giovedi` 21 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Rassegna Stampa
25.07.2009 Un sindacato corporativo che non tutela la libertà di stampa
L'intervento di Andrea Morigi

Testata:
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Clamoroso caso di pogrom sindacale. A chi non van giù i giornalisti israeliani?»

Sul DOMENICALE,  n. 30, del 25 luglio 2009, a pag. 3, con il titolo: "Clamoroso caso di pogrom sindacale. A chi non van giù i giornalisti israeliani?" Andrea Morigi commenta il caso dell'espulsione dei giornalisti israeliani dalla Fig. Eccolo:


Non sono soltanto gli 800 giornalisti israeliani, espulsi il 7 giugno 2009 dalla Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), a non ritenersi più parte dell’organismo che pretende di rappresentare 600.000 giornalisti in 123 Stati. Lo sono tutti coloro che giudicano la decisione una sconfitta per la ragione e per la vocazione stessa del sindacato. E una penosa ipocrisia la giustificazione fornita a posteriori dall’Ifj, che cita soltanto ragioni di natura economica, quali il mancato pagamento delle quote associative, sin dal 2004, da parte della National Federation of Israel Journalists. È chiaro a tutti che il casus belli è un altro. Lo ha sottolineato il presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, Giovanni Negri, facendo venire alla luce che si tratta invece «del disagio e del dissenso dei giornalisti israeliani sulla “linea politica” dell’Ifj». Da qui l’utilizzo di un «escamotage per uscire da un’organizzazione della quale non condividono le idee». Poiché la questione ha avuto scarsa eco sulla stampa – con l’eccezione di Giulio Meotti che l’ha resa nota sul Foglio, di Pierluigi Battista che ha commentato sul Corriere della Sera, e di Dimitri Buffa sull’Opinione – vale la pena ricordare che la vicenda trae le proprie origini da un’ostilità di Aidan White, da oltre vent’anni segretario generale dell’Ifj, e del suo presidente Jim Boumelha, verso la politica israeliana. Da loro, non è mai giunta una condanna verso le tv palestinesi che seminano l’odio contro Israele, l’antisemitismo e la propaganda a favore del terrorismo e del martirio suicida. Negli ultimi anni si è assistito soltanto a prese di posizione, sulla stessa linea di quelle adottate dal sindacato dei giornalisti britannici, la Nfij, contro i bombardamenti dell’emittente di Hezbollah, Al-Manar Tv, e di Al-Aqsa Tv, organo ufficiale di Hamas. Nonostante le spiegazioni dell’Ifj, che enumera tutti i propri inutili sforzi per arrivare a un accordo con la Nfij, molte proposte del sindacato israeliano, tra le quali l’istituzione di un “circolo della stampa” in cui giornalisti palestinesi e israeliani potessero lavorare insieme, non sono state accettate. Rimane comunque senza risposta la richiesta di chiarimenti al presidente del Consiglio nazionale della Federazione nazionale della stampa italiana, Roberto Natale, al quale mi sono rivolto domenica 12 luglio per sapere se si tratti di una deriva antisemita oppure di un'adesione alle posizioni politiche di Hamas, movimento inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti. In entrambi i casi, gli scrivevo, «sarei costretto a dimettermi immediatamente dal Consiglio Nazionale della Fnsi», di cui faccio parte dal novembre 2007. Come terza ipotesi, dato il contributo, con il suo voto favorevole, del rappresentante della Fnsi presso l’Ifj, Paolo Serventi Longhi, l’adesione italiana potrebbe esprimere soltanto una posizione personale. Serventi Longhi replica a Battista che «non vi è quindi alcuna motivazione politica né tanto meno una persecuzione “antisemita”» e «non c’è nessuna discriminazione da parte della Ifj, dunque, anche perché in caso contrario il sottoscritto e, credo di poter dire, la stessa Fnsi non avrebbero ragioni per farne parte». Nemmeno i circoli antagonisti che promuovono il boicottaggio nei confronti dei prodotti israeliani amano essere definiti antisemiti. Nemmeno monsignor Richard Williamson, il vescovo lefebvriano che nega l’esistenza delle camere a gas, si dice «interessato alla parola “antisemitismo”». Eppure non è meno persecutorio mascherarsi dietro il pretesto amministrativo. Anzi, commenta la componente sindacale di minoranza Punto e a Capo, di cui fanno parte Pierluigi Franz, Silvana Mazzocchi e Cinzia Romano, chiedendo di annullare l’espulsione e di revocare il rappresentante italiano presso la Ifj, «è evidente e lampante che nel sindacato internazionale la democrazia e la libertà dell’informazione sono evidentemente considerate battaglie non universali e valide a tutte le latitudini, ma da invocare solo a corrente alterna! Questa vicenda, che getta una grave ombra sulla Federazione internazionale e sulla Fnsi, dimostra quanto sia grave la crisi degli organismi di rappresentanza e come essi siamo espressione di posizioni ideologiche stereotipate e irrispettose del concetto stesso di democrazia». Senza perciò poter escludere che i primi due quesiti posti a Natale possano avere fondamento, poiché questa è la tesi più accreditata anche presso il mondo ebraico, sembra chiarirsi meglio che almeno il segretario della Fnsi, Franco Siddi, contesta il pogrom sindacale. Non è certo una dichiarazione coraggiosa, quella in cui rende pubblico l’impegno della Federazione «a creare le condizioni per la revoca di questo provvedimento, per il superamento delle incomprensioni e per affermare le ragioni del dialogo e della piena partecipazione della rappresentanza israeliana». Afferma che «tra di noi non ci sono ragioni antiisraeliane e nessun sentimento di questo tipo può essere imputato a dirigenti passati e presenti della Fnsi». Ma ritiene che, se «legittimamente, i dirigenti del Sindacato dei giornalisti israeliani Nfij hanno ritenuto di contestare prese di posizione della Ifj, trasformando questi atti nel ritiro dell’adesione», altrettanto «legittimamente la Ifj, dopo tre anni di mancata sottoscrizione delle iscrizioni, applicando le sue disposizioni statutarie, ha preso atto di un’auto cancellazione di fatto». Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma, anche se rivendica l’adesione della Fnsi alla Federazione internazionale dei giornalisti «con una sua linea di sostegno all’impegno dei giornalisti liberi,all’affermazione di legislazioni nazionali rispettose della libera stampa (condizione sempre riconosciuta in Israele), alla lotta contro le sopraffazioni e contro le violenze nei confronti del giornalismo», come se queste ultime non fossero a suo giudizio sufficientemente riconosciute in Israele. Poi, l’appello al volemose bbene, con cui Siddi conclude che «la democrazia di Israele, la libertà del popolo palestinese e i suoi diritti nazionali sono beni grandi e delicati, per i quali ci sono ancora troppe sofferenze e non vogliamo alimentarne altre per nessuna ragione. Il nostro lavoro sui terreni della comprensione, del dialogo, dell’amicizia è e resta permanente». Certo non gli sfugge che o si sta da una parte, quella delle democrazie, oppure dall’altra, a fare da cinghia di trasmissione con il fondamentalismo islamico. Del resto, il segretario della Fnsi quando la polemica è scoppiata, si trovava nell’ex campo di sterminio nazional-socialista di Dachau, dove ha reso omaggio alle vittime della Shoah, e ha in programma una giornata di lavoro e di studio con i colleghi degli organi di stampa delle comunità ebraiche. Ma, siccome Siddi cita anche, di passaggio, le parole pronunciate recentemente in Israele dal Santo Padre e il suo invito ad alleggerire la tensione in Terrasanta e in Medio Oriente, gli va chiesto uno sforzo aggiuntivo di meditazione. Nella sua ultima enciclica Caritas in Veritate, Benedetto XVI, richiama le organizzazioni sindacali «all'urgenza di instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale», ma non ad aderire alle organizzazioni che fomentano l’odio. E da questo pericolo si scampa, spiega il Papa, fondandosi sul «tradizionale insegnamento della Chiesa, che propone la distinzione di ruoli e funzioni tra sindacato e politica». Altrimenti, occorrerebbe risalire alla storia del sindacato dei giornalisti ricordando, insieme al presidente emerito dell’Ordine dei Giornalisti lombardo, Franco Abruzzo, che «la Fnsi è quel sindacato che, nell’ottobre 1978, era indeciso se aderire all'organizzazione dei giornalisti liberi d'Occidente o se aderire alla analoga organizzazione con sede a Praga occupata e violentata dalle truppe sovietiche. Un precedente da non dimenticare». Fu Walter Tobagi, al Congresso della Stampa di Pescara, a difendere «le nostre libertà» e quelle «dell’Occidente democratico», nota Abruzzo. Poi Tobagi fu ucciso dalle Brigate Rosse. Ma se ormai la Ifj è ridotta al rango di una copia occidentale, sul piano dei rapporti interni, nello stile burocratico di lavoro, e nella visione del mondo di quella che fu la vecchia organizzazione filosovietica, che aveva sede a Praga, tanto vale abbandonarla al proprio destino.

Per inviare al Domenicale la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


lettere@ildomenicale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT