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Corriere della Sera - Il Giornale - Agenzia Radicale Rassegna Stampa
18.09.2009 La madre di Sanaa perdona il marito assassino
Souad Sbai sospetta che sia l'imam di Pordenone a suggerirle quali dichiarazioni rilasciare

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - Agenzia Radicale
Autore: Isabella Bossi Fedrigotti - La redazione del Giornale - Elena Lattes
Titolo: «Hina, Sanaa e quelle mamme che non vorremmo ascoltare - Donne vittime del fondamentalismo islamico»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/09/2009, a pag. 18, il commento di Isabella Bossi Fedrigotti dal titolo " Hina, Sanaa e quelle mamme che non vorremmo ascoltare ". Dal GIORNALE, a pag. 21, l'articolo dal titolo " Souad Sbai: ' Perchè la donna ora parla per bocca di un imam? '  ". Da AGENZIA RADICALE, l'articolo di Elena Lattes dal titolo " Donne vittime del fondamentalismo islamico ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Isabella Bossi Fedrigotti : " Hina, Sanaa e quelle mamme che non vorremmo ascoltare "

 Fatna El Kataoui, madre di Sanaa Dafani

La mamma di Hina e la mamma di Sanaa l’hanno detto entram­be: che assolvono i loro mariti assassini, che li perdonano, che sono state le ragaz­ze a perdere la testa, a comportarsi male. Avranno anche sbagliato le povere ragaz­ze, perché andare a vivere con il fidanzato sarà certo una vergogna per una famiglia musulmana, un po’ come lo era, fino a 50, 40 anni fa, o anche meno, per una fami­glia italiana, ma ammazzarle per questo è imperdonabile, soprattutto da parte di una madre che, per istinto, per cultura an­tica e immutabile dovrebbe proteggere, sostenere, difendere i figli anche contro i loro padri, se occorre.
Non può essere vero che le madri com­prendono chi ha sgozzato le loro ragazze come pecore, lo diranno perché glielo hanno messo in bocca, perché le hanno convinte o costrette, lo diranno per paura perché gli assassini un giorno usciranno di prigione e perché intorno ci sono co­gnati, fratelli e zii, uomini del clan che le sorvegliano. Ma non può essere vero che perdonano per altri motivi ancora, più prosaici ma non meno drammatici: finen­do in prigione per anni e anni, questi due uomini hanno gettato sul lastrico le loro famiglie, privandole dello stipendio che le faceva vivere. E se dopo tutto fosse tragi­camente vero, che davvero voi infelici ma­dri di Hina e di Sanaa scegliete di stare con gli assassini, non dovete dirlo non so­lo perché è quel che vogliono sentire colo­ro che soffiano sul fuoco dello scontro di civiltà, ma anche perché risulta incom­prensibile e insopportabile a noi tutti e perché rischia di seminare il dubbio che le distanze culturali siano troppo, troppo grandi.
Storici e sociologi ci hanno sempre assi­curato che saranno le donne islamiche a gettare il ponte sul fossato che ancora ci divide, noi e loro, perché prima o poi si vorranno scrollare di dosso l’antica regola crudele di cieca sottomissione agli uomini di casa, agli atavici precetti tribali, al Cora­no reinterpretato secondo il capriccio del più forte. Nonostante le dichiarazioni del­le due infelici madri vorremmo continua­re a credere che non potrà essere che così.

Il GIORNALE - " Souad Sbai: ' Perchè la donna ora parla per bocca di un imam? ' "

 Soud Sbai

L'associazione nazionale D.iRe Donne in Rete contro la violenza, che raccoglie la maggior parte dei centri antiviolenza italiani, esprime "sdegno e dolore per la tragica morte di Sanaa". " Pensiamo che Sanaa non sia stata accoltellata dal padre perchè il suo ragazzo era cattolico e italiano, ma, come tante altre donne uccise, italiane e straniere, Sanaa abbia pagato con la vita il prezzo del suo amore per la libertà femminile ".
E mentre da oggi la madre di Sanaa è "indesiderata" nel comune di Azzano Decimo (Pordenone), come ha affermato il sindaco del comune Enzo bortolotti, dubbi sulla genuinità delle sue dichiarazioni sono sollevati dall'onorevole Souad Sbai, presidentre dell'Acmid Donna (Associazione comunità donne marocchine in Italia). Attraverso il legale dell'associazione, l'avvocato Loredana Gemelli, la Sbai solleva una serie di interrogativi arrivando a chiedere un interessamento della magistratura. " Perchè la signora Fatna El Kataoui, madre di Sanaa, non si trova a casa propria, ma nell'abitazione dell'imam di pordenone? Chi è l'imam di Pordenone?". " Perchè rilascia in prima persona dichiarazioni di perdono per il marito, suo connazionale, da parte della signora? Come mai la signora non viene lasciata libera di comunicare con la stampa? Forse perchè è tenuta in ostaggio nel tentativo di imporle il silenzio? ".

AGENZIA RADICALE - Elena Lattes : " Donne vittime del fondamentalismo islamico "

 Sanaa Dafani

In questi giorni è arrivata agli onori della cronaca la triste vicenda della povera Sanaa Dafani, 18enne marocchina uccisa dal padre, in provincia di Pordenone, perché aveva un fidanzato italiano. Un caso simile a quello di Hina Saleem, altra ragazza vittima della Shaaria e del padre che non voleva una figlia "occidentalizzata". 
Storie di giovani donne che vorrebbero integrarsi nei Paesi in cui vivono e non vedono niente di male nelle relazioni amorose con esseri umani di culture e religioni diverse. In questo forse rientrano anche vicende in qualche modo con un percorso opposto (dal mondo libero al fondamentalismo islamico), ma che creano sempre problemi all'"altra metà del cielo", come è successo a Tulkarem, città governata dall'Autorità Palestinese, dove una cittadina statunitense è stata salvata da parte di dieci ex soldati israeliani dalle grinfie di suo marito.
La donna che aveva sposato un giovane palestinese conosciuto negli Stati Uniti e dal quale aveva avuto un bambino, era tenuta prigioniera dal marito, da oltre tre anni, segregata insieme alla prima moglie di lui, minacciata e, pare, anche picchiata. L'uomo, infatti, le diceva che se avesse provato ad uscire, non avrebbe più rivisto suo figlio e che sarebbe stata arrestata dallo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano. 
I genitori della giovane donna avevano contattato numerose volte l'Autorità palestinese nel tentativo di liberare la figlia, ma non avendo ricevuto nessuna risposta, si sono rivolti ad un israelo-americano che aveva prestato servizio in un'unità da combattimento dell'esercito di Gerusalemme. L'uomo ha coinvolto alcuni suoi vecchi compagni ed insieme hanno pianificato per settimane l'operazione di salvataggio, raccogliendo notizie sulle abitudini della famiglia e portando a compimento la liberazione della donna e del figlio di 3 anni che sono stati subito trasferiti al consolato americano a Gerusalemme, dal quale poi sono partiti per tornare nell'Ohio. 
Giora, uno degli uomini che ha preso parte all'operazione, ha raccontato alla radio israeliana che l'esercito era all'oscuro della vicenda, mentre la sede diplomatica americana veniva informata della missione passo dopo passo e che l'operazione è stata pianificata grazie all'esperienza acquisita durante il servizio militare, secondo tecniche che non mettevano in pericolo la vita.
La famiglia ha promesso un premio in denaro per la liberazione della figlia e del nipotino, ma Giora assicura che non lo hanno fatto per soldi e che rifiuteranno l'offerta.

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