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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
16.05.2009 B-XVI torna in Vaticano
Il testo del suo discorso a Tel Aviv, la cronaca di Francesco Battistini, l'intervista di Maurizio Molinari a Michael Novak

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Benedetto XVI - Francesco Battistini - Maurizio Molinari
Titolo: «Davanti a quel muro triste ho pregato per la pace di due popoli e due Stati - Gli arabi conquistati dalla missione di Ratzinger - Sulla pace lui e Obama dicono le stesse cose»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/05/2009, a pag. 8, il discorso di Benedetto XVI dal titolo " Davanti a quel muro triste ho pregato per la pace di due popoli e due Stati ", a pag. 6, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " Gli arabi conquistati dalla missione di Ratzinger " e dalla STAMPA, a pag. 11, l'intervista di Maurizio Molinari a Michael Novak, teologo conservatore americano Michael Novak dal titolo " Sulla pace lui e Obama dicono le stesse cose ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Benedetto XVI : " Davanti a quel muro triste ho pregato per la pace di due popoli e due Stati "

Più che della redazione del CORRIERE della SERA, questo titolo sembra di un articolo del MANIFESTO. E' vero che il Papa si è dichiarato contrario alla barriera difensiva, ma ha anche condannato il terrorismo e la violenza (tipici di Hamas) e, soprattutto, l'antisemitismo. La redazione del CORRIERE della SERA ha scelto di evidenziare la condanna di una barriera che ha l'unico scopo di difendere gli israeliani dai kamikaze palestinesi invece di altri aspetti del discorso del Papa sotto riportato. Una scelta poco condivisibile e degna di altri quotidiani. Ecco l'articolo:

Mentre mi dispon­go a ritornare a Roma, vorrei con­dividere alcune delle forti im­pressioni che il mio pellegrinag­gio in Terrasanta ha lasciato dentro di me.
Ho avuto fruttuosi colloqui con le Autorità civili, sia in Israe­le, sia nei Territori Palestinesi, e ho constatato i grandi sforzi che entrambi i governi stanno compiendo per assicurare il be­nessere delle persone. Ho in­contrato i capi della Chiesa cat­tolica in Terrasanta e mi ralle­gro di vedere il modo in cui la­vorano insieme nel prendersi cura del gregge del Signore. Ho anche avuto la possibilità di in­contrare i responsabili delle va­rie Chiese cristiane e comunità ecclesiali, nonché i capi di altre religioni in Terrasanta.
Questa terra è davvero un ter­reno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della te­stimonianza religiosa nella re­gione possa portare frutto in una crescente comprensione re­ciproca e mutuo rispetto.
Signor presidente, lei ed io abbiamo piantato un albero di olivo nella sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele. L’albero di olivo, come lei sa, è un’immagine usata da San Pao­lo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei. Nella sua Lettera ai roma­ni, Paolo descrive come la Chie­sa dei Gentili sia come un ger­moglio di olivo selvatico, inne­stato nell’albero di olivo buono che è il Popolo dell’Alleanza (cfr 11, 17-24).
Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spiritua­li. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti del­la storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono ades­so fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.
La cerimonia al palazzo presi­denziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della
mia permanenza in Israele — la mia visita al Memoriale dell’Olo­causto a Yad Vashem —, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah. Lì ho anche incon­trato alcuni dei sopravvissuti.
Quegli incontri profonda­mente commoventi hanno rin­novato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti ebrei — madri, padri, ma­riti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici — furono brutal­mente sterminati sotto un regi­me senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio.
Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contra­rio,
quelle buie memorie devo­no rafforzare la nostra determi­nazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.
Signor presidente, la ringra­zio per il calore della sua ospita­lità, molto apprezzata, e deside­ro che consti il fatto che sono venuto a visitare questo Paese da amico degli israeliani, così come sono amico del popolo pa­lestinese. Gli amici amano tra­scorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono pro­fondamente nel vedere l’altro soffrire.
Nessun amico degli israeliani e dei palestinesi può evitare di
rattristarsi per la continua ten­sione fra i vostri due popoli.
Nessun amico può fare a me­no di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni.
Mi consenta di rivolgere que­sto appello a tutto il popolo di queste terre: non più spargi­mento di sangue! Non più scon­tri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza.
Possa instaurarsi una pace dura­tura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risana­mento.
Sia universalmente ricono­sciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciu­ti.
Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria indipenden­te sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la
two-State solution (la soluzio­ne di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da que­ste terre; possano essere «luce per le Nazioni» (Is 42,6), recan­do speranza alle molte altre re­gioni che sono colpite da con­flitti.
Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a que­ste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terrasanta possano vivere insie­me in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressio­ne.
Signor presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quel­l’obiettivo. So quanto sia diffici­le il suo compito e quello del­l’Autorità palestinese. Ma le assi­curo che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo la accompagnano men­tre prosegue nello sforzo di co­struire una pace giusta e duratu­ra in questa regione.
Mi resta solo da esprimere il mio sentito ringraziamento a quanti hanno contribuito in mo­di diversi alla mia visita. Sono profondamente grato al gover­no, agli organizzatori, ai volon­tari, ai media, a quanti hanno dato ospitalità a me e a coloro che mi hanno accompagnato. Siate certi di essere ricordati con affetto nelle mie preghiere. A tutti dico: grazie e che il Si­gnore sia con voi. Shalom!

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Gli arabi conquistati dalla missione di Ratzinger "

GERUSALEMME — Sì, a loro è piaciuto. «Quando s'è trovato davanti al Muro — dice Binsal Khadar, inviato editorialista di Gulf News, giornale del Bahrein —, Benedetto XVI ha visto un cartello che diceva le sole cose possibili davanti a una simile mostruosità: abbiamo bisogno di ponti, non di muri. E ha pronunciato le migliori parole possibili». La sorpresa del viaggio in Terrasanta è questa: doveva servire a ricucire con gli ebrei, di sicuro ha migliorato i rapporti con l'Islam. «La gara fra israeliani e palestinesi è stata vinta dai palestinesi», riconosce il quotidiano israeliano Haaretz. E basta leggere i commenti degli opinionisti arabi, per capirlo: «Non per difendere il Papa», titola il suo editoriale Al Mustaqbal, giornale libanese, dove si ricorda che Ratzinger «non è un rabbino e neppure un imam», «è stato tirato per il mantello da musulmani ed ebrei», ma alla fine è stato capace di «un nuovo linguaggio» che «forse non cancellerà del tutto le parole di Ratisbona», ma di sicuro ha migliorato le relazioni. È molto piaciuto il richiamo, nella moschea di Amman, all'espressione coranica del «Dio misericordioso e compassionevole» (tv Al Arabiya), così un po' dappertutto si trovano opinioni di calore: addio all'«ostico nemico», benvenuto «Il Papa che a Nazareth canta l'ode alla pace» ( Jordan Times), «il primo Papa che entra nella moschea di Al Aqsa» ( Al Arab Online), il Santo Padre che «in sintonia con Obama vuole riportare sul giusto binario una disputa troppo lunga» ( Al Hayat).
Unica voce dissonante, Al Jazeera: sarà anche per questo che, sul volo di ritorno, il Pontefice ha voluto parlare con un suo giornalista.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Sulla pace lui e Obama dicono le stesse cose "

Il Papa ha iniziato una coraggiosa opera di peacemaker destinata a entrare in contrasto con i leader politici». Così il teologo conservatore americano Michael Novak, già molto vicino a Papa Giovanni Paolo II, riassume il significato del viaggio di Benedetto XVI in Medio Oriente.
Che cosa ha segnato in modo particolare il pellegrinaggio del Papa?
«Anzitutto quanto ha detto in Israele sull’Olocausto. Il primo discorso è stato molto emotivo, mentre nel secondo hanno prevalso gli aspetti più razionali. Benedetto XVI si è mosso nel solco che è stato tracciato da Giovanni Paolo II nel porsi di fronte alle terribili sofferenze patite dal popolo ebraico».
Nei Territori palestinesi invece ha parlato di politica, criticando il muro di separazione in Cisgiordania e auspicando la nascita dello Stato indipendente...
«Il Papa ha scelto di svolgere il ruolo di peacemaker, di costruttore della pace fra gli israeliani, i palestinesi e i popoli arabi, esprimendosi a sostegno della soluzione dei due Stati».
Questo significa che il Papa e il presidente americano Barak Obama sono sulle stesse posizioni?
«Anche Obama sostiene i due Stati, mentre il premier israeliano Benjamin Nethanyahu è contrario e contrari sono un certo numero di israeliani, perché sono rimasti scottati dall’inaffidabilità dimostrata dai leader palestinesi con cui hanno negoziato. C’è una convergenza di pensieri fra il Papa e il presidente Obama, ma non bisogna dimenticare che hanno priorità differenti: il Papa opera nella dimensione della fede e vuole costruire un futuro di pace in Medio Oriente guardando in avanti, mentre il presidente americano è costretto nella camicia di forza dei tempi della politica e cerca soluzioni veloci. Il Papa è più idealista mentre in Obama prevale il pragmatismo. La diversità di impostazione è tale da poter generare molte differenze».
L’agenda del Papa è dunque destinata a non coincidere con quelle dei leader politici?
«Certo, pensiamo ad esempio ai palestinesi. Uno Stato palestinese già esiste ed è la Giordania, il punto è che non accetta i palestinesi. Le nazioni arabe della regione inoltre sono fra le più ricche del Pianeta, potrebbero facilmente finanziare una missione di sicurezza e sviluppo per aiutare i palestinesi a costruire un proprio Stato in Cisgiordania e Gaza, ma non lo fanno per mantere sotto pressione Israele. Quando il Papa auspica che lo Stato palestinese possa nascere in fretta ha in mente anche questi dati di fatto. Il Papa chiede non solo a Israele ma anche ai paesi arabi di contribuire concretamente alla nascita della Palestina».
Perchè Benedetto XVI ha scelto di vestire i panni del peacemaker?
«Ha compiuto un gesto di grande coraggio decidendo di immergersi nella vivace controversia del Medio Oriente, le cui caratteristiche e il cui linguaggio per molti versi sono gli stessi degli Anni ‘50 e ‘60. Basta consultare i giornali di allora per accorgersene. Il risultato più importante ottenuto da Benedetto XVI è stato nella quantità di voci ebraiche, cristiane e musulmane che hanno salutato con favore il coraggio delle s. Siamo di fronte ad un nuovo inizio».
Qual è il nodo più difficile che resta da sciogliere?
«Penso sia quello dei profughi palestinesi. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale c’erano circa 20-22 milioni di profughi, da allora tutti hanno trovato una sistemazione tranne poche centinaia di migliaia di palestinesi, che si trovano in campi ospitati da alcune delle nazioni più ricche del pianeta grazie alle loro ingenti risorse petrolifere. E’ una contraddizione che continua a frenare le prospettive di pace e potrebbe essere facilmente risolta se i Paesi arabi della regione decidessero di farlo».

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