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Corriere della Sera.La Repubblica Rassegna Stampa
08.09.2009 Jane Fonda & Farouk Hosni e le loro sgradevoli dichiarazioni
articoli di Francesco Battistini,Gianna Fregonara,Davide Frattini,Giampiero Martinotti

Testata:Corriere della Sera.La Repubblica
Autore: Francesco Battistini,Gianna Fregonara,Davide Frattini,Giampiero Martinotti
Titolo: «Jane Fonda contro il festival di Toronto, propaganda pro Israele-Unesco, l'Italia vota il candidato delle polemiche»

Jane Fonda, regina della Gauche- Caviar hollywoodiana, e, di nuovo, Farouk Hosni, due personaggi dalle sgradevoli dichiarazioni. La prima, da sempre attrice molto politicizzata, ha scoperto che Israele è come il Sud Africa dell'Apartheid, poverina, lei che era sempre fra le prime, ora arriva fra gli ultimi. Se ne è accorta durante il Festival di Toronto, CORRIERE della SERA, pag.16. " Jane Fonda contro il festival di Toronto, propaganda per Israele".  L'altro, ormai vicino alla poltrona di segretario Unesco, è il protagonista di due articoli, sempre sul Corriere, e di uno su REPUBBLICA, che, alla buon' ora, lo scopre solo oggi.
Ecco gli articoli:

Fonda & Hosni

Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Jane Fonda contro il festival di Toronto, propaganda pro Israele "

GERUSALEMME — Da Ha­noi Jane a Jaffa Jane: a 71 an­ni, due Oscar vinti e un’infi­nità di battaglie civili com­battute, la pasionaria di Hol­lywood mette l’elmetto con­tro l’ennesima passerella ci­nematografica che invita re­gisti israeliani. Stavolta ce l’ha col Toronto Internatio­nal Film Festival, che per i cent’anni di Tel Aviv s’è in­ventato una sezione apposi­ta, mandando sullo schermo dieci pellicole a tema. Israele è uguale al Sudafrica del­­l’apartheid, dice Jane Fonda, un «regime razzista» ha mes­so in moto «una potente macchina di propaganda» per dare all’estero un’imma­gine accattivante di sé: «E chi celebra oggi la moderna e sofisticata Tel Aviv, igno­rando che esistono la Cisgior­dania e Gaza, è come se vent’anni fa avesse parlato solo di Città del Capo o di Johannesburg, eleganti e con uno stile di vita bianco, fa­cendo finta che non ci fosse­ro anche Khayelitsha e Sowe­to ».

No logo: la promozione di Tel Aviv fa parte d’un rilan­cio d’immagine, varato dal governo israeliano dopo la
guerra di Gaza. Ma dalle par­ti del cinema non funziona granché. Al Festival di Edim­burgo, il regista Ken Loach s’era ritirato perché gli organizzatori ave­vano pagato biglietto aereo e albergo a una collega telavivi. A To­ronto s’è allestito un set di protesta diretto dalla Fonda, dallo stes­so Loach, dal musicista David Byrne e da altre star, come Eve Ensler o Danny Glover, quello che vanta un’amicizia perso­nale con Hugo Chávez. Il filmmaker canadese John Greyson ha ritirato la sua opera. Naomi Klein, la scrit­trice no-global che a Toron­to vive, ha organizzato sit-in. Ed è stato presentato un documento, cinquanta fir­me, per protestare contro «l’assenza assoluta di registi palestinesi» e il voluto silen­zio sulla parte araba di Tel Aviv, Jaffa, e sulla «sofferen­za di migliaia di discendenti dei palestinesi che abitavano lì e oggi vivono nei campi profughi dei Territori occu­pati, dopo l’esilio di massa del 1948».

La difesa degli organizzato­ri è altrettanto decisa: innan­zi tutto ci sono due titoli pale­stinesi
in cartellone, dicono, e poi non si può accusare di propaganda un film come «La Bolla» di Eytan Fox, che critica la società israeliana. Anche la stampa telavivi re­plica dura intervistando Mar­vin Hier, lui pure vincitore di due Oscar e cofondatore a Los Angeles del Centro Wie­senthal: «La gente che firma questo genere d’appelli — di­ce — è contraria alla soluzio­ne dei due Stati. Perché quan­do si mette in discussione la legittimazione di Tel Aviv, si sostiene la soluzione d’un so­lo Stato. E la distruzione di quello d’Israele». Potrebbe ci­tare un vecchio successo di Ja­ne, il rabbino Hier: non si uc­cidono così anche i cavalli?

Corriere della Sera-Gianna Fragonara: " Unesco, l'Italia vota il candidato delle polemiche"

ROMA — Anche l’Italia ha detto di sì al discusso mini­stro della Cultura egiziano Fa­rouk Hosni. Voterà per elegger­lo direttore generale dell’Une­sco, nonostante lo scandalo e le proteste dopo le sue dichia­razioni antisemite. Lo hanno rivelato ieri sera fonti della Far­nesina, mentre nei giorni scor­si il ministro Franco Frattini era stato più vago: «Non abbia­mo deciso il candidato da so­stenere — aveva detto il mini­stro degli Esteri a Stoccolma —. Decideremo con voto se­greto come prevede la proce­dura, in assoluta libertà di co­scienza ». In realtà la scelta ita­liana era scontata da un anno: nei due incontri tra Silvio Ber­lusconi e il presidente egizia­no Mubarak, il premier aveva promesso esplicitamente e poi ribadito il voto italiano per Ho­sni. E ormai sul nome del po­tentissimo ministro della Cul­tura si sta creando una mag­gioranza consolidata — oltre 36 voti su 58, secondo il Cairo — e anche Usa e Israele hanno tolto il loro veto.

A rendere imbarazzante la candidatura furono un anno fa le dichiarazioni in Parlamen­to dello stesso Hosni che spie­gò senza batter ciglio che avrebbe volentieri «bruciato con le sue mani i libri israelia­ni presenti nelle biblioteche egiziane». Frasi che fecero il gi­ro del mondo e che per qual­che mese sembravano aver messo ko Hosni, sostenuto pe­rò dalla Lega araba, dall’Unio­ne africana, dall’Organizzazio­ne per la conferenza islamica e dalla Francia di Sarkozy che punta tutte le sue carte su Mu­barak e sull’Egitto per stabiliz­zare la regione mediorientale.

In campo ci sono altre otto candidature, di cui tre euro­pee: la commissaria Ue Benita Ferrero-Waldner, l’ambascia­trice lituana all’agenzia Onu per la Cultura Ina Marciulion e l’ambasciatrice di Bulgaria a Parigi, Irina Bokova: «Troppe, l’Europa non avrà una posizio­ne comune», aveva spiegato Frattini la settimana scorsa.

Certamente il discusso Ho­sni ha un curriculum di mag­gior prestigio, e non manca in Italia di buoni agganci. Le sue scuse dopo le dichiarazioni an­tisemite sembravano non esse­re bastate, anche se in agosto a favore di Hosni avevano fir­mato un appello una decina di intellettuali italiani tra cui Franco Zeffirelli, costretto in extremis dalle polemiche a riti­rare il suo appoggio. A maggio contro la sua candidatura ave­va parlato anche il premio No­bel per la pace Elie Wiesel, su
Le Monde, denunciando «la vergogna di un naufragio an­nunciato all’Unesco». Contro Hosni si è schierata anche la ri­vista americana Foreign Poli­cy .

Se l’esito del voto del Consi­glio Unesco di Parigi sarà con­fermato dalla Conferenza gene­rale, Hosni succederà al giap­ponese Koichiro Matsura il 15 novembre e resterà in carica quattro anni.

Corriere della Sera-Davide Frattini: "   Diplomazia delle Sinagoghe per il pittore-ministro"

I ruderi della sinagoga di Maimo­nide stanno in fondo a un vicolo della Cairo vecchia. I restauratori so­no al lavoro per puntellare le pareti delle stanze dove il filosofo ebreo andava a studiare ai tempi del Sala­dino e per rafforzare la candidatura di Farouk Hosni alla guida dell’Une­sco. Il governo ha alzato la tenda blu che copre i ponteggi solo alla fi­ne di agosto, ha invitato giornalisti e fotografi a poche settimane dal vo­to di Parigi. «Non è una mossa poli­tica », assicura Zahi Hawass, che so­vrintende alle antichità del Paese. «Il passato ebraico fa parte della no­stra eredità nazionale».

Un’eredità che fino ad ora il presi­dente Hosni Mubarak aveva scelto di preservare in segreto. Delle quin­dici sinagoghe esistenti, due sono state recuperate e per altre otto è stato approvato il progetto. Eppure senza pubblicità, per paura delle re­azioni anti-israeliane da parte degli egiziani. Adesso il suo ministro pun­ta a dirigere l’organismo delle Na­zioni Unite che da statuto vuole «contribuire alla pace e alla sicurez­za promuovendo la collaborazione tra le nazioni, attraverso l’educazio­ne, la scienza e la cultura». I resti del tempio possono servire a con­vincere gli scettici tra i Paesi eletto­ri e a rispondere agli appelli contro la candidatura di Hosni, nato ad Alessandria, 71 anni e da 22 pleni­potenziario per la Cultura.

Elie Wiesel, Bernard-Henri Lévy e Claude Lanzmann hanno lanciato in maggio una campagna per ferma­re l’«al-fannan, wazir al-thaqafa» (artista e ministro, come viene sem­pre chiamato dai giornali locali), in­dignati dalle sue frasi «nauseabon­de ». «Bruciamo questi libri, magari li brucerò io stesso davanti a voi», aveva risposto nel 2008 a un deputa­to egiziano preoccupato che autori israeliani venissero inseriti nella bi­blioteca d’Alessandria.

I critici ricordano altre dichiara­zioni: «Israele non ha mai contribui­to alla civilizzazione, in nessun’epo­ca, perché non ha mai fatto altro
che appropriarsi del bene altrui». E nel 2001, Hosni ha denunciato su un giornale egiziano «l’infiltrazione degli ebrei nei media internaziona­li » .

Il ministro e pittore, tornato al Ca­iro nel 1987 dopo aver diretto l’Ac­cademia d’Egitto a Roma, sa di ave­re l’appoggio della Lega Araba, del­l’Unione Africana e della Conferen­za dell’organizzazione islamica. Quello che sarebbe il primo arabo alla guida dell’Unesco ha reagito al boicottaggio internazionale con una promozione globale: viaggi nel­le capitali e diplomazia porta a por­ta in questi giorni a Parigi (precedu­ta da un’autodifesa pubblicata in
maggio su Le Monde ).

«Sono un uomo di pace — scrive Hosni sul quoti­diano francese —. So che la pace passa attraverso la comprensione e il rispetto. In nome di questi valori, voglio riesaminare le parole che ho pro­nunciato e che sono state conside­rate un appello a bruciare i libri in ebraico. Dico subito che mi dispia­ce. Potrei cercare una scusa nella tensione polemica in cui è stata det­ta quella frase, ma non lo farò: non ci sono circostanze da invocare».

Roger Cohen, editorialista del New York Times, è intervenuto ieri in suo sostegno: «Hosni si trova al centro delle sfide culturali che dob­biamo affrontare. Non respingiamo­lo, infiammando la vecchia retorica anti-occidentale e anti-imperiali­sta. Piuttosto pressiamolo dopo l’elezione perché combatta l’antise­mitismo che avvelena la psiche dei giovani arabi, favorisca il dialogo, apra le menti arabe alla scienza e al­l’educazione » .
 

La Repubblica-Giampiero Martinotti: " La grande battaglia dell'Unesco, antisemita il candidato egiziano"
 

dal nostro corrispondente
parigi - Farouk Hosni ce la può fare e per la prima volta un arabo potrebbe guidare l´Unesco, l´organizzazione dell´Onu per la cultura e l´educazione. Ma il suo nome, poco conosciuto dalle opinioni pubbliche occidentali, suscita un vespaio di polemiche e rende quanto mai incerto l´esito del voto. Settantuno anni, da ventidue ministro della Cultura egiziano, Hosni è l´uomo con il quale Hosni Mubarak vuole imporre il suo paese come punto di passaggio obbligato del dialogo tra mondo occidentale e mondo islamico. Da due anni il presidente egiziano Mubarak fa campagna presso le cancellerie di tutto il mondo per sostenere il suo candidato, ma per molti l´idea di portare Hosni al vertice di un organismo chiamato a favorire la tolleranza fra le culture del pianeta è uno scandalo: autore di alcune dichiarazioni antisemite, il ministro egiziano suscita diffidenza.
Ieri, il consiglio esecutivo dell´Unesco ha avviato le procedure per trovare un successore al giapponese Koichiro Matsuura. Il 17 i 58 membri voteranno a scrutinio segreto e la loro scelta sarà sicuramente ratificata in ottobre dall´assemblea generale. Hosni dice di avere in tasca 32 voti, cioè la maggioranza, ma gli osservatori ritengono improbabile un´elezione al primo turno. Ma chi è pronto davvero a votare l´egiziano nel segreto dell´urna? Nessuno si sbilancia ufficialmente, con la sola eccezione del Brasile, il cui voto all´egiziano è considerato sicuro. A sparare a zero contro Hosni sono stati tre intellettuali ebrei: il premio Nobel Elie Wiesel, Claude Lanzmann e Bernard-Henri Lévy. Impossibile, secondo loro, eleggere un uomo che negli ultimi otto anni ha rilasciato più di una dichiarazione antisemita e definito la cultura israeliana "inumana" e "razzista". Nel 2008, davanti al parlamento egiziano, in risposta a una interpellanza dei Fratelli musulmani sull´introduzione di libri israeliani nella biblioteca di Alessandria, Hosny ha detto: «Bruciamo questi libri, se ce ne sono, li brucerò io stesso davanti a voi». In maggio ha fatto ammenda, si è scusato, ma come ha detto il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, l´egiziano «non ha aspettato il 2008» per rilasciare dichiarazioni controverse.
Kouchner, in ogni caso, si è ben guardato dal dire come voterà la Francia: paese ospite dell´Unesco, si dice imparziale. Ma per quel che si sa, l´Eliseo appoggia la candidatura voluta da Mubarak: «L´Egitto è un fattore di pace in Medio Oriente», ripetono fonti dell´Eliseo. Anche la Lega araba, l´Unione africana, l´Organizzazione per la conferenza islamica appoggiano l´egiziano, anche se si mormora che molti paesi arabi, come l´Algeria, siano inclini a silurare Hosni per evitare un successo della diplomazia del Cairo. Gli europei presentano ben tre candidati, fra cui il commissario alle relazioni internazionali, l´austriaca Benita Ferrero-Waldner, ma difficilmente troveranno una posizione comune, malgrado le pressioni della presidenza svedese. Franco Frattini ha detto che l´Italia non ha ancora scelto, ma fonti vicine alla Farnesina lasciano intendere che la preferenza andrà Hosni.
E gli Usa e Israele? La Casa Bianca appoggerebbe l´egiziano in nome del dialogo con il mondo musulmano, Israele sarebbe «non ostile» per mantenere buoni rapporti con il Cairo. Ma i diplomatici dei due paesi, secondo Le Monde, starebbero in realtà osteggiando segretamente la candidatura dell´egiziano, favorendo la moltiplicazione dei candidati, almeno 9 finora.

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