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Shalom Rassegna Stampa
22.01.2010 Il ricordo della Shoà: difendiamone i veri valori
Analisi di Angelo Pezzana

Testata: Shalom
Data: 22 gennaio 2010
Pagina: 11
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «Il ricordo della Shoà: difendiamone i veri valori»

Riportiamo da SHALOM di gennaio, a pag. 11, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Il ricordo della Shoà: difendiamone i veri valori ".


Martin Luther King : " Dici di essere contro il sionismo, non contro gli ebrei, ma Israele è lo Stato degli ebrei, quindi sei contro di loro, che tu lo ammetta o no "

Che l’antisionismo fosse il nome presentabile dell’antisemitismo l’aveva capito, molto prima di altri, Martin Luther King, che della lotta al razzismo aveva fatto la religione della propria vita.  “ Dici di essere contro il sionismo, non contro gli ebrei, ma Israele è lo Stato degli ebrei, quindi sei contro di loro, che tu lo ammetta o no “,  l’aveva spiegato così alla sua gente, in anni non sospetti, quando la propaganda contro Israele non aveva ancora affilato i coltelli e l’antisemitismo era una brutta malattia dalla quale il mondo sembrava volersi affrancare. Erano gli anni nei quali Yasser Arafat stava studiando come vendere all’opinione pubblica occidentale un prodotto inesistente, lo stato palestinese, e per trovare gli acquirenti occorreva inventarlo sin dalle radici. E’ indubbio che in gran parte ci sia riuscito, anche perchè ha dato a chi non poteva più dichiararsi apertamente antisemita l’occasione di poterlo fare senza incorrere in una possibile condanna, anche se soltanto sul piano morale. Bisognava riempire di contenuti odiosi la parola che aveva posto le basi della rinascita di Israele, presentare il sionismo come una ideologia colonizzatrice, con i palestinesi, diventati improvvisamente un popolo, in lotta di liberazione contro la potenza che li aveva occupati. Tra guerre e attentati terroristi sul versante interno, e una accurata disinformazione su quello esterno, il gioco è stato bene impostato, anche se l’obiettivo è, per fortuna, al di là dall’ essere raggiunto. Ma l’odio contro gli ebrei, identificati nel frattempo con Israele, ha ripreso vigore, non solo al riparo dell’ombrello antisionista, ma usando la memoria della Shoà come un grimaldello per svuotarne i contenuti.

Un’operazione non facile, prima che il 27 gennaio venisse dichiarato ufficialmente in Italia “ giorno della memoria “. Il tema dello sterminio era affrontato generalmente in convegni dove il pubblico era formato quasi sempre da persone preparate, o comunque interessate all’argomento. Gli interventi erano svolti da storici, o da esperti, lontani dalla tentazione di trasformarsi in agit-prop di quelle idee che avrebbero poi prodotto la Shoà. Affermare in quegli anni che i “Protocolli dei savi di Sion” è un testo da leggere per capire la politica israeliana, sarebbe stato inimmaginabile. Eppure, oggi, in gran parte dei “ festival storici “ che hanno per obiettivo la criminilizzazione di Israele, finanziati dagli enti locali e da molte fondazioni bancarie, sono le teorie dei Protocolli ad essere diffuse, ad opera di docenti universitari, giornalisti, non scrivo pseudo storici perchè la cattedra ce l’hanno per davvero, forti di quella posizione che gli consente di diffondere disinformazione in licei e università. Questa canea di odiatori ha ricevuto, di certo non prevista dai firmatari della legge che ha istituito il giorno della memoria, una platea inattesa, che ha di fatto snaturato l’obiettivo stesso della legge. Essendo  la scuola il luogo nel quale poteva essere recepita, da alcuni anni stiamo assistendo ad un capovolgimento delle intenzioni: invece di ricordare la Shoà, analizzare perchè sia potuto accadere, capirne le cause perchè non debbano più ripetersi, la regia di quel giorno, e delle manifestazioni che lo accompagnano, è finita nelle mani degli odiatori con keffia, studenti o professori a pari titolo, coinvolti nel trasformare la memoria in atto d’accusa. Partecipare a questi incontri, soprattutto con studenti liceali, è un’esperienza che lascia il segno. Terminata la relazione, ma anche durante, si avverte la tensione che spinge subito chi vuole internire dalla platea ad alzare il braccio per chiedere la parola, spesso la domanda viene posta senza aspettare il proprio turno, in una specie di animazione teatrale finalizzata a poter urlare, più che a chiedere “ ma perchè gli ebrei fanno ai palestinesi quello che hanno subìto dai nazisti ? “. Perchè è questa la narrativa che si è impossessata delle menti di molti giovani, che non hanno imparato a scuola il valore del confronto,il bisogno di conoscere le ragioni dell'altro, indottrinati da docenti il cui interesse primario è la propaganda non l’istruzione. Un 27 gennaio che diventa così un’assemblea nella quale si impone chi urla più forte, chi appartiene al branco impone il marchio d’infamia su chi riesce ad esprimere un’opinione non conforme al volere degli odiatori.

Sotto e intorno alla punta accusatoria di questo iceberg, si svolge poi la abituale diffusione della narrativa palestinese stile Arafat, che racconta una storia senza nessun richiamo a quanto è accaduto realmente, ma affermando e ribadendo fino alla ripetizione continua quella propaganda la cui conoscenza è indispensabile a chi vuole far apparire le vittime di ieri come i carnefici di oggi. Quelle iniziative che nelle intenzioni del legislatore dovevano rievocare un tragico passato di persecuzione e morte per milioni di ebrei, sono così diventati migliaia di piccoli tribunali nei quali si processa Israele, dal banco degli imputati si allontana chi volle e realizzò lo sterminio, e lo si sostituisce con lo Stato ebraico, colpevole di voler difendere il diritto alla vita, libera, indipendente e democratica,  dei propri cittadini. Abolire il 27 gennaio, allora, come è stato proposto da qualcuno non senza serie motivazioni ? No, piuttosto riappropriarcene, perchè ne vale la pena.

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