerata una «nazione criminale» dall’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) che «dovrebbe sospenderla assieme alle altre potenze nucleari che hanno il diritto di veto all’Onu». Khamenei ha aggiunto: «L’America è colpevole di aver consentito ai sionisti di trasformare la Palestina occupata in un deposito di atomiche». La richiesta all’Aiea è di «occuparsi delle armi nucleari che l’America vuole usare e Israele nasconde».
I limiti del summit hanno invece a che vedere con la partecipazione. Se l’intenzione di Teheran era di realizzare un contraltare al summit nucleare di Washington dove Obama ha riunito 47 leader stranieri, i risultati sono stati differenti: dei 60 Paesi rappresentati la gran parte ha inviato diplomatici di basso livello, Russia e Cina hanno mandato dei viceministri degli Esteri e i ministri degli Esteri sono stati, per ammissione degli organizzatori, «sette o otto». Fra questi ultimi gli unici a sostenere le posizioni di Teheran sono stati quelli di Siria, Libano e Iraq. «La più grave minaccia per il Medio Oriente sono gli arsenali atomici del regime sionista» ha affermato il siriano Walid Al-Muallem mentre l’iracheno Hoshiyar Zebari ha auspicato «ispezioni nelle installazioni israeliane» e il libanese Ali Shami ha messo in contrasto le «ingiuste pressioni in atto su Teheran» con «l’esatto contrario nei confronti di Israele».
L’attenzione degli osservatori era puntata soprattutto su Cina e Russia, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza a cui Teheran guarda nella speranza che possano bloccare con il veto la nuova risoluzione Onu contro il nucleare iraniano. Ma il viceministro di Pechino ha scelto un profilo molto basso mentre il parigrado russo, Sergei Rybakov, ha colto l’occasione per chiedere a Teheran di «ripristinare la fiducia della comunità internazionale sul fatto che il vostro programma nucleare ha davvero fini pacifici». Era stato il capo del Parlamento iraniano, Ali Larijani, a suggerire ad Ahmadinejad di rinunciare ad un summit le cui scarse adesioni avrebbero potuto «mettere in luce il nostro isolamento», trasformandosi in un boomerang.

Il SOLE 24 ORE - Luca Vinciguerra : " Iran: la Cina garantisce le forniture di benzina "

La Cina continua a giocare in modo ambiguo la complessa partita sul nucleare iraniano.
Secondo quanto riportato da fonti del settore petrolifero, in settimana, proprio mentre a Washington era in corso il summit sulla sicurezza atomica, la China National Petroleum ha inviato a Teheran una fornitura di 60mila barili di benzina del valore di 55 milioni di dollari. Frattanto, una sussidiaria del colosso petrolifero cinese molto attiva nel Golfo Persico ha siglato un accordo per vendere all'Iran altri 250mila barili di combustibile.
Può sembrare paradossale ma l'Iran, sebbene sia il quinto produttore petrolifero mondiale, avendo una scarsa capacità di raffinazione è costretto a importare oltre il 40% del suo fabbisogno di benzina. Benzina che, negli ultimi tempi, nel paese è iniziata progressivamente a scarseggiare. Per una semplice ragione: molte delle forniture solitamente destinate agli ayatollah sono state tagliateo ridotte sensibilmente.
Dietro la chiusura dei rubinetti delle forniture, ovviamente, c'è lo zampino degli Stati Uniti. In attesa di trovare un accordo multilaterale in seno alle Nazioni Unite (possibilmente che includa anche la Cina che finora è stata la più cauta e prudente ad imboccare la strada delle sanzioni) per convincere Teheran ad abbandonare con le buone o con le cattive i suoi programmi di sviluppo nucleare, Washington continua a lavorare sul piano unilaterale per mantenere costantemente sotto pressione il regime del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad.
Non è un caso che venerdì il premier malese, Najib Razak, giusto due giorni dopo l'incontro con Barack Obama svoltosi a margine del summit sul nucleare, abbia annunciato che la Malesia ha sospeso le forniture di benzina all'Iran elargite fin qui generosamente tramite la società Petronas.
Il fatto che a varare la sanzione volontaria sul combustibile sia stata una nazione islamica, che peraltro ha forti e consolidati rapporti economico- commerciali con il Medio Oriente, fa supporre che nelle ultime ore anche altri paesi abbiano iniziato a chiudere i rubinetti della benzina destinata a Teheran. Secondo fonti del settore, anche la compagnia petrolifera russa, Lukoil, avrebbe già sospeso le proprie forniture verso l'Iran.
In questo quadro, ovviamente, per il regime di Ahmadinejad gli approvvigionamenti di benzina "made in China" arrivano come la manna dal cielo. Il che consente a Pechino di proporsi oggi agli iraniani come l'unico alleato affidabile. Molto più affidabile dei russi, che negli ultimi tempi hanno lasciato intendere chiaramente di non escludere l'opzione delle sanzioni contro Teheran.
D'altronde, la posta in gioco per Pechino è alta, anzi altissima. La Cina, infatti, importa circa il 12% del proprio fabbisogno di petrolio dall'Iran. Non solo: negli ultimi anni, le società del Dragone hanno ef-fettuato rilevanti investimenti nel paese, soprattutto nel settore energetico. Insomma, la nomenklatura deve continuare a sostenere gli ayatollah. Se fosse necessario, anche esercitando il proprio diritto di veto all'Onu contro eventuali sanzioni.
Ma come farà il governo di Pechino a conciliare il sostegno incondizionato concesso finora al regime di Teheran con le promesse appena fatte agli americani sul fronte valutario? L'accordo preso sottobanco due settimane fa con Washington prevede un allentamento delle pressioni statunitensi sulla rivalutazione dello yuan, in cambio di un impegno cinese a disinnescare l'atomica iraniana. Con queste premesse, in attesa di sganciare il renminbi dal dollaro, Pechino non sembra avere altra scelta che tentare di convincere gli Stranamore persiani a scendere a più miti consigli.

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