Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/10/2009, a pag. 12, il commento di Antonio Ferrari dal titolo " Il gelo nel matrimonio di interesse fra Gerusalemme e Ankara ", a pag. 14, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " No dei turchi a Israele Saltano le manovre Nato ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'analisi di Flavia Amabile dal titolo " L'Azerbaigian divide ancora turchi e armeni ", articolo che non tratta i rapporti fra Turchia e Medio Oriente, ma che prende in esame quelli con l'Armenia. Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Il gelo nel matrimonio di interesse fra Gerusalemme e Ankara "
C’era una volta una solida alleanza, quasi un «matrimonio» basato sull’interesse militare e strategico e non certo sull’amore, tra la Turchia e Israele, voluto dai due Stati per difendere reciproci interessi. Per Ankara, poter contare su un partner potente ed attento a isolare gli estremisti islamici; per Gerusalemme, poter usufruire dell’influenza turca sui grandi Paesi musulmani della regione.
La notizia di ieri, cioè l’annullamento delle esercitazioni aeree di Konya, base militare a sud di Ankara, con la partecipazione degli Usa, di altri Paesi Nato e di Israele, è molto più di un campanello d’allarme. Perché la Turchia ha rinviato l’esercitazione dopo aver cancellato l’invito allo Stato ebraico. Lo spirito del 1996, quando Ankara e Gerusalemme firmarono l’accordo di cooperazione, è dunque svanito. Il governo islamico- moderato di Erdogan, che ha consolidato i rapporti con tutti i vicini, a cominciare dall’Iran, manifesta da sempre una certa insoddisfazione per l’alleanza che ha ereditato, pur essendosi speso per favorire il riavvicinamento tra Israele e Siria. Dall’insoddisfazione si è passati al fastidio, con le durissime accuse a Gerusalemme per l’operazione «Piombo fuso» a Gaza. La crisi poi è esplosa a Davos, con l’insulto dello stesso Erdogan al presidente Peres.
Il tentativo di ricucire i rapporti con la visita del ministro degli Esteri Duvatoglu è fallito. Il divieto all’ospite di andare a Gaza per incontrare i leader di Hamas ha provocato l’annullamento della missione. Ora si è arrivati all’esclusione di Israele dall’esercitazione aerea. È gelo, anche se da Gerusalemme giungono segnali concilianti con l’obiettivo di ridurre la portata della crisi. Una crisi che, in realtà, non giova a nessuno: né a Israele, che ha bisogno del partner per difendere gli equilibri strategici nella regione; né alla Turchia, che rischia di trovarsi senza una spalla importante nel suo difficile cammino verso l’Unione Europea.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " No dei turchi a Israele. Saltano le manovre Nato "
Avigdor Lieberman : "Non possiamo essere trattati così"
GERUSALEMME — Israele? No, grazie. La cancellazione arriva all'improvviso. Poche parole del portavoce militare turco, nemmeno fosse un disguido da maltempo: «L'operazione Aquila dell'Anatolia, fissata a partire dal 12 ottobre, si svolgerà con alcune variazioni». Nessun motivo politico, giura un colonnello di Ankara: «Le delegazioni non hanno risolto alcune questioni organizzative ». Questioncelle. Una su tutte: la partecipazione alle manovre militari Nato — ai confini con la Siria, l'Iran e l'Iraq — d'un Paese non più gradito. «Com'è possibile che voli nei nostri cieli chi ha bombardato Gaza?» è stata la domanda d'un giornale turco, qualche giorno fa. Non è possibile, è la risposta del governo di Tayyip Erdogan. Che in una nota riservata, giovedì scorso, ha ordinato ai suoi generali d'escludere gli aerei d'Israele. Facendo infuriare più d'un amico. E costringendo altri Paesi come gli Stati Uniti e l'Italia, scrive la stampa israeliana, a rinunciare alle esercitazioni. Un caso politico, più che militare. La «questione organizzativa» è naturalmente minimizzata da quasi tutti gl'interessati. Nessuna scelta politica, dicono dal ministero della Difesa italiano: la rinuncia alle manovre congiunte sarebbe stata comunicata dai turchi tre giorni fa, con una telefonata e senza troppe spiegazioni. Non si trattava tecnicamente di un'operazione Nato, puntualizzano dal quartier generale di Bruxelles, bensì di un'«esercitazione nazionale » cui vengono spesso invitati anche Paesi dell'Alleanza. In realtà, conferma una fonte militare da Tel Aviv, il diktat è stato severo: «Anche a noi non sono state date spiegazioni ufficiali. Ma le motivazioni sono note a tutti: la cosa più importante, per Erdogan, era evitare gl'israeliani». Con imbarazzo conseguente delle diplomazie ospiti. Vola da anni, l'«Aquila dell’Anatolia». E' la più importante esercitazione aeronautica turca, dura due settimane e non è mai stata sospesa: ogni Paese Nato vi partecipa. E Israele — tra i maggiori venditori d'armi ad Ankara, spesso chiamato a manovre navali congiunte nel Mediterraneo — era di solito l'ospite d'onore. Era. Finché non è arrivata la guerra di Gaza, finché la Turchia (che sotto elezioni stava mediando una pace con la Siria) non s'è sentita ingannata, finché non è calato il gelo. Qualche mese fa, Erdogan e il presidente israeliano Shimon Peres ebbero uno scontro pubblico. La scorsa settimana, la Turchia s'è unita alla richiesta libica di discutere il rapporto Goldstone, quello sui crimini di guerra nella Striscia, al prossimo Consiglio di sicurezza dell'Onu: la stessa visita del ministro degli Esteri a Gerusalemme è stata cancellata. L'ultimo schiaffo due mesi fa, quando i turchi hanno azzerato una commessa israeliana e scelto di comprare altrove, dall'Italia, un nuovo tipo di satellite spia.
Il gelo si sente già: «Non possiamo accettare d'essere trattati così» dicono dall'entourage di Avigdor Lieberman, il ministro degli Esteri israeliano che ora intende rivedere le relazioni con Ankara. «Erdogan è un antisemita?» si chiede il quotidiano Yedioth Ahronot . Che cita il recente viaggio in Iran. E poi qualche battuta del premier turco, qualche giorno fa, davanti agli studenti dell'Università Yildiz: «Cari ragazzi, imparate dagli ebrei a fare soldi. Quand'ero sindaco di Istanbul, erano i più bravi a trafficare con gli affitti. Sanno quali rischi si nascondono dietro l'acquisto d'una proprietà. Imparate da loro: hanno capito che si diventa ricchi con le conquiste scientifiche e col mercato immobiliare ». Domanda d'un editorialista israeliano: voleva offenderci o farci un complimento?
La STAMPA - Flavia Amabile : " L'Azerbaigian divide ancora turchi e armeni "
Azerbaigian
E’ arrivata con quasi quattro ore di ritardo la firma dell’accordo tra Turchia e Armenia due sere fa a Zurigo. Quasi quattro ore di ritardo, e tutti a chiedersi il perché. C’è chi ha parlato di un problema relativo alla menzione del genocidio armeno, chi di una diatriba a proposito della lingua del documento finale, invece già risolta da tempo.
La risposta ai dubbi è arrivata ieri con le dichiarazioni del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan: «Vogliamo che tutte le frontiere si aprano contemporaneamente. Ma fino a quando l’Armenia non si sarà ritirata dai territori azeri che occupa, la Turchia non potrà avere un atteggiamento positivo».
Insomma la Turchia ha puntato i piedi sulla secessione del Nagorno Karabakh dall’Azerbaigian. Una separazione che gli abitanti del Nagorno Karabakh hanno spiegato con motivi religiosi: sono cristiani come i vicini armeni e vorrebbero diventare loro connazionali. Non si riconoscono invece negli azeri, popolazione musulmana, turcofona, che è infatti corsa a chiedere aiuto proprio ai turchi. I turchi hanno risposto chiudendo la loro frontiera con l’Armenia mentre scoppiava un conflitto che ha provocato tra i 25 e i 35 mila morti tra il 1988 e il 1994.
Ora che sono trascorsi quindici anni dalla fine del conflitto senza che l’esercito armeno sia mai andato via dal Nagorno-Karabakh, l’Azerbaigian ha deciso di farsi sentire: di recente ha lasciato intendere che potrebbe dare il suo gas e il suo petrolio alla Russia invece di privilegiare la Turchia e i Paesi occidentali.
Ecco perché due giorni fa il ministro degli Esteri turco aveva deciso di unire alla firma alcune dichiarazioni finali che chiarivano la necessità di un ritiro delle truppe armene. Dopo l’abbandono del tavolo da parte della delegazione di Erevan, Hillary Clinton è riuscita faticosamente a far capire ai turchi che era preferibile un passo indietro per evitare il peggio. Gli uomini di Ankara hanno provato a presentare un secondo testo, poi hanno accettato, annullando del tutto le dichiarazioni finali. Ora la parola passa ai Parlamenti. Ma in Turchia, ha precisato Erdogan, «i deputati chiederanno sicuramente a che punto è la questione armeno-azera». A quel punto l’accordo raggiunto rischia di saltare definitivamente.
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Stampa, cliccare sulle e-mail sottostanti