Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/04/2009, a pag. 19, la cronaca di Danilo Taino dal titolo " 'Libertà d’opinione per Williamson'. Svezia contro Berlino". Un altro segnale dall'Emirato di Svezia.
BERLINO — È l’Olocausto un crimine così enorme da giustificare una limitazione del diritto di opinione in chi lo nega? La discussione ha preso ieri una nuova forma ed è diventata una disputa tra la Germania, che risponde sì, e la Svezia, che risponde no. Meglio: tra i due sistemi giuridici. Al cuore della vicenda, ancora il vescovo lefebvriano Richard Williamson, quello che in gennaio sostenne che nelle camere a gas naziste non era morto nessuno, in un’intervista che provocò una crisi tra il Vaticano e la comunità ebraica, riverberò all’interno della stessa Chiesa e vide un intervento di Angela Merkel critico verso il Papa.
Williamson, uno dei vescovi della Società di San Pio X riabilitato da Benedetto XVI, aveva dato un’intervista a una televisione svedese nella quale aveva sostenuto che la cifra di sei milioni di ebrei uccisi nei campi di concentramento del regime di Hitler era falsa: a suo parere i morti erano stati 300 mila. «Non ci fu un ebreo ucciso nelle camere a gas — aveva aggiunto —. Furono tutte bugie, bugie, bugie». L’intervista fu realizzata in Germania, quindi un pubblico ministero di Ratisbona, nel Sud del Paese, ha aperto un’indagine preliminare, dal momento che negare l’Olocausto è un reato che le leggi tedesche puniscono con il carcere. Nei giorni scorsi, ha chiesto alle autorità svedesi l’autorizzazione a interrogare, come testimone, il giornalista che condusse l’intervista. Gli ha risposto il Cancelliere di Giustizia di Stoccolma, Göran Lambertz, il giudice che si occupa delle questioni di libertà d’espressione: con un risonante no.
Nel merito, Lambertz ha spiegato che Williamson non ha commesso alcun reato in Svezia, ragione per la quale il suo diritto di opinione non può essere limitato. Ma il giudice è andato oltre. In Svezia, ha chiarito, «coloro che sono intervistati in televisione godono della piena libertà di espressione, con molte poche eccezioni che sono irrilevanti in questo caso». Di più. «A un giornalista svedese, l’idea che gli intervistati possano essere ritenuti responsabili delle opinioni che esprimono è un concetto estraneo — ha aggiunto —. È anche inimmaginabile che il giornalista stesso testimoni (su basi non volontarie, ndr) su ciò che ha detto o fatto».
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