Lottare per l'identità ebraica, per Israele Il J'accuse di Giorgio Israel
Testata: Informazione Corretta Data: 08 settembre 2009 Pagina: 1 Autore: Giorgio Israel Titolo: «Lottare per l'identità ebraica, per Israele»
Lottare per l'identità ebraica, per Israele
Il J'accuse di Giorgio Israel
L’ultima notizia viene dal Festival del cinema di Toronto: Jane Fonda, Danny Glover e Eve Ensler hanno aderito al boicottaggio del festival perché presenta una retrospettiva di film dedicati al centenario della fondazione di Tel Aviv. Perché? Perché Tel Aviv fu «edificata con la violenza ignorando le sofferenze di migliaia di ex abitanti e dei loro discendenti». Anche Ken Loach ci ha provato, contestando addirittura la presenza di un film israeliano al Festival di Melbourne: per fortuna è rimasto isolato. Ma anche se qualche tentativo non va a segno il diluvio è impressionante e colpisce da ogni lato. L’elenco sarebbe certamente incompleto e non intendiamo neppure provare a farlo. Ci limitiamo a sottolineare la portata e la gravità di certe iniziative. Per esempio, quella del governo norvegese, che ha dato un colpo politico ed economico durissimo a Israele ritirando i suoi investimenti nella società israeliana Elbit Systems a causa della sua «implicazione intensiva nella costruzione della barriera di separazione». Frattanto, mentre la Siria libera il terrorista dell’Achille Lauro, Hamas ha partita vinta circa l’introduzione dello studio della Shoah nei manuali di storia dell’Unrwa: l’ONU ha ceduto ed ha avvallato il principio che la memoria della Shoah offende i palestinesi. È più che antisemitismo di stato: è antisemitismo avvallato dalla massima organizzazione internazionale. Frattanto, siamo alla vigilia della probabile nomina del primo antisemita dichiarato a presidente dell’UNESCO, ovvero del massimo ente culturale internazionale, mentre esce alla scoperta anche un centinaio di intellettuali italiani che firmano a favore di quella candidatura e qualcuno di essi dichiara persino di non trovare nulla da ridire circa l’affermazione che i libri in ebraico vadano bruciati. Non cavilliamo. Tutti questi fatti hanno un legame preciso e chi volesse tentare di separare la questione israeliana da quella ebraica sarebbe poco intelligente o in malafede. Anche laddove l’attacco sembra riguardare soltanto Israele, esso si contraddistingue per due aspetti strettamente connessi: negare ogni legittimità alla presenza ebraica in Palestina – ovvero gli ebrei sono l’unico popolo a non avere diritto a una memoria ed alle proprie radici, proprio mentre il politicamente corretto esalta tale diritto fino al parossismo – e negare ogni valore a ciò che costituisce l’identità ebraica, ovvero al legame tra ebraismo e Gerusalemme, alla Shoah e persino alla letteratura. Negli anni precedenti il 1938 la comunità ebraica italiana fu spaccata da un conflitto istigato dal fascismo ponendo l’alternativa: o siete contro il sionismo oppure non siete fedeli alla nazione. Oggi, in condizioni diverse, ma in certo senso peggiori perché di carattere internazionale, gli ebrei sono posti di fronte alla stessa alternativa: o vi dissociate da Israele oppure siete complici dei suoi crimini e alimentate voi stessi l’antisemitismo di cui siete e sarete vittime. Come allora l’alternativa è falsa e bieca: chi pensa di cavarsela accettando il ricatto farà la fine di quel signore che voleva essere l’ultimo della lista ad essere mangiato dal coccodrillo. Oggi, la pericolosità della situazione è data dalla presenza alla Casa Bianca di un signore che non soltanto non pronunzia una sola parola contro uno solo dei tantissimi episodi di antisemitismo – non una sola parola! – ma segue il Seder di Pesach con i suoi consiglieri ebrei e ascolta, senza attribuirle alcun significato, l’invocazione finale “L’anno prossimo a Gerusalemme”. Difatti, egli è pronto a ridare tutta Gerusalemme vecchia agli arabi. Per l’intellettualità liberal che gli sta intorno ormai è la legittimità di Israele in questione: come è stato scritto sul New York Times, la legittimità palestinese è evidente, quella israeliana è tutta da dimostrare. Per cui, la formula “due popoli, due stati” è divenuta uno slogan obsoleto dietro cui si affaccia la formula “uno stato per due popoli”: lo stato degli ebrei che vorranno rimanere e dei palestinesi che già ci sono e i milioni che torneranno. Il solito New York Times ha predicato che è meglio non sbarrare la strada di Hosni alla presidenza dell’UNESCO e piuttosto dargli in mano nella battaglia contro l’antisemitismo. Non si poteva trovare di meglio di un vecchio arnese antisemita per fare questo?... Ma questa è la linea di Obama, che ha come unico interesse un buon rapporto con il mondo islamico e del resto se ne infischia. Così gli USA hanno tolto il loro veto su Hosni e, dicono, anche Israele. Diciamo piuttosto che Israele è rimasto solo assieme a Wiesel e Bernard-Henri Lévy. In conclusione, oggi la questione che abbiamo di fronte è una sola. Non si tratta di chiedersi se il problema sia una difesa punto per punto di ogni aspetto della politica israeliana: ovviamente non si tratta di questo. Il problema è che oggi è messa in discussione, per la prima volta dal dopoguerra, la legittimità dell’identità ebraica, di tutti i suoi simboli, di tutti i suoi diritti. Tutto ciò che viene riconosciuto ai palestinesi – e ad ogni altro popolo “oppresso” – è negato agli ebrei e agli israeliani: il diritto al ritorno (in qualsiasi degli innumerevoli luoghi da cui gli ebrei siano stati cacciati), il legame con una terra, con una città (Gerusalemme), con i propri simboli religiosi, la difesa della propria cultura (dire che i libri in ebraico si bruciano è un peccato veniale), la memoria delle proprie persecuzioni (in quanto offenderebbe la memoria e l’identità degli altri), e così via. Però – si dirà – abbiamo la Giornata della memoria e la Giornata della cultura ebraica. Sono manifestazioni che riguardano l’ebraismo come entità disincarnata, come può essere considerata la memoria e la cultura dell’antica Grecia. Gli ebrei vi si aggirano come testimoni della storia dei loro avi fuori dall’attualità, pena il costituire una provocazione vivente. La presenza ebraica è ovunque sempre più un fastidio e un intralcio. La domanda è semplice: vogliamo continuare così, magari mettendo la testa nella sabbia e lasciare che questo processo vada avanti, illudendoci che le concessioni culturali e memorialistiche bastino a spegnere l’antisemitismo, considerando la questione della legittimità – del diritto a esistere – di Israele come un problema distinto? E quando dico “noi” intendo in primo luogo gli ebrei, dovunque essi vivano, e tutte le persone in buona fede che hanno a cuore l’esistenza di un ebraismo vivo e vitale. Così come la domanda è semplice, la risposta è semplice: se non si vuole andare lungo quella china occorre d’ora in poi, saldare ogni discorso culturale e sulla memoria al senso attuale che quella cultura e quei simboli hanno per l’ebraismo mondiale – dovunque esso si trovi – e al suo diritto a esistere nella realtà viva. Occorre dire alto e forte che gli ebrei non si rassegnano ad essere ridotti al rango di immagini del passato, come fossero i fantasmi degli Etruschi, privi dei diritti che vengono riconosciuti a tutti gli altri popoli. Lotta all’antisemitismo, difesa e diffusione di una cultura ebraica viva, rivendicazione del diritto dei simboli dell’ebraismo ad essere riconosciuti e rispettati, sono aspetti indissolubili. Forse è giunto il momento– invece di continuare passivamente su una china che ci trascina sempre più in basso – che ciascuno si senta chiamato a prendere posizione su tale questione.