Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/04/2009, a pag. 1-22, l'analisi di Christopher Hitchens dal titolo " Porte aperte agli ospiti (anche sgraditi) ". Non entriamo nelle valutazioni dell'autore, se non per ricordare, cosa che Hitchens dimentica, che l'ex deputato inglese Galloway era a libro paga di Saddam Hussein per lo scandalo "Oil for food".
Nelle ultime settimane è scattata una specie di gara non ufficiale, che ha coinvolto vari governi, per vedere chi riusciva a sbarrare l’accesso a chi e in quale Paese e con quali artificiose motivazioni.
La scorsa settimana, le autorità canadesi hanno annunciato che al parlamentare britannico, George Galloway, non sarebbe stato consentito tenere un ciclo di conferenze già programmato a Toronto e Ottawa.
Galloway, in effetti, in una recente visita a Gaza, ha incitato le forze armate egiziane a rovesciare il governo del presidente Hosni Mubarak. Ma è stato lo scopo del viaggio di Galloway nella Striscia di Gaza — una spedizione di aiuti umanitari alle autorità di Hamas— a fare vietare l’atterraggio del politico inglese in Canada, per aver consegnato «aiuti e materiali a un’organizzazione terroristica illegale».
Galloway, a sua volta, non molto tempo addietro aveva invitato il proprio governo a interdire l’accesso al suolo britannico a un politico straniero, in questo caso a Jean-Marie Le Pen, leader dell’estrema destra francese del Front National. E Galloway si è guardato bene, a febbraio, dal far sentire le sue rimostranze quando il governo inglese ha respinto Geert Wilders, il politico olandese il cui partito detiene nove seggi in parlamento, al suo sbarco all’aeroporto di Heathrow. Wilders ha realizzato un cortometraggio intitolato Fitna, disponibile su Internet, che mostra scene di crudeltà e violenza intervallate dagli appelli più truculenti del Corano. Ha paragonato il libro sacro dei musulmani a Mein Kampf e ne ha invocato la messa al bando. (..) Geert Wilders ha già visitato gli Stati Uniti, dove ha parlato alla Conferenza dei conservatori per l’azione politica. I leader di Hezbollah e Hamas non visiteranno presto Washington, anche se George Galloway ha avuto il permesso di andare e venire a piacimento.
Attualmente è in corso una discussione sull’opportunità o meno di concedere un lavoro o un visto d’ingresso a Tariq Ramadan, l’autore musulmano la cui presunta «moderazione» appare ad alcuni (me compreso) come una mera copertura per l’apologia di attività quali gli attentati suicidi e la lapidazione delle donne. Nel caso di Ramadan, le questioni sono due: la prima riguarda l’opportunità di concedergli una cattedra in qualche università americana, la seconda se consentirgli o meno l’ingresso negli Stati Uniti. Quest’ultima mi sembra la più ovvia. Ciò che è in ballo in tutti questi casi non è solo il diritto delle persone coinvolte a viaggiare e diffondere le proprie opinioni. Riguarda anche il diritto del pubblico a decidere autonomamente chi ascoltare. Come giornalista, posso andare a trovare i rappresentanti di Hamas e scrivere su questi incontri, ma il lettore è libero di dissentire dal mio punto di vista. Se nel parlamento inglese trova posto un tipo aberrante come George Galloway, perché mai vietare ai canadesi la possibilità di giudicarlo per quello che è? Se Geert Wilders riesce a farsi eleggere al parlamento dell’Aia, c’è motivo di temere che il pubblico britannico sia talmente insipiente da dover essere protetto dalle sue parole?
La libertà di espressione, se garantita al singolo, dev’essere garantita a tutti.
Una delle conseguenze della «guerra al terrore», che ha innescato l’attrito tra il mondo musulmano e l’Occidente, è stata la tendenza sempre più marcata a fare eccezione ai principio della libertà di espressione, vuoi con il pretesto della sicurezza, vuoi per il desiderio di non recare offesa. Dovremmo aver capito al giorno d’oggi che, qualunque sia il camuffamento, si tratta solo di vecchie scuse per riportare in auge la censura.
Consentire la diffusione di tutte le opinioni da parte di tutti potrebbe apparire assai rischioso, ma non è nulla in confronto al grave pericolo di consegnare nelle mani di qualche funzionario il potere della censura.
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