Attentato terroristico di matrice islamica ieri a Milano. I quotidiani italiani trattano diffusamente la notizia. Riportiamo da LIBERO di oggi, 13/10/2009, a pag. 7, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " Con la nuova legge poteva essere italiano ".
Carlo Panella
È andata bene, per un soffio, per imperizia, per emozione del kamikaze, forse solo per caso. I due chili di esplosivo hanno fatto danno solo sull’attentatore, non sulla sentinella, non sui militari della caserma Santa Barbara e tutti tiriamo un sospiro di sollievo. Tra pochi giorni, forse poche ore, nessuno ne parlerà più, quindi è bene profittare per trarre a caldo alcune considerazioni.
La prima, che non è pretestuosa, è che l’attentatore, il libico Mohammed Game, se fosse passata la legge Granata, sponsorizzata da Fini, avrebbe potuto essere diventato cittadino italiano, perché quella legge riduce da 10 a 5 anni, il periodo di soggiorno in Italia indispensabile per ottenere la cittadinanza. Game risiede infatti da 6 anni nel nostro Paese, è fornito di regolare permesso di soggiorno e parla sicuramente bene l’italiano, perché convive con una nostra concittadina. Lo si ricordi, per rendersi conto che quando si parla di toccare questi meccanismi - a causa dell’esistenza di un rapporto perverso tra terrorismo e religione islamica nelle sue deviazioni (ben radicate nella moschea di viale Jenner da Game frequentata) - si entra in un campo minato.
La seconda considerazione è che mentre Game cercava la strage a Milano, a Parigi un ingegnere di origini algerine del Cern di Ginevra, veniva portato in tribunale: più intercettazioni telefoniche con membri di al Qaeda del Maghreb avevano infatti indicato che stava per partecipare ad un attentato. Interessante la tipologia dei due terroristi: tutti e due integratissimi (in barba a chi sostiene che l’emarginazione crea terrorismo, mentre l’integrazione lo debella), con nessun problema economico alle spalle, uno, addirittura di livello professionale elevato, a piena smentita che investire sull’educazione serva a combattere il terrorismo. Probabilmente, però, c’è una differenza fondamentale tra i due casi. Mohammed Game ha tutta l’aria - a indagini appena iniziate - di essere un “terrorista fai da te”, mentre il tecnico del Cern di Ginevra è stato intercettato dalla polizia francese proprio perché parlava - troppo - al telefono, con una cellula di terroristi “professionisti”, ben in grado - purtroppo - di portare a termine i loro progetti omicidi.
Più interessante ancora, è rilevare il paradosso dell’antiterrorismo: in Europa i servizi segreti hanno funzionato troppo bene, dopo l’attentato al Tube di Londra del 2005, sono perfettamente riusciti a evitare ogni attentato in Europa e quindi le opinioni pubbliche del vecchio continente si sono ormai abituate a considerare al Qaeda e dintorni come un problema degli altri, degli americani, degli iracheni o afghani. Il demenziale Nobel a Obama è la sintesi più compiuta di questo sentire, ben sintetizzato dall’accademia di Oslo che glielo ha dato nella convinzione che basti ben parlare, e soprattutto ritirare truppe su truppe per sconfiggere l’emergenza terrorista.
In realtà, però, chi solo abbia la voglia di alzare gli occhi dal giardino di casa, sa che il terrorismo, quello dell’11 settembre, non ha più seminato danni in Europa - e negli Usa - per una ragione molto semplice: la strategia di Bush è stata trionfale e l’ha spinto a scaricare le sue energie in Mesopotamia e in Afghanistan. L’odio per George W. Bush è tanto e tale non solo da essere l’unica ragione per cui viene conferito il grottesco Nobel a Obama, ma anche da accecare gli occhi di fronte dell’evidenza: tutti i terroristi islamici di al Qaeda e altri gruppi, a migliaia, si sono riversati dal 2003 in poi sul principale teatro di scontro - Iraq e Afghanistan - e hanno lì concentrato le loro energie e i loro kamikaze, sterminando peraltro musulmani e non europei, se non in misura contenuta.
La strategia di Bush è dunque riuscita a imporre un fondamentale mutamento del campo di battaglia, a pieno vantaggio dell’Occidente, anche se poi ha faticato a sangue a gestire lo scontro (ma nella provincia irachena di Anbar, nel “triangolo sunnita”, la vittoria è stata piena), soprattutto in Afghanistan. Fatica in gran parte dovuta alla difficoltà di comprendere che gli avversari hanno lì radici di consenso popolare, legate ad uno scontro epocale tra musulmani modernisti e fondamentalisti e tra questi ultimi e induisti che sconvolge il subcontinente indiano da 500 anni, come tragicamente dimostra la strage di Mumbai.
Ma torniamo a Game, prima che tutti se ne dimentichino. Torniamo alle prime dichiarazioni degli inquirenti che sostengono di non avere avuto nessuna premonizione su quanto stava preparando. Torniamo alla certezza che non è stata strage di sangue italiano solo per puro caso. Non è difficile capire che c’è un segnale terribile in questo episodio e che gli inquirenti, pur eccellenti, non ce la possono fare col solo antiterrorismo professionale. È indispensabile che la rete delle comunità islamiche venga ulteriormente monitorata, che cessi l’anarchia delle 650 moschee gestite non si sa da chi, che la tolleranza è sacrosanta, ma che non può sconfinare nell’autolesionismo. È indispensabile mettere ordine nell’Islam, in Italia.
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