Jane Fonda, regina della Gauche- Caviar hollywoodiana, e, di nuovo, Farouk Hosni, due personaggi dalle sgradevoli dichiarazioni. La prima, da sempre attrice molto politicizzata, ha scoperto che Israele è come il Sud Africa dell'Apartheid, poverina, lei che era sempre fra le prime, ora arriva fra gli ultimi. Se ne è accorta durante il Festival di Toronto, CORRIERE della SERA, pag.16. " Jane Fonda contro il festival di Toronto, propaganda per Israele". L'altro, ormai vicino alla poltrona di segretario Unesco, è il protagonista di due articoli, sempre sul Corriere, e di uno su REPUBBLICA, che, alla buon' ora, lo scopre solo oggi.
Ecco gli articoli:
Fonda & Hosni
Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Jane Fonda contro il festival di Toronto, propaganda pro Israele "
GERUSALEMME — Da Hanoi Jane a Jaffa Jane: a 71 anni, due Oscar vinti e un’infinità di battaglie civili combattute, la pasionaria di Hollywood mette l’elmetto contro l’ennesima passerella cinematografica che invita registi israeliani. Stavolta ce l’ha col Toronto International Film Festival, che per i cent’anni di Tel Aviv s’è inventato una sezione apposita, mandando sullo schermo dieci pellicole a tema. Israele è uguale al Sudafrica dell’apartheid, dice Jane Fonda, un «regime razzista» ha messo in moto «una potente macchina di propaganda» per dare all’estero un’immagine accattivante di sé: «E chi celebra oggi la moderna e sofisticata Tel Aviv, ignorando che esistono la Cisgiordania e Gaza, è come se vent’anni fa avesse parlato solo di Città del Capo o di Johannesburg, eleganti e con uno stile di vita bianco, facendo finta che non ci fossero anche Khayelitsha e Soweto ».
No logo: la promozione di Tel Aviv fa parte d’un rilancio d’immagine, varato dal governo israeliano dopo la guerra di Gaza. Ma dalle parti del cinema non funziona granché. Al Festival di Edimburgo, il regista Ken Loach s’era ritirato perché gli organizzatori avevano pagato biglietto aereo e albergo a una collega telavivi. A Toronto s’è allestito un set di protesta diretto dalla Fonda, dallo stesso Loach, dal musicista David Byrne e da altre star, come Eve Ensler o Danny Glover, quello che vanta un’amicizia personale con Hugo Chávez. Il filmmaker canadese John Greyson ha ritirato la sua opera. Naomi Klein, la scrittrice no-global che a Toronto vive, ha organizzato sit-in. Ed è stato presentato un documento, cinquanta firme, per protestare contro «l’assenza assoluta di registi palestinesi» e il voluto silenzio sulla parte araba di Tel Aviv, Jaffa, e sulla «sofferenza di migliaia di discendenti dei palestinesi che abitavano lì e oggi vivono nei campi profughi dei Territori occupati, dopo l’esilio di massa del 1948».
La difesa degli organizzatori è altrettanto decisa: innanzi tutto ci sono due titoli palestinesi in cartellone, dicono, e poi non si può accusare di propaganda un film come «La Bolla» di Eytan Fox, che critica la società israeliana. Anche la stampa telavivi replica dura intervistando Marvin Hier, lui pure vincitore di due Oscar e cofondatore a Los Angeles del Centro Wiesenthal: «La gente che firma questo genere d’appelli — dice — è contraria alla soluzione dei due Stati. Perché quando si mette in discussione la legittimazione di Tel Aviv, si sostiene la soluzione d’un solo Stato. E la distruzione di quello d’Israele». Potrebbe citare un vecchio successo di Jane, il rabbino Hier: non si uccidono così anche i cavalli?
Corriere della Sera-Gianna Fragonara: " Unesco, l'Italia vota il candidato delle polemiche"
ROMA — Anche l’Italia ha detto di sì al discusso ministro della Cultura egiziano Farouk Hosni. Voterà per eleggerlo direttore generale dell’Unesco, nonostante lo scandalo e le proteste dopo le sue dichiarazioni antisemite. Lo hanno rivelato ieri sera fonti della Farnesina, mentre nei giorni scorsi il ministro Franco Frattini era stato più vago: «Non abbiamo deciso il candidato da sostenere — aveva detto il ministro degli Esteri a Stoccolma —. Decideremo con voto segreto come prevede la procedura, in assoluta libertà di coscienza ». In realtà la scelta italiana era scontata da un anno: nei due incontri tra Silvio Berlusconi e il presidente egiziano Mubarak, il premier aveva promesso esplicitamente e poi ribadito il voto italiano per Hosni. E ormai sul nome del potentissimo ministro della Cultura si sta creando una maggioranza consolidata — oltre 36 voti su 58, secondo il Cairo — e anche Usa e Israele hanno tolto il loro veto.
A rendere imbarazzante la candidatura furono un anno fa le dichiarazioni in Parlamento dello stesso Hosni che spiegò senza batter ciglio che avrebbe volentieri «bruciato con le sue mani i libri israeliani presenti nelle biblioteche egiziane». Frasi che fecero il giro del mondo e che per qualche mese sembravano aver messo ko Hosni, sostenuto però dalla Lega araba, dall’Unione africana, dall’Organizzazione per la conferenza islamica e dalla Francia di Sarkozy che punta tutte le sue carte su Mubarak e sull’Egitto per stabilizzare la regione mediorientale.
In campo ci sono altre otto candidature, di cui tre europee: la commissaria Ue Benita Ferrero-Waldner, l’ambasciatrice lituana all’agenzia Onu per la Cultura Ina Marciulion e l’ambasciatrice di Bulgaria a Parigi, Irina Bokova: «Troppe, l’Europa non avrà una posizione comune», aveva spiegato Frattini la settimana scorsa.
Certamente il discusso Hosni ha un curriculum di maggior prestigio, e non manca in Italia di buoni agganci. Le sue scuse dopo le dichiarazioni antisemite sembravano non essere bastate, anche se in agosto a favore di Hosni avevano firmato un appello una decina di intellettuali italiani tra cui Franco Zeffirelli, costretto in extremis dalle polemiche a ritirare il suo appoggio. A maggio contro la sua candidatura aveva parlato anche il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, su Le Monde, denunciando «la vergogna di un naufragio annunciato all’Unesco». Contro Hosni si è schierata anche la rivista americana Foreign Policy .
Se l’esito del voto del Consiglio Unesco di Parigi sarà confermato dalla Conferenza generale, Hosni succederà al giapponese Koichiro Matsura il 15 novembre e resterà in carica quattro anni.
Corriere della Sera-Davide Frattini: " Diplomazia delle Sinagoghe per il pittore-ministro"
I ruderi della sinagoga di Maimonide stanno in fondo a un vicolo della Cairo vecchia. I restauratori sono al lavoro per puntellare le pareti delle stanze dove il filosofo ebreo andava a studiare ai tempi del Saladino e per rafforzare la candidatura di Farouk Hosni alla guida dell’Unesco. Il governo ha alzato la tenda blu che copre i ponteggi solo alla fine di agosto, ha invitato giornalisti e fotografi a poche settimane dal voto di Parigi. «Non è una mossa politica », assicura Zahi Hawass, che sovrintende alle antichità del Paese. «Il passato ebraico fa parte della nostra eredità nazionale».
Un’eredità che fino ad ora il presidente Hosni Mubarak aveva scelto di preservare in segreto. Delle quindici sinagoghe esistenti, due sono state recuperate e per altre otto è stato approvato il progetto. Eppure senza pubblicità, per paura delle reazioni anti-israeliane da parte degli egiziani. Adesso il suo ministro punta a dirigere l’organismo delle Nazioni Unite che da statuto vuole «contribuire alla pace e alla sicurezza promuovendo la collaborazione tra le nazioni, attraverso l’educazione, la scienza e la cultura». I resti del tempio possono servire a convincere gli scettici tra i Paesi elettori e a rispondere agli appelli contro la candidatura di Hosni, nato ad Alessandria, 71 anni e da 22 plenipotenziario per la Cultura.
Elie Wiesel, Bernard-Henri Lévy e Claude Lanzmann hanno lanciato in maggio una campagna per fermare l’«al-fannan, wazir al-thaqafa» (artista e ministro, come viene sempre chiamato dai giornali locali), indignati dalle sue frasi «nauseabonde ». «Bruciamo questi libri, magari li brucerò io stesso davanti a voi», aveva risposto nel 2008 a un deputato egiziano preoccupato che autori israeliani venissero inseriti nella biblioteca d’Alessandria.
I critici ricordano altre dichiarazioni: «Israele non ha mai contribuito alla civilizzazione, in nessun’epoca, perché non ha mai fatto altro che appropriarsi del bene altrui». E nel 2001, Hosni ha denunciato su un giornale egiziano «l’infiltrazione degli ebrei nei media internazionali » .
Il ministro e pittore, tornato al Cairo nel 1987 dopo aver diretto l’Accademia d’Egitto a Roma, sa di avere l’appoggio della Lega Araba, dell’Unione Africana e della Conferenza dell’organizzazione islamica. Quello che sarebbe il primo arabo alla guida dell’Unesco ha reagito al boicottaggio internazionale con una promozione globale: viaggi nelle capitali e diplomazia porta a porta in questi giorni a Parigi (preceduta da un’autodifesa pubblicata in maggio su Le Monde ).
«Sono un uomo di pace — scrive Hosni sul quotidiano francese —. So che la pace passa attraverso la comprensione e il rispetto. In nome di questi valori, voglio riesaminare le parole che ho pronunciato e che sono state considerate un appello a bruciare i libri in ebraico. Dico subito che mi dispiace. Potrei cercare una scusa nella tensione polemica in cui è stata detta quella frase, ma non lo farò: non ci sono circostanze da invocare».
Roger Cohen, editorialista del New York Times, è intervenuto ieri in suo sostegno: «Hosni si trova al centro delle sfide culturali che dobbiamo affrontare. Non respingiamolo, infiammando la vecchia retorica anti-occidentale e anti-imperialista. Piuttosto pressiamolo dopo l’elezione perché combatta l’antisemitismo che avvelena la psiche dei giovani arabi, favorisca il dialogo, apra le menti arabe alla scienza e all’educazione » .
La Repubblica-Giampiero Martinotti: " La grande battaglia dell'Unesco, antisemita il candidato egiziano"
dal nostro corrispondente
parigi - Farouk Hosni ce la può fare e per la prima volta un arabo potrebbe guidare l´Unesco, l´organizzazione dell´Onu per la cultura e l´educazione. Ma il suo nome, poco conosciuto dalle opinioni pubbliche occidentali, suscita un vespaio di polemiche e rende quanto mai incerto l´esito del voto. Settantuno anni, da ventidue ministro della Cultura egiziano, Hosni è l´uomo con il quale Hosni Mubarak vuole imporre il suo paese come punto di passaggio obbligato del dialogo tra mondo occidentale e mondo islamico. Da due anni il presidente egiziano Mubarak fa campagna presso le cancellerie di tutto il mondo per sostenere il suo candidato, ma per molti l´idea di portare Hosni al vertice di un organismo chiamato a favorire la tolleranza fra le culture del pianeta è uno scandalo: autore di alcune dichiarazioni antisemite, il ministro egiziano suscita diffidenza.
Ieri, il consiglio esecutivo dell´Unesco ha avviato le procedure per trovare un successore al giapponese Koichiro Matsuura. Il 17 i 58 membri voteranno a scrutinio segreto e la loro scelta sarà sicuramente ratificata in ottobre dall´assemblea generale. Hosni dice di avere in tasca 32 voti, cioè la maggioranza, ma gli osservatori ritengono improbabile un´elezione al primo turno. Ma chi è pronto davvero a votare l´egiziano nel segreto dell´urna? Nessuno si sbilancia ufficialmente, con la sola eccezione del Brasile, il cui voto all´egiziano è considerato sicuro. A sparare a zero contro Hosni sono stati tre intellettuali ebrei: il premio Nobel Elie Wiesel, Claude Lanzmann e Bernard-Henri Lévy. Impossibile, secondo loro, eleggere un uomo che negli ultimi otto anni ha rilasciato più di una dichiarazione antisemita e definito la cultura israeliana "inumana" e "razzista". Nel 2008, davanti al parlamento egiziano, in risposta a una interpellanza dei Fratelli musulmani sull´introduzione di libri israeliani nella biblioteca di Alessandria, Hosny ha detto: «Bruciamo questi libri, se ce ne sono, li brucerò io stesso davanti a voi». In maggio ha fatto ammenda, si è scusato, ma come ha detto il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, l´egiziano «non ha aspettato il 2008» per rilasciare dichiarazioni controverse.
Kouchner, in ogni caso, si è ben guardato dal dire come voterà la Francia: paese ospite dell´Unesco, si dice imparziale. Ma per quel che si sa, l´Eliseo appoggia la candidatura voluta da Mubarak: «L´Egitto è un fattore di pace in Medio Oriente», ripetono fonti dell´Eliseo. Anche la Lega araba, l´Unione africana, l´Organizzazione per la conferenza islamica appoggiano l´egiziano, anche se si mormora che molti paesi arabi, come l´Algeria, siano inclini a silurare Hosni per evitare un successo della diplomazia del Cairo. Gli europei presentano ben tre candidati, fra cui il commissario alle relazioni internazionali, l´austriaca Benita Ferrero-Waldner, ma difficilmente troveranno una posizione comune, malgrado le pressioni della presidenza svedese. Franco Frattini ha detto che l´Italia non ha ancora scelto, ma fonti vicine alla Farnesina lasciano intendere che la preferenza andrà Hosni.
E gli Usa e Israele? La Casa Bianca appoggerebbe l´egiziano in nome del dialogo con il mondo musulmano, Israele sarebbe «non ostile» per mantenere buoni rapporti con il Cairo. Ma i diplomatici dei due paesi, secondo Le Monde, starebbero in realtà osteggiando segretamente la candidatura dell´egiziano, favorendo la moltiplicazione dei candidati, almeno 9 finora.
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