Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/07/2009, a pag. 17, l'intervista di Emanuele Novazio a Noam Shalit dal titolo "L’Italia mi aiuti a liberare mio figlio".
Signor Noam Shalit, come si immagina oggi suo figlio Ghilad?
«Me l’immagino chiuso in qualche posto sotterraneo, senza finestre, al buio».
Lei lo ha sentito al telefono una sola volta, due anni fa. Cosa le ha comunicato la sua voce in quel momento?
«Nessuna sofferenza, piuttosto molta cautela: non voleva mi arrivassero emozioni che potessero tradire il suo stato d’animo. Mi ha chiesto aiuto, mi ha detto di chiedere aiuto al governo israeliano perché facesse di tutto per liberarlo».
Khalid Meshaal, il leader di Hamas che lo tiene prigioniero, ha detto l’altro giorno: «Israele deve accettare uno scambio serio di prigionieri o il soldato Shalit farà la fine degli altri soldati israliani scomparsi». Che effetto le hanno fatto queste dichiarazioni?
«In questi anni Hamas ha scatenato una vera guerra psicologica, continui annunci di rilascio e subito dopo le smentite: la settimana scorsa un portavoce è arrivato a dire che non sono sicuri che Ghilad sia ancora vivo. Vogliono mettere la famiglia e l’opinione pubblica contro il governo».
Ci riescono? Pensa che i governi israeliani abbiano fatto tutto il possibile per liberare suo figlio?
«No, di sicuro non quello precedente, non ho dubbi. Netanyahu spero faccia di meglio, anche se per il momento non è successo niente. Però un mese fa ha nominato un coordinatore incaricato di seguire i negoziati, un ex alto ufficiale del Mossad. Mi pare un uomo molto determinato, ma lo si giudicherà dai risultati: io e la mia famiglia guardiamo soltanto ai risultati, non ci interessano le dichiarazioni».
Pensa che sia giusto liberare, in cambio di suo figlio, centinaia di palestinesi imprigionati per atti di terrorismo ai danni di Israele?
«Non è giusto probabilmente, ma credo che non ci siano alternative».
Anche se le stesse persone potrebbero rappresentare di nuovo un pericolo per Israele?
«Ghilad non è andato a Gaza per un picnic o per affari. E’ andato perchè ce l’ha mandato il governo, e il governo deve fare quel che serve per ottenere il suo rilascio. E deve fare in modo che i terroristi non tornino a fare i terroristi».
La vicenda di suo figlio mescola ragion di Stato e dramma famigliare. E’ difficile essere padre e patriota?
«Non sono un patriota, sono solo un padre. Ho servito il mio Paese nell’esercito e lo stesso hanno fatto mia moglie e i miei due figli. Mia figlia partirà per il servizio militare il mese prossimo. Abbiamo pagato prezzo pieno».
Da oggi suo figlio è anche cittadino italiano, oltre che israeliano e francese. Pensa che questa nuova appartenenza europea possa aiutare la sua liberazione?
«La concessione della cittadinanza di Roma da parte del sindaco Gianni Alemanno è un segnale molto forte. Hamas vuole essere riconosciuta dalla comunità internazionale: non potrà ignorare che dietro Ghilad c’è anche l’Europa. L’Europa non dimentichi però che Hamas non tiene prigioniero soltanto mio figlio ma anche centinaia di migliaia di palestinesi innocenti. Anche loro devono essere liberati da questo incubo. Nella Striscia di Gaza la popolazione civile è in ostaggio di Hamas».
Come vi siete salutati, lei e suo figlio, tre anni fa?
«Era il 21 giugno del 2006, un mercoledì sera, l’ultima della sua licenza. Guardava una partita dei Mondiali di calcio, era molto concentrato sulla televisione, non ci siamo detti niente di particolare. La mattina sono uscito molto presto, Ghilad dormiva ancora».
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