Riportiamo dal SOLE 24 ORE del 26/04/2009, l'articolo di Benny Morris dal titolo “Una via crucis per Ratzinger” . E’ un’analisi attenta e accurata della posizione della Chiesa nei confronti dell’ebraismo, ancor più attuale in vista del prossimo viaggio del pontefice in Israele.
Molto probabilmente l’ambivalenza che continua a caratterizzare l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso il popolo e lo Stato ebraico getterà una lunga ombra sulla visita di Papa Benedetto XVI in Terra santa e in Giordania, prevista per la seconda settimana di maggio. Mentre il Papa sarà ricevuto sia in Israele che in Cisgiordania, i mezzi di informazione e l’opinione pubblica israeliani continueranno a rimuginare su quello che è stato percepito come un susseguirsi di passi falsi da parte di Benedetto XVI nei confronti del popolo ebraico, mentre gli arabi, la maggior parte dei quali ferventi musulmani, ricorderanno sicuramente quando il papa ha citato un testo medievale che definiva “malvagie” alcune azioni del profeta Maometto. I Fratelli musulmani giordani hanno già chiesto di porgere le sue scuse e ritrattare prima della visita del Pontefice ad Amman. Per quasi due millenni la cristianità guidata dal papato è stata ostile al giudaismo e agli ebrei, e l’accusa di deicidio, lanciata quasi quotidianamente nelle preghiere e nei sermoni del clero, ha sempre pesato su persecuzioni e stermini perpetuati contro gli ebrei nel corso dei secoli. Per molti studiosi infatti l’Olocausto sarebbe il risultato diretto, o quanto meno indiretto, di questo antico odio. Durante la Seconda guerra mondiale, le ambiguità da parte del Papa Pio XII nei confronti degli “ebrei” e del massacro che si stava perpetuando, non contribuirono di certo a migliorare l’immagine del Vaticano. Nella seconda metà del XX secolo, il Vaticano cominciò a fare ammenda. Verso la metà degli anni 60, Papa Giovanni XXIII ordinò la cancellazione della frase “perfidi ebrei” dalla liturgia del Venerdì Santo e si recò in visita in Israele, mentre Paolo VI pronunciò la dichiarazione Nostra Aetate dove rigettava l’accusa di deicidio, definiva “gli ebrei” come “carissimi a Dio” e proclamava il “grande patrimonio spirituale” comune a cristiani ed ebrei. Eppure, nonostante le proteste ebraiche, il Vaticano sostenne anche la fondazione di un convento e l’installazione di una gigantesca croce nei luoghi di Auschwitz, il campo di concentramento dove furono ammazzati più di un milione di ebrei, e per decenni si dimostrò riluttante a riconoscere e stabilire relazioni diplomatiche con Israele (pur mantenendo rapporti con un gran numero di evidenti regimi e Stati del male, dal Terzo Reich all’Unione Sovietica, entrambi persecutori della Chiesa). La Santa Sede era spinta da pregiudizi antisemiti profondamente radicati e da considerazioni di realpolitik legate agli equilibri dei mondi arabi e musulmani. Il riconoscimento sembrò vicino solo nel dicembre 1993. Negli ultimi anni Benedetto XVI ha avviato il processo di canonizzazione di Pio XII, si è rifiutato di aprire gli archivi vaticani relativi alla Seconda guerra mondiale e ha rimesso la scomunica del vescovo americano Richard Williamson, negazionista dell’Olocausto. La scorsa settimana, per l’ennesima volta, il Vaticano non ha preso posizione. Era opinione comune che Durban II, la Conferenza delle nazioni Unite sul razzismo a Ginevra, avrebbe riacceso i sentimenti vilificatori antisemiti emersi in Durban I nei confronti di Israele, ragione per la quale le principali democrazie tra cui Stati Uniti, Canada, Australia,Italia e Germania, avevano boicottato la conferenza. E lunedì, i delegati di gran parte delle altre democrazie occidentali hanno lasciato l’aula quando il presidente iraniano Ahmadinejad ha lanciato la sua tirata antisionista-antisemita (Israele come “il regime più crudele e razzista del mondo”). Ma il Vaticano ha partecipato alla conferenza e la sua delegazione è rimasta seduta durante il discorso del leader iraniano (anche se poi la Santa Sede ha espresso un blando ammonimento per il suo “estremismo”). L’imminente visita del Papa implicherà senz’altro un complesso gioco di equilibri fra religione e politica, Israele e Palestina, giudaismo e Islam, poiché Benedetto XVI dovrebbe incontrare sia il premier israeliano Benjamin Netanyahu sia il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen (che pure una volta ha scritto che sarebbero stati uccisi “diverse centinaia di migliaia” e non milioni di ebrei), nonché i capi spirituali ebrei e musulmani, e fare tappa a Nazareth e Gerusalemme (Israele), Betlemme (Cisgiordania) e Giordania. Ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sorriso o cipiglio verrà passato al vaglio, esaminato e dissezionato per interpretarne il significato. Di certo, nel ripercorrere il cammino di Gesù Cristo, al suo Vicario sembrerà di camminare su una fune sospesa sopra un campo minato storico, ideologico e teologico.
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