Riportiamo da LIBERO di oggi, 04/09/2009, a pag. 19, gli articoli di Carlo Panella e Simona Verrazzo titolati " Ahmadinejad si è fatto un governo atomico " e " È un 'falco' della sharia l’unica donna al governo ". Ecco gli articoli:
Carlo Panella : " Ahmadinejad si è fatto un governo atomico "
Dopo lo scivolone sulla riforma sanitaria, e proprio nel momento in cui la sua strategia scricchiola in Afghanistan, Barack Obama dà evidenti segni di difficoltà su un terzo fronte strategico: l’Iran. Mentre il suo indice personale di gradimento precipita a velocità record - rispetto a tutti i suoi predecessori - sotto il 50%, si avvicina infatti la scadenza di fine settembre, data limite da lui stesso indicata ai dirigenti iraniani per avviare un qualche dialogo, tutto indica che si sta verificando l’opposto di quanto da lui auspicato e predetto e la sua amministrazione - questo è il punto drammatico - non ha nessuna idea di come reagire se non riprendendo le strategie di George W. Bush. Dopo una campagna elettorale vinta facendo credere agli americani che la responsabilità del precipitare della crisi iraniana risiedesse tutta nell’incapacità di Bush di dialogare col mondo musulmano, dopo il suo discorso di spropositata arrendevolezza nei confronti del mondo musulmano del 4 giugno dal Cairo, Obama è costretto ogni giorno di più a prendere atto non solo di avere sbagliato analisi circa gli avversari (e nei confronti dei leader iraniani il suo errore - dopo le elezioni truccate e sanguinarie - è stato plateale e immediatamente recepito da tutto il mondo), ma soprattutto di non avere un “piano B”, una alternativa strategica al “dialogo”. Con una lenta e inesorabile escalation, cadono tutti i presupposti della strategia obamiana. È caduta in questi giorni nel nulla l’affidabilità del dittatore siriano Bashar al Assad, che i Democratici indicavano come pedina centrale del dialogo con l’Iran (Nancy Pelosi, il leader democratico più potente fece un viaggio a Damasco nel 2007, ritornandone entusiasta), dopo che martedì il governo iracheno di al Maliki ha richiamato il suo ambasciatore a Damasco accusando il regime di ospitare i leader baathisti che hanno ordinato l’ultima ondata terroristica che ha sconvolto Baghdad. Accusa devastante, che colpisce al cuore l’analisi di Obama (condivisa purtroppo anche da Nicolas Sarkozy), perché dimostra che la Siria di Assad non sia affatto disponibile a staccarsi da Teheran, ma continua a favorire la destabilizzazione dell’Iraq, con tale virulenza e efficacia da mettere in forse la praticabilità dello stesso ritiro di truppe Usa voluto da Obama. Contemporaneamente, l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad e Alì Khamenei, ha respinto - ben prima del termine indicato da Obama - le ultime proposte di risoluzione del contenzioso sul nucleare avanzate dai “5 più 1”, mentre il regime si consolida in senso oltranzista. Il Majlis (il parlamento) ha infatti convalidato la nomina di Ahmad Vahidi a ministro della Difesa con una votazione che lo stesso Vahidi ha definito “uno schiaffo a Israele”. Il nuovo ministro infatti è inseguito da mandato di cattura internazionale emesso dal tribunale di Buenos Aires, quale mandante (assieme al “riformista” Rafsanjani, a spiegazione delle dinamiche interne iraniane), del feroce attentato alla Casa di Cultura ebraica della capitale argentina che nel 1994 sterminò 84 ebrei. Braccio destro di Ismail Mughniyeh - responsabile delle operazioni terroriste all’estero, ucciso in un misterioso attentato nel 2008 a Damasco - Vahidi è uno straordinario “tecnico della morte”, ovviamente attestato su posizioni di politica estera più che oltranziste. Sempre mercoledì, Ahmadinejad ha anche avviato un repulisti nell’apparato diplomatico e ha richiamato in patria, per sostituirli in gran parte, ben 40 ambasciatori, colpevoli di simpatie per i riformisti. Unica operazione non risuscita al presidente iraniano è stato il lifting di pura forma della nomina di tre donne a ministro: il parlamento ne ha bocciate infatti due e ha approvato solo la nomina dell’ultraconservatrice Marzieh Vahid Dastjerdi a ministro della Sanità. Nell’islam sciita e iraniano, peraltro, la donna è ben più emancipata che nell’islam sunnita (esistono addirittura, anche se rare, donne ayatollah) e quindi questa nomina non è certo di portata storica.
Simona Verrazzo: " È un 'falco' della sharia l’unica donna al governo "
Marzieh Vahid-Dastjerdi
È una ginecologa, stretta osservante della sharia, la prima donna ministro dell’Iran a trent’anni dalla Rivoluzione che nel 1979 portò al potere l’ayatollah Alì Khomeini, instaurando un regime teocratico. Con 175 voti a favore, 82 contro e 29 astenuti, Marzieh Vahid-Dastjerdi è l’unica delle tre donne proposte dal presidente Mahmoud Ahmadinejad ad aver ottenuto il consenso del Majlis, il Parlameto iraniano. Per lei si aprono le porte del ministero della Salute. Marzieh Vahid-Dastjerdi è nata nel 1959 a Teheran. Fa parte di una famiglia fedele alla Repubblica islamica: è figlia di Houshang Vahid Dastjerdi, colonnello della polizia ucciso nel 1981, onorato del titolo di “martire” e con una via nella capitale che porta il suo nome; è sorella di Ahmad Vahid Dastjerdi, che lavora nell’unità di Intelligence dell’ufficio della guida suprema, l’ayatollah Alì Khamenei. Nel 1988 si è laureata in medicina all’Università di Teheran, con specializzazione presso il Dipartimento di ostetricia e ginecologia (del quale è stata anche direttrice). Dal 1993 al 2000, riferisce sempre l’Irna, è stata membro della Società americana per la medicina riproduttiva. La sua esperienza come parlamentare è durata due legislature: dal 1992 al 2000. Nel 1993 ha partecipato alla nascita dell’Associazione islamica dei medici, mentre 1997 è stata scelta come portavoce della Commissione parlamentare Donne, famiglia e salute. È diventata “famosa” nel 1998, quando presentò un disegno di legge per chiedere la segregazione sessuale negli ospedali, cioè la separazione dei pazienti in base al sesso e la presenza di sole donne nei reparti femminili. L’anno dopo partecipò alla marcia di protesta indetta a Teheran contro la decisone della Turchia di bandire il velo dal Parlamento di Ankara.
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