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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
25.05.2009 Siti oscurati e tg solo con buone notizie. Ecco il regime iraniano
E qualcuno vede nel candidato 'riformista' e in sua moglie una nota positiva

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Franco Venturini - Viviana Mazza - Gian Micalessin
Titolo: «Al TG iraniano solo buone notizie. L'orwelliana felicità per legge - Iran, il regime blocca la posta elettronica del premio Nobel - First lady col velo sfida Ahmadinejad»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/05/2009, a pag. 10, l'analisi di Franco Venturini dal titolo " Al TG iraniano solo buone notizie. L'orwelliana felicità per legge " e, a pag. 17, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Iran, il regime blocca la posta elettronica del premio Nobel  ". Dal GIORNALE, a pag. 17, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " First lady col velo sfida Ahmadinejad ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " Al TG iraniano solo buone notizie. L'orwelliana felicità per legge "

«La crescita economica ha rag­giunto nuovi primati. L’Iran ha inaugurato cinque nuove raffinerie, così per avere la benzina non sarà più necessario mandare il nostro greggio in India. Il governo ha deciso che in ogni grande città sarà inaugurato entro l’anno un ospedale fornito delle più moderne attrezzature. I prezzi al consu­mo sono scesi del venti per cento, e si prevede il loro dimezzamento. Ricorda­te che il 12 giugno tutti devono andare alle urne per eleggere il presidente».
Sarà presto così, il notiziario della Tv di Stato iraniana nell’ora di massimo ascolto. Notizie buone, anzi ottime. E soprattutto, niente notizie cattive. Nul­la che possa turbare la serenità dei tele­spettatori. Nulla che li induca a preoc­cuparsi, a nutrire qualche timore. Il vi­ce- ministro dell’interno Ali Reza Af­sahr, nell’annunciare le nuove diretti­ve, non ha nascosto le sue intenzioni. Si tratta, ha detto, di un «piano per la felicità sociale». Che poi gli iraniani va­dano a votare tra meno di tre settima­ne, che l’attuale presidente Ahmadi­nejad sia candidato alla conferma e che il martellamento delle «buone notizie» sia destinato a dargli una grossa mano, questo lo possono pensare soltanto i nemici dell’Iran. Gli altri capiranno be­nissimo che la censura politica non c’entra, e che il governo di Ahmadi­nejad vuole soltanto distribuire «felici­tà sociale».
Nello stesso spirito, senza dubbio, va inteso il periodico arresto di giornalisti disturbatori, purtroppo per loro meno noti di Roxana Saberi e privi di un pas­saporto americano. È per favorire la feli­cità, s’intende, che sono state chiuse centinaia di pubblicazioni, che è in atto da tempo la caccia alle parabole satelli­tari, che i siti internet vengono oscurati a ritmo crescente. In questi giorni è toc­cato a Facebook, notissima fonte di in­felicità. Peccato che il principale rivale di Ahmadinejad, l’ex premier Moussa­vi, se ne servisse parecchio e avesse or­mai radunato parecchie migliaia di «amici». L’agghiacciante fantasia orwelliana del Grande Fratello è un mo­nito per tutti, anche per noi. Ma il vero dramma è che a Teheran, come in altri luoghi nel corso della Storia, l’incubo possa diventare realtà.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Iran, il regime blocca la posta elettronica del premio Nobel  "

«Questo sito non è accessi­bile ». E’ un messaggio che in questi giorni compare spesso sui monitor in Iran dove, alla vigilia dalle presidenziali del 12 giugno, le autorità hanno imposto una nuova stretta su internet. Colpiti la posta elet­tronica dell’avvocato e pre­mio Nobel per la pace Shirin Ebadi, il social network Face­book e altri siti usati da attivi­sti e riformisti.
L’email della Ebadi, che diri­ge a Teheran il Centro per la difesa dei diritti umani, è sta­ta oscurata due settimane fa. Gli esuli iraniani negli Stati Uniti, dove l’avvocato si trova attualmente, lo leggono come un tentativo di intimidirla per evitare che torni in Iran prima delle presidenziali. Ai primi di maggio, le autorità avevano negato l’espatrio a due sue col­laboratrici, Narges Mohamma­di (moglie di Taghi Rahmani, attivista riformista in prigio­ne) e Soraya Azizparah, attese in Guatemala per un conve­gno. Mohammadi è accusata di «atti di propaganda contro il regime islamico», ha comu­nicato venerdì il portavoce della magistratura. La Ebadi, il cui Centro era stato chiuso a dicembre dalla polizia, era at­tesa
in Europa domani, ma ha deciso di tornare in Iran mer­coledì. In vista delle elezioni, ha formato una coalizione con 100 note attiviste per i diritti delle donne: non si sono schie­rate con nessuno dei 4 candi­dati (tutti uomini; 42 donne sono state squalificate dal Consiglio dei Guardiani, insie­me a 429 altri uomini aspiran­ti alla presidenza). La coalizio­ne chiede di modificare le leg­gi che discriminano le donne. E gli sfidanti del presidente Ahmadinejad le stanno corteg­giando: in particolare il «rifor­mista » Mir Hossein Mousavi punta sulla moglie, Zahra Rah­navard, scrittrice, scultrice, ex rettore dell'Università femmi­nile Al Zahra (dove invitò la Ebadi), che appare ai comizi nel ruolo inedito di first lady. La chiamano la Michelle Oba­ma dell’Iran.
La censura su
Facebook sembra intesa a colpire i due candidati riformisti: Mousavi e Mehdi Karroubi. Ne sono convinti i loro seguaci. «Ci hanno tagliati fuori sabato a mezzogiorno», scrive da Tehe­ran Mohammadreza Mohseni­rad. Come molti fan di Mousa­vi (oltre 6.000 in uno dei 40 gruppi a lui dedicati), ha «di­pinto » la propria foto di ver­de, colore del candidato in campagna elettorale (simbolo dell’Islam e del progresso). Mohsenirad dà la notizia via Facebook: continua ad accede­re usando indirizzi alternativi che però vanno cambiati appe­na le autorità li individuano. Il social network era stato ban­dito a settembre ma «riaper­to » a febbraio. «Forse pensava­no di usarlo a scopi di propa­ganda », scrive Pedram Kargo­sha, la cui foto è viola, colore simbolo di Karroubi. «Anche la campagna elettorale virtua­le di Ahmadinejad è altamen­te professionale — nota Ha­mid Tehrani, redattore per l’Iran della rete di blogger Glo­bal Voices Online —. Su You­Tube ci sono dozzine di video sui suoi comizi: forse per que­sto non è stato bandito. Ha lanciato il sito Emtedad Mehr (seguaci della gentilezza) con link a blog, a Facebook e Twit­ter.
Ma Mousavi e Karroubi so­no riusciti a usare
Facebook in modo più efficiente. Forse le autorità non volevano correre rischi». Nei giorni scorsi sono stati bloccati anche il sito di in­formazione Fararu e (di nuo­vo) il portale dell’università Amir Kabir.

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " First lady col velo sfida Ahmadinejad  "

Aveva due sole armi, una pagina di Facebook con 500mila sostenitori capaci di garantirgli una massa di voti giovanili e quella moglie instancabile capace per la prima volta dopo Farah Diba di entusiasmare le piazze iraniane e guidare una campagna elettorale al fianco del marito. A disinnescare l’arma di Facebook c’ha pensato la solerte censura dei puri e duri del regime pronti a tutto pur di garantire la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad.
Il 68enne ex primo ministro Mir Hossein Moussavi , l’unico candidato riformista in grado il prossimo 12 giugno di sfidare il presidente uscente , può ancora contare, però, su quella moglie mezza professoressa e mezza artista. Può ancora sperare in una compagna mezza Evita, quando fa ballare le piazze sfidando i divieti della Repubblica islamica, e mezza Michelle Obama quando, come scrive la stampa riformista, si presenta al fianco di Moussavi o addirittura lo sostituisce nei comizi. Quando, come ha fatto sabato, si scaglia contro l’era di Ahmadinejad e confida di sperare in «una nuova era in cui la libertà di parola, scrittura e pensiero non vengano più obnubilate».
Una cosa è certa, senza la moglie Zahra Rahnavard, senza quella professoressa artista e scultrice capace di prenderlo per mano e trascinarlo sul palco, lo sfidante di Ahmadinejad non andrebbe lontano. Senza la 64enne madre dei suoi tre figli capace, tra una lezione alla facoltà femminile di Scienze politiche e una mostra di sculture, di raggiungerlo a un comizio, lo stimato, ma grigio Hossein Moussavi sarebbe un candidato perduto. D’accordo, nessuno ha dimenticato i miracoli di un premier capace, tra il 1981 e il 1989, negli anni neri della guerra all’Irak, di salvare l’economia del Paese e garantire il pane quotidiano ai più poveri, ma quel ricordo da solo non basta. Con tutto il suo encomiabile passato l’ex premier non riuscirebbe a far saltare le platee di chador femminili venuti ad ascoltarlo o a scatenare l’entusiasmo di uomini e ragazzi impettiti sul lato opposto.
Nessuno in Iran mette in dubbio la rispettabilità di quel candidato, ma senza l’energia di Zahra, senza quella moglie capace di rubargli la scena e difendere le giovani donne perseguitate dai poliziotti e dalle ronde della morale a caccia di veli troppo corti, il candidato Moussavi non avrebbe troppe speranze.
Quella moglie professoressa e artista capace di vestire il chador sopra un multicolore foulard firmato e tirarsi in spalla una borsa bohèmienne ricamata con i disegni di qualche tribù delle montagne, è diventata l’autentica protagonista della campagna elettorale, la prima vera “first lady” iraniana capace di catalizzare sul marito un voto femminile mortificato dall’oscurantismo seguito all’era di Khatami. Così quando sabato 23 - durante il simbolico comizio organizzato a 12 anni esatti dalla prima travolgente vittoria del 1997 - Mohammed Khatami chiede ai suoi sostenitori di votare per Moussavi, al suo fianco non si presenta il candidato vero, ma la prima donna Zahra. È lei a scatenare le urla della folla promettendo tempi nuovi «senza più prigionieri politici e senza più studenti in prigione». È lei ad agitare quella doppia sarabanda di neri chador e di pugni alzati chiedendo che «la fine delle discriminazioni contro le donne non resti una semplice speranza». A quel punto le bandiere verdi, il colore simbolo dei sostenitori di Moussavi, inondano la piazza, ragazzi e ragazze inneggiano a quella 64enne mamma putativa.
«Quando l’ascoltiamo pensiamo veramente che il peggio possa passare, quando lei parla – spiega la 21enne Shakiba Shakerhosseie a nome dei 12mila giovani in piedi sotto il palco - sogniamo veramente un futuro nuovo in cui tutti potremo essere come lei e diventare i suoi veri figli».

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