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La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
08.11.2009 Donne musulmane, tutto bene per M.me Mubarak, ma non la conta giusta
L'intervista di Emanuele Novazio, la cronaca in Francia di Guido Mattioni

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Emanuele Novazio-Guido Mattioni
Titolo: «Le donne arabe si emancipano con le quote rosa-Viaggio tra le radicali islamiche, il burqa è la nostra vera pelle»

Due visioni della donna araba su STAMPA e GIORNALE oggi, 08/11/2009. Sul primo, Emanuele Novazio intervista Suzanne Mubarak, la quale dipinge un Egitto desiderabile, ma lontano dalla verità. Negli ultimi dieci anni la diffusione del velo e del burqa è impressionante. Essendo la signora Mubarak, è ovvio che il suo parere sia di totale appoggio al paese governato dal marito, Novazio avrebbe potuto chiederle  notizie sui Fratelli Musulmani o perchè l'Egitto non ha voluto riprendersi Gaza nel 1967, quando Israele insisteva per liberarsene. Segue invece uno squarcio di realtà come essa è, non come vorremmo che fosse, nel pezzo di Guido Mattioni, sul GIORNALE, riguarda la Francia, ma la realtà è ormai europea. Eccoli:

La Stampa- Emanuele Novazio: " Le donne arabe si emancipano con le quote rosa "

 Suzanne Mubarak

Signora Suzanne Mubarak, fra le motivazioni della medaglia d’oro del Presidente della Repubblica italiana, conferitale nell’ambito della sua partecipazione alle giornate di studio del Centro Pio Manzù, c’è il suo impegno nella «lotta contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e in favore della loro emancipazione». Emancipazione significa «occidentalizzazione»?
«No. Le donne, non importa se occidentali o mediorientali, hanno il diritto di essere parte della società, avere uguale accesso a risorse economiche, politiche e sociali. Non è possibile escludere metà della popolazione dalle reti economiche o politiche, nè dal processo educativo: nelle nostre università, le studentesse sono il 50%, e più le donne sono istruite più possono colmare un altro gap, quello del lavoro. Ma ogni Paese ha la sua cultura e le sue tradizioni, sistemi di valori che non possono semplicemente essere occidentalizzati: anche se la cultura e i valori occidentali, è vero, stanno permeando la nostra cultura».
Questo vi mette di fronte a scelte difficili.
«Dobbiamo decidere che cosa mantenere delle nostre tradizioni, e ne abbiamo di buone e meno buone. Dobbiamo decidere cosa e come modernizzare. In un mondo globalizzato gli arabi non possono risolvere i problemi da soli».
Ha incontrato resistenze?
«C’è voluto tempo. La battaglia vera è stata sui diritti politici: gli egiziani non sono convinti che la donna sia in grado di partecipare alla vita politica. Abbiamo varato le quote rosa: 65 seggi su 400 spetteranno alle donne».
Lei si batte per la diffusione della cultura, e cultura significa comunicazione, ma il mondo è diviso fra Nord e Sud.
«Dobbiamo essere tutti più tolleranti, accettare le differenze e rinunciare agli stereotipi, che non mancano quando il Nord guarda a Sud».
Lei parla di valori condivisi, ma ci sono concetti difficili da condividere come quello di democrazia occidentale.
«La democrazia non può funzionare allo stesso modo dappertutto: per ragioni culturali e storiche. In Medio Oriente non potrà avere, probabilmente, le stesse forme che ha in Occidente. In Iraq e in Palestina ci sono state le elezioni, ma la gente non era abituata a queste forme di partecipazione e ci sono stati problemi. La democrazia comunque non è soltanto elezioni: è uno stile di vita, un modo di pensare. Non è possibile semplicemente spostare questo modello in un altro Paese».
Nel frattempo l’Occidente si sente minacciato dal fondamentalismo islamico.
«E’ un fenomeno recente, ma credo che si sia esagerato sulla sua consistenza: in Occidente c’è molta diffidenza, e spesso si segue la politica del doppio standard. Fra i giovani a Gaza è la frustrazione a dominare, non hanno speranza. E’ una catastrofe, il mondo non se ne occupa come dovrebbe».
I giovani costituiscono la maggioranza della popolazione egiziana, e la disoccupazione fra loro è molto elevata. Che cosa fate per strapparli alle tentazioni del terrorismo?
«E’ la nostra grande sfida. Abbiamo questo enorme capitale umano che non riusciamo ancora a sfruttare. Per anni lo Stato ha garantito l’occupazione, ma oggi non può più permetterselo. Per questo puntiamo sull’istruzione, incoraggiamo con crediti il settore privato, favoriamo la creazione di imprese nelle quali concentrare i giovani laureati».
Il mondo arabo ha seri problemi col rispetto dei diritti umani.
«Ma il mondo arabo è in movimento, tutti oggi possono vedere quello che accade mentre accade. Il controllo del governo non può più essere totale grazie a questa interconnessione globale».
Lei è di madre gallese. Quanto si sente europea?
«Ho sempre compreso i due mondi, la cultura deve celebrare le diversità. Ma comprendere non significa accettare tutto: ci sono molte cose nella società europea che non approvo, ma questo è il vostro stile di vita e ne prendo atto. Lo stesso dovete fare voi con noi, non dirci «sbagli perché sei diverso». Ad unirci ci sono molti valori, la pace, la giustizia, la tolleranza».
Com’è in famiglia il presidente Mubarak?
«Gentile, generoso, semplice. Un uomo di famiglia, la sua posizione non l’ha cambiato in 50 anni di matrimonio».
Come vi siete conosciuti?
«Era l’istruttore pilota di mio fratello all’Accademia del Cairo, e quando prese il diploma lo invitò a cena. C’era tutta la famiglia. E’ andata così, come capita a tanti».

Il Giornale- Guido mattioni: " Viaggio tra le radicali islamiche, il burqa è la nostra vera pelle "

«Se parlate con mio marito, abbassate lo sguardo. È la regola». Può sembrare solo una frase, un invito nemmeno tanto perentorio. In realtà segna un abisso, un oceano, un deserto. Perché quelle poche parole spiegano più di qualsiasi libro che cosa separi chi le ha pronunciate - Fatima, 23 anni, nata e cresciuta vicino a Parigi, ma musulmana salafita - dalla gagliarda Marianna a seno nudo, simbolo della Repubblica francese, quella Madame Liberté dipinta da Eugene Delacroix mentre guida il popolo sventolando il tricolore.
Oggi, Marianna inorridirebbe. Perché non si trova alcuna traccia di liberté, di égalité e nemmeno di fraternité, nello sconcertante reportage al femminile, nell'islam radicale d'Oltralpe, scritto da due giornaliste del Figaro Magazine, Nadjet Cherigui e Axelle de Russé. Che tra diffidenze e ostilità, tra rare complicità e palesi minacce, sono riuscite a entrare nelle comunità musulmane più integraliste e a parlare con le donne velate. Quelle «puriste» - così le chiamano - «per le quali le regole della vita quotidiana non possono che ricalcare quelle del profeta Maometto. A costo di infischiarsene delle leggi della Repubblica».
Ed è poco lontano da Parigi, in un piccolo centro dell'Essonne, dove ancora i pensionati giocano alla pétanque sotto gli alberi della piazza, che le due inviate hanno incontrato Fatima, mamma e moglie. Con altre donne, lei si «concede» il jilbab, il nero abito salafita che lascia scoperto solo l'ovale. Ma di fronte a uomini che non siano il marito, Yvon, fornaio, (sposato com'è tradizione dopo un solo incontro ben codificato e sorvegliato, il moukabala), o davanti a una macchina fotografica, i suoi lineamenti graziosi, perfino truccati, scompaiono dietro al velo. «Sono la sola in famiglia ad aver fatto la scelta del velo. Ma ho letto il Corano e studiato la vita del Profeta e delle sue donne. Loro si coprivano, io faccio lo stesso - spiega Fatima -. Nell'islam ho trovato le risposte alle mie domande. È semplice, i divieti sono chiari», anche se ammette che l'unico che le è pesato davvero è stato dover rinunciare a lavorare. Per il resto, «basta seguire ciò che dicono i testi».
Come qualsiasi altra francese, Fatima usa Internet, ama lo shopping e le cene al ristorante con le amiche. «Tra noi parliamo anche di sesso, senza tabù». Delle leggi francesi, dice di accettare tutto, anche dover scoprire il viso ai controlli di sicurezza. Ma ciò che proprio rifiuta «è la scuola pubblica, incompatibile con troppi miei principi religiosi - spiega -. Per educare mia figlia ho cominciato già io, a casa, dandole i primi fondamenti. Più avanti, quando avrà l'età, andrà a una scuola privata. Musulmana».
Da un angolo all'altro della Francia, il reportage rivela sconcertanti analogie nel modo di pensare delle giovani musulmane radicali. Come convenire che tra uomo e donna non conta il colpo di fulmine, dato che «la priorità va data alla condivisione dei medesimi valori». La pensa così Kenza, 29 anni, abitante ad Avignone, che dice di non avere problemi a indossare anche in strada il niqab, l'abito che lascia libera solo una feritoia per gli occhi. «Io - rivendica lei orgogliosa - ho il velo nella mia stessa pelle».
Ma è nella banlieue parigina, a Gennevilliers, che il racconto assume toni ancor più duri, estremi, preoccupanti. Come quelli di Salima, vent'anni, che con uno sguardo glaciale anticipa alle due giornaliste il loro destino, poco importa se di miscredenti o cattoliche: «Brucerete all'inferno, a meno che non vi convertiate», sibila loro. E la musica non cambia nella stessa capitale, 18° Arrondissement, lì dove alle donne non musulmane, quindi «impure», viene impedito di passare vicino alla moschea. Ci pensano uomini come quello incontrato dalle croniste del  Figaro. «Noi siamo ogni giorno più numerosi - ha gridato in tono esaltato, puntando contro di loro un dito - e molto presto vi laveremo il cervello».
Non è fiction, non è un romanzo. Sono cose che succedono di questi giorni, nel cuore della Vecchia Europa, a Parigi. Proprio là dove si era combattuto per la liberté, l'égalité e perfino la fraternité. A pensarci, vien da piangere.
 
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