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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.09.2009 Il nuovo libro di Giulio Meotti
Recensito da Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 settembre 2009
Pagina: 53
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Volti, gesti, parole: gli ebrei uccisi dal terrore quotidiano»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 26/09/2009, a pag.53, con il titolo " Volti, gesti, parole: gli ebrei uccisi dal terrore quotidiano ", Pierluigi Battista recensisce il nuovo libro di Giulio Meotti " Non smetteremo di danzare ", appena uscito. Ne consigliamo la lettura ai lettori di IC, che ben conoscono e apprezzano l'autore per il suo lavoro di giornalista al FOGLIO.


La copertina del libro e Giulio Meotti

Eccoli, i protagonisti e i testimo­ni di un libro di Giulio Meotti, Non smetteremo di danzare, pubblicato da Lindau. Sono i pa­renti di «civili innocenti, vecchi, donne e bambini ebrei assiepati nei bus che van­no a scuola, avventori di ristoranti e pizze­rie, gente ignara seduta al caffè in attesa della prossima fermata, nei centri e nelle città dove la società vive la sua quotidiani­tà ». Vittime. Bersagli del terrorismo. Col­pevoli semplicemente di vivere in Israele e di essere casualmente passati nel posto sbagliato nel momento sbagliato: quello scelto dai terroristi per esplodere e colpi­re quanti più civili israeliani sia possibile. Ecco i loro nomi, i loro volti, le loro vite. Non un numero freddo e astratto (per quanto i numeri non siano insignificanti: 1.723 morti e 10.000 feriti in dieci anni. Se si fa la proporzione, è come se negli Stati Uniti le vittime del terrorismo fossero sta­te 74.000, un’enormità). Ma un mosaico di vite spezzate. Le vite annientate di quelli che Meotti, parafrasando Primo Le­vi, definisce «i sommersi di Israele».

Ecco come si chiamano: Dickstein e Ga­vish, Ben-Shalom e Nehmed, Roth e Zer-Aviv, Avichail e Hatuel e tanti altri. Di­cono niente questi nomi? «Quando a En­tebbe nel 1976», scrive Meotti, «i terrori­sti dirottarono un aereo pieno di israelia­ni, selezionarono gli ostaggi a seconda del nome: trattennero i 105 ebrei a bordo dopo avergli fatto pronunciare il loro no­me, c’erano alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio che avevano giù vissuto quel­la selezione trent’anni prima». I dirottato­ri dell’«Achille Lauro» sapevano bene la colpa di Leon Klinghoffer, costretto sulla sedia a rotelle, prima di trucidarlo: era ebreo. E Daniel Pearl in Pakistan? Prima
di sgozzarlo, i suoi assassini lo costrinse­ro a scandire il proprio nome e anche: «Mio padre è ebreo, mia madre è ebrea, io sono ebreo». Non c’entrava la guerra tra israeliani e palestinesi e nemmeno il diritto dei palestinesi a uno Stato. C’entra­va il fatto che le vite da annichilire appar­tenessero a degli ebrei. Ai ragazzini adde­strati alla guerra santa insegnano che i «maiali ebrei» sono l’incarnazione di ogni male, meritevoli di essere soppressi in quanto tali. Ecco gli esiti tragici di que­sto insegnamento omicida, con il volto delle vittime narrate con infinita pietas in questo libro. Nessun risarcimento sto­rico. Nessuna giustificazione per una guerra di indipendenza nazionale. Nes­sun attacco al nemico in armi. L’attacco è a chi porta quei nomi, allo scopo di elimi­narli dalla faccia della terra. L’attacco non è a una trincea o a un comando mili­tare: è diretto contro una pizzeria, una di­scoteca, un autobus scolastico, un risto­rante, un albergo, una stazione ferrovia­ria. Dovunque ci siano civili da stermina­re. Civili, non militari.

Civili come Rachel Teller, una bambi­na di cui la madre ha deciso di donare cuore e reni come «risposta a quelle jene». Civili come Ron, «il cui nonno sfuggì ai nazisti e la cui figlia è stata ucci­sa
su un autobus». O Tzipi, cui hanno pu­gnalato il padre rabbino. O Menashe che «ha perso il padre, la madre, il fratello e il nonno in una notte di terrore». Miriam «si è vista portare via il marito musicista, dopo che erano arrivati dall’Unione Sovie­tica ». Dror «ha perso gran parte della fa­miglia nell’Olocausto e ha sepolto il figlio con l’inseparabile Talmud babilonese». Il dottor Picard, che aveva «lasciato la Fran­cia, dove i suoi nonni sfuggirono ai carri piombati di Vichy, per perdere un figlio in un seminario ebraico». Sono storie e personaggi che rivelano, anche sul piano del «vissuto», come usa dire, la continui­tà tra due momenti della storia: una conti­nuità che, tra l’altro, spiega molto bene l’ossessione negazionista di chi, convin­cendosi dell’inesistenza dello sterminio di ieri, rende legittima la volontà di ster­minio di oggi.

L’impresa di Meotti, il suo ricercare l’umanità al posto dell’astrazione numeri­ca, il dramma reale al posto delle conside­razioni
geopolitiche, rende ancora più atroce a assurdo, non giustificabile in nessuna logica bellica, l’assassinio siste­matico degli inermi. Uccidere quanti più ebrei possibile non ha nessuna relazione con la possibilità di risarcire i palestinesi dalle loro privazioni. È un orrore in sé, a prescindere dalle motivazioni di cui si ammanta.

Scrive Roger Scruton nella prefazione al libro che Meotti «racconta la storia in dettaglio»: il dettaglio delle vite stronca­te che generalmente svaniscono nella di­menticanza collettiva. Aggiunge Robert Redeker, nella sua lettera all’autore scrit­ta dal «luogo segreto» in cui è confinato dopo le minacce dei fondamentalisti, che «di fronte all’orrore della Shoah e dello sterminio degli ebrei europei si poteva pensare che non si sarebbe mai più trova­to un solo uomo in tutto il pianeta che si richiamasse all’antisemitismo». Quella speranza si è rivelata fallace. E il libro di Meotti lascia misurare i costi spaventosi che la rinascita dell’antisemitismo, nutri­to di un odio assoluto e inestinguibile per Israele in quanto tale e per i suoi citta­dini, sta imponendo a tutto il pianeta, e
non solo a Tel Aviv o Gerusalemme.

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