Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/03/2010, a pag. 31, la risposta di Marcello Pezzetti, direttore del Museo della Shoah di Roma, al soprano Lia Origoni dal titolo "La cantante italiana e quel concerto ad Auschwitz ". Per leggere la lettera di Lia Origoni e la critica di IC, cliccare sul link sottostante.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=33210
Ecco la risposta di Marcello Pezzetti:
Lia Origoni, Marcello Pezzetti, Auschwitz
In occasione della «Giornata della memoria 2010», all’interno di un’importante mostra su Auschwitz-Birkenau allestita nel complesso museale romano del Vittoriano e alla Camera dei Deputati, è stato esposto un documento relativo a un concerto svoltosi ad Auschwitz il 16 febbraio 1943, organizzato dalla Kommandantur del campo, composta da SS, non da «civili» tedeschi, che ha visto la partecipazione di una cantante lirica italiana, Lia Origoni, indicata come cantante della «Scala» di Milano.
La signora Origoni, informata del fatto dall’organizzazione stessa della mostra, ha sostenuto in un intervento sul «Corriere» (5 febbraio) di non aver cantato ad Auschwitz, ma nella vicina città di Katowice, di non essere stata inviata lì dalla Scala di Milano, ma da quella di Berlino (un locale di varietà, non un teatro lirico), e soprattutto che un documento (in questo caso definito come «falso») ha meno valore di una testimonianza (in questo caso la sua).
Come curatore della mostra, mi limito a osservare che questo documento appartiene alla serie di ordini emessi dalla Kommandantur del campo di Auschwitz-Birkenau, archiviati nel Museo di Auschwitz, già pubblicati in Germania e giudicati da tutti gli storici come fonte privilegiata, di prima mano, quindi difficilmente contestabili. Se Mulka, aiutante del comandante di Auschwitz Rudolf Höss, ha ordinato a tutto il corpo delle SS di partecipare al concerto presso il Kameradschaftsheim («casa dei camerati») di Auschwitz, significa che i cantanti e musicisti spagnoli, ungheresi, italiani, quindi anche la «stella internazionale» Origoni, hanno allettato quei criminali proprio nei pressi del campo di sterminio, non altrove. Del resto alcuni sopravvissuti ci hanno confermato di essere stati obbligati più volte ad assistere a concerti nelle strutture adiacenti al campo e le ultime fotografie ritrovate di Auschwitz, anch’esse esposte in mostra, dimostrano che le SS si «divertivano» proprio in prossimità del campo stesso. Per confutare il contenuto del documento messo sotto accusa dalla Origoni è quindi necessario far ricorso ad altre prove documentarie — che però non esistono —, non certo a una testimonianza, soprattutto se di parte.
Abbiamo esposto questo documento non tanto per sottolineare la «collaborazione» di un’italiana al sistema di oppressione nazista— anche se cantare per i nazisti in Germania e in Polonia nel 1943 non è certo un fatto di cui andare fieri —; volevamo semplicemente far comprendere al pubblico come i carnefici nazisti concepissero la «normalità» della vita quotidiana all’ombra dei crematori: anche ascoltando musica italiana. Lo stesso giorno in cui si tenne il concerto, infatti, le SS bruciarono i corpi di 689 ebrei francesi, uomini, donne e tanti bambini, deportati da Drancy.
La Origoni non era certamente l’oggetto del nostro interesse scientifico in una mostra dal contenuto così drammatico e delicato (e come avrebbe potuto esserlo?). Invitarla all’inaugurazione dell’evento, con i rappresentanti delle maggiori istituzioni nazionali, sarebbe stato fuori luogo. La sua reazione, del resto, lo ha confermato.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante