Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 11/03/2010, a pag. 15, l'articolo di Manila Alfano dal titolo " Lady Onu paladina dei diritti, ma non a casa sua ".
Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani, è sempre pronta ad accusare Israele di essere uno Stato di apartheid. Un'accusa gravissima e totalmente falsa. Leggendo l'articolo che segue, comprendiamo da che cosa hanno origine le sue dichiarazioni: la signora Pillay non ha la più vaga idea di che cosa siano i diritti umani. Infatti non ha commentato l'arresto di uno studente in Sudafrica, reo di aver fatto un gestaccio al presidente. Il ragazzo è stato incappucciato, arrestato e trattenuto per interrogatori oltre 24 ore, senza la possibilità di sentire un avvocato.
Ma Navi Pillay non ha lanciato accuse, forse troppo occupata a scrivere la sua prossima arringa di odio contro lo Stato ebraico.
Ecco l'articolo di Manila Alfano:
Navi Pillay
La sue battaglie sono come degli slogan a grande effetto. Navy Pillay, l’Alto commissario per i Diritti Umani dell’Onu non si è mai risparmiata critiche. Nel suo mirino l’Italia è tra i bersagli preferiti. Ci sono piovuti attacchi durissimi sulle ronde, sugli immigrati, sugli sgomberi dei campi rom, sui centri di accoglienza, sull’intero pacchetto sicurezza. Ancora ieri al Parlamento italiano ricordava: «Gli immigrati che arrivano via mare non sono rifiuti tossici e non devono essere trattati come tali». Giusto, giustissimo. Applausi da tutti. Ma poi non contenta Pillay si è detta anche seriamente «preoccupata per lo Stato di diritto del nostro Paese».
A questo punto però è doveroso fare un passo indietro. Un mese fa in Sudafrica, Paese d’origine di Navy Pillay, uno studente di sociologia a Cape Town è stato arrestato mentre correva al parco, incappucciato e imbavagliato e portato nella residenza presidenziale del presidente Zuma. Colpevole di aver salutato con il dito sbagliato - quello medio - il corteo presidenziale di Jacob Zuma. Davanti a quel gesto tanto spregiudicato, gli agenti presidenziali non hanno avuto altra scelta: in un attimo gli sono arrivati addosso, lo hanno braccato, arrestato e incappucciato. Come il peggiore dei criminali. Chumani Maxwele, 25 anni, è stato portato di peso in una delle macchine della scorta e trasferito in tutta fretta alla residenza presidenziale di Zuma a Cape Town. Nessun diritto umano rispettato in questo caso, nessun avvocato interpellato. Nessuno sapeva che fine avesse fatto il giovane. Solo dopo, quando gli agenti presidenziali si sono accorti di avere avuto una reazione esagerata per quel gesto maleducato, lo hanno portato al commissariato. Lì lo hanno trattenuto per altre 24 ore, altri agenti lo hanno interrogato, gli hanno fatto domande su tutto, sulle persone da lui frequentate, sulla sua fede politica, le sue preferenze, i suoi sentimenti nei confronti del presidente Zuma. Caso vuole che Maxwele sia un leale militante dell’Anc, African National Congress, il partito di Nelson Mandela, al potere nel Sudafrica dal 1994, lo stesso partito che ha portato Zuma alla presidenza. A quel punto, per non lasciare nulla di intentato, gli agenti hanno perquisito la sua abitazione, frugato nei cassetti, cercato in ogni angolo della casa. E tutto senza un mandato. Fuorilegge.
Ne è scoppiato un caso. I giornali hanno parlato con il giovane, lui ha raccontato i dettagli: un dito medio alzato al cielo, che gli è costato due giorni di inferno. I giornali hanno parlato addirittura di «deriva Mugabe», il presidente del vicino Zimbabwe, Robert Mugabe, salito al potere nel 1987 dopo una gloriosa lotta di liberazione contro il dominio bianco nella allora Rhodesia, e mai più sceso da lì, mentre il Paese un tempo ricco e fertile sprofonda nel disastro economico, politico e civile. Flebili le reazioni dell’ufficio del presidente. Il portavoce della polizia Zwele Mnisi ha giustificato l’azione della scorta presidenziale affermando che lo studente Maxwele è stato arrestato per aver inveito al corteo presidenziale con una gesto «sinonimo di imprecazione e mancanza di rispetto»; e perché ha poi battibeccato con gli agenti (l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale in questi casi non si nega a nessuno).
Sulla stampa, e in particolare nel sito internet del settimanale liberal «Mail & Guardian», già attenti a denunciare i sempre più numerosi episodi di «bullismo» e di aggressività degli agenti delle scorte, si è acceso un dibattito feroce. La discussione però è degenerata in uno scambio di accuse e insulti razzisti fra lettori bianchi e lettori neri. Che alla fine ha lasciato in secondo piano la questione se sia lecito e opportuno che le guardie del corpo delle auto blu tralascino il loro compito istituzionale, proteggere la sicurezza delle persone a loro affidate, per farla pagare a un ragazzo al massimo colpevole di oltraggio. E in tutto questo l’indignazione di Navy Pillay si è presa un giorno di ferie.
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