L'islamofascismo impedisce a Benny Morris di tenere la sua lezione L'entrata di Cambridge in Eurabia
Testata: Corriere della Sera Data: 08 febbraio 2010 Pagina: 27 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Morris contestato a Cambridge»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/02/2010, a pag. 27, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Morris contestato a Cambridge ".
Benny Morris
GERUSALEMME— Razzista e islamofobo. «Non so se offendermi di più per l’offesa o per essere costretto amisurarmi con accuse del genere». Fascista israeliano. «Fa ridere». Uomo della propaganda sionista. «Non conoscono né la storia, né la mia storia». Indegno di Cambridge. «Quarant’anni fa, io a Cambridge facevo il mio dottorato. E vent’anni fa, scrivevo La nascita del problema dei profughi palestinesi. E sa chi me lo pubblicò? La Cambridge University Press».
Benny Morris è appena tornato dall’Inghilterra, ma non è stato un viaggio di piacere. Due popoli (distanti), una terra (su cui discutere) e in mezzo un mare d’ incomprensioni. Perché, parlando d’Israele, nel Regno Unito è appena finito l’ Annus Horribilis — «nella nostra storia, il peggiore per numero d’episodi d’antisemitismo», certifica il Community Security Trust di Londra— e quello che s’annuncia non sarà molto meglio: «L’ho provato sulla mia pelle. Sono arrivato a Cambridge mercoledì, dovevo parlare giovedì. Ma all’ultimo minuto, la mia lezione è saltata. Sono venuti a dirmi che c’era un problema...».
Il problema era lui. Quel che voleva dire. Morris non ama la cattedra comoda e vellutata. A 61 anni, i suoi spigoli e le sue schegge danno fastidio. Uno che ha riletto lo scontro arabo-israeliano del 1948 come un primo scontro di civiltà, anziché come una guerra per la terra. Uno che non crede alla soluzione dei due popoli, due Stati. Uno che giustificò «la pulizia etnica», riferendosi alla Nakba palestinese. Uno contestato in patria da molti suoi colleghi — «controverso», lo presentava lo stesso manifesto della conferenza al St Catharine’s College —, ma che nessuno s’è mai sognato di zittire: «Due anni fa, a Berkeley, mi hanno accolto coi cartelli. Ma ho potuto parlare. Stavolta ho fatto la mia prima lezione a Oxford e nessuno ha avuto da ridire. Conoscono le mie opinioni, le abbiamo discusse. A Cambridge, la serata era organizzata da Israel Society, un gruppo di studenti. Ma c’è stato un altro gruppo che ha fatto molte pressioni, ha contestato la mia presenza. Le leggo che cos’hanno scritto su Facebook: "In varie occasioni, Morris ha manifestato sentimenti islamofobi e razzisti nei confronti di arabi e musulmani. Consideriamo offensivo e scioccante che un gruppo dell’ateneo abbia voluto invitare un simile individuo". Li hanno spaventati, credo». La campagna s’è mossa per idea dell’opinionista Ben White (opera più nota: Guida all’apartheid d’Israele) e ha ottenuto il sostegno di un altro gruppo studentesco, l’Islamic Society, che ha raccolto firme contro la lezione di Morris: «Hanno detto che ero un insulto, un portatore d’odio. Alla fine, è venuto da me l’organizzatore. S’è scusato: "Il suo contributo di storico per noi è altamente rispettabile ma, lei capisce, le sue opinioni personali sono per molti profondamente offensive...". M’ha detto d’aver dovuto cancellare l’appuntamento, per paura di passare pure lui per un antimusulmano».
Il pasticciaccio brutto s’è compiuto a metà. Conosciuta la censura, i docenti di Cambridge si sono ribellati. E la lezione, venerdì, l’hanno ospitata loro in un’aula della facoltà di Studi politici e internazionali. C’era un sacco di polizia, in sala soltanto una cinquantina di persone. Morris s’è sentito risarcito solo in parte: «Non mi pare che ci siano stati tutti questi problemi, quando in Inghilterra hanno invitato oratori che difendevano i kamikaze o la persecuzione degli omosessuali in Iran».
Proprio a Cambridge, ricorda, nel 2008 il giornalista Abd al-Bari Atwan giustificò l’attacco a una scuola ebraica di Gerusalemme (otto morti). L’anno scorso toccò a Daud Abdullah, leader islamico di Londra, che incitò ad attaccare la Marina britannica. In ottobre ci fu Michel Massih, pubblico laudatore del ricercato internazionale Bashir, presidente sudanese. «Nelle università, il pregiudizio anti-israeliano è più forte che nella società. Sento cose più scorrette fra i colleghi che tra la gente comune», dice Morris: «In Gran Bretagna e in Scandinavia c’è un problema serio che gli europei devono affrontare». Il governo di Gordon Brown lo chiama antisemitismo, tout court: 924 casi solo nel 2009 e solo nel suo Paese. «Non enfatizzerei. Hanno avuto molto peso le proteste per la guerra di Gaza. E starei molto attento a non far passare per antisemitismo ogni critica al governo israeliano. Poi, l’antisemitismo assume molte maschere, a volte anche quella della critica a Israele. Ci sono persone che la usano come una scusa». C’è anche chi usa Israele per coprire un tornaconto politico... «C’è un interesse esagerato su quel che accade da noi. In Congo muoiono milioni di persone e nessuno ne parla. Qui, diventa notizia anche una sassaiola. Questo squilibrio a volte è strumentale. E anche pericoloso: si rischia di creare un’insofferenza».
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