La polemica fra Shimon Peres e Recep Erdogan durante gli incontri di Davos, occupa molte pagine sui quotidiani di oggi, 31/01/2009. Pubblichiamo la cronaca di Gian Micalessin dal GIORNALE, l'analisi di Antonio Ferrari e l'intervista al giornalista turco Erhan Üstündag di Alessandra Coppola dal CORRIERE della SERA, e due brevi da MESSAGGERO e MANIFESTO.
IL GIORNALE - Gian Micalessin : " Erdogan nuovo eroe islamico dopo la lite con Shimon Peres "
Per i giornali è il «nuovo Saladino», il «conquistatore di Davos», il nuovo simbolo dell’orgoglio musulmano dal Bosforo alle coste di Gaza. Ma per molti è un lupo alle prese con l’antico vizio, un primo ministro capace in una sera di riassumere quei panni e quelle sembianze che undici anni fa lo portarono in galera per aver inneggiato - da sindaco di Istanbul - alla nascita di uno Stato islamico turco.
Ventiquattro ore dopo le polemiche svizzere su Gaza e la rissa verbale con il presidente israeliano Shimon Peres, il premier turco Recep Tayyip Erdogan sa di non aver molto di cui rallegrarsi.
Dietro alle folle in delirio, ai cori di manifestanti coperti da bandiere palestinesi, dietro agli slogan di chi saluta il suo rientro ad Ankara come il ritorno del «conquistatore di Davos» emergono malumori, preoccupazioni, vecchi sospetti. I primi sono quelli dei nemici di sempre, dei generali, degli intellettuali laici e di tutti quei convinti difensori del secolarismo turco sempre pronti a dubitare della conversione del vecchio «fondamentalista» Erdogan. Per quegli implacabili nemici lo scontro con l’«alleato» Peres, le accuse a Israele definito un Paese «capace quando si tratta di uccidere di farlo molto bene» sono i segni di una passione ancora pronta a manifestarsi, di un’ideologia integralista mai sopita. In fondo lo ammette pure lui. «Di fronte a questioni come quelle mi è impossibile rimanere indifferente... difendere l’onore del mio Paese è un dovere irrinunciabile, in cuor mio sono un politico e non un diplomatico... ho fatto quel che dovevo fare» spiega il premier turco mentre cinquemila dimostranti gliene rendono merito ululando «la Turchia è orgogliosa di te».
Il problema però non sono le accuse a Peres, l’abbandono del parterre di Davos e la promessa di non metterci più piede. Il problema sono le conseguenze. Per capirlo basta leggere i proclami di Hamas, prontissimo nell’elogiare la «coraggiosa presa di posizione del primo ministro Erdogan» e a coprire di mezzelune turche le macerie del campo profughi di Jabaliya. Sarà anche sincera ammirazione, ma non giova alla reputazione di un premier che sognava di trasformarsi nel grande mediatore capace di dispiegare il proprio esercito al confine tra Gaza ed Egitto e di forgiare la pace tra Siria e Israele. Certo ha conquistato i cuori dell’opinione pubblica araba sdegnata per il silenzio dei propri leader davanti alle macerie della Striscia, ma ha anche incassato gli imbarazzanti complimenti dell’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani pronto, quanto Hamas, ad applaudire l’«ottima mossa» di Davos.
E sul fronte interno la soddisfazione di aver ricompattato - a pochi mesi dalle elezioni provinciali - i propri elettori e riconquistato tanti integralisti «delusi» non compensa i grattacapi da superare per convincere, un’altra volta, i nemici di casa e gli amici all’estero di aver definitivamente accantonato le foghe integraliste.
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Erdogan accolto in patria da eroe dopo la sfuriata contro Israele "
Tocca ripetere quel che diceva Eraclito: «Il destino dell'uomo è il suo carattere». Al primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan quello straordinario pensiero calza alla perfezione. Un guanto su misura, che in pochi minuti è costato al premier quel patrimonio di imparzialità che aveva accumulato in anni di volonterosi tentativi per porsi nel ruolo di mediatore dei conflitti mediorientali e delle crisi tra Israele e i Paesi musulmani.
Una sfuriata pubblica, verbalmente violenta, nei confronti di un suo amico, il presidente israeliano Shimon Peres, davanti alla qualificata platea del World Economic Forum di Davos, e la credibilità internazionale di Erdogan è come evaporata, quantomeno seriamente compromessa, mostrandolo nudo: un leader che non sa controllare i nervi, che è arrogante, che ignora le regole della diplomazia, che si abbandona alla rabbia.
Nessuno discute il diritto del capo del governo turco di criticare pubblicamente il modo con cui lo Stato ebraico ha condotto la guerra di Gaza, e di denunciare la sofferenze del popolo palestinese. Il problema sono le parole scelte, i sostanziali insulti («Voi sapete come uccidere la gente»), rivolti ad alta voce, con il volto arrossato e contratto dalla rabbia, a Peres. Ironizzando persino sull'età dell'uomo che fino a poco tempo fa Erdogan considerava un prezioso partner, e al quale era stata data l'opportunità di parlare al parlamento turco, ricevendo caldi applausi.
Se il premier voleva compiacere la gente di Gaza, e soprattutto i vertici integralisti di Hamas, ci è pienamente riuscito, visto che nella Striscia è diventato quasi un santo. Se voleva ingraziarsi gli ayatollah di Teheran, bene, la missione è compiuta, dopo gli elogi ricevuti dall'ex presidente Hashemi Rafsanjani. Se voleva gli applausi del mondo arabo, soprattutto estremista, ha avuto quel che desiderava.
Se intendeva irritare gli Stati Uniti, ha già ricevuto la risposta: l'inviato del presidente Barack Obama, George Mitchell, ha cancellato dal suo tour nella regione proprio la tappa di Ankara.
Ma se Erdogan pensa ancora di poter rapidamente recuperare il suo ruolo di mediatore, di honest broker nei difficili contatti tra Siria e Israele, e tra Israele e i palestinesi, allora si illude. La notturna telefonata riparatrice tra lui e Peres ha risolto ben poco, salvando quel che era possibile salvare nella forma ma non nella sostanza.
In realtà quel che voleva l'emotivo e scaltro primo mi-nistro, ben noto per la sua incontenibile irruenza, era soprattutto il plauso della sua gente. Era raggiante, ieri, di fronte ai 3000 che l'hanno accolto come un eroe nazionale, al rientro a Istanbul, gridandogli «La Turchia è orgogliosa di te», e agitando bandiere palestinesi e striscioni contro Israele.
E qui si coglie il calcolo dell'uomo che sa capitalizzare la propria rabbia. Dopo aver sostenuto, nelle scorse settimane, le ragioni di Hamas e aver chiesto persino l'espulsione di Israele dall'Onu, abbandonandosi all'ira di un qualsiasi e sguaiato capo-popolo cerca adesso di ridare fiato al suo partito islamico moderato Akp, in sensibile discesa nei sondaggi, alla vigilia delle elezioni amministrative.
Elezioni che Erdogan sta caricando di un elevato significato politico. Calcolo in realtà poco avveduto, che forse può pagare nell'immediato ma che potrebbe costar caro al premier nel prossimo futuro. La Turchia, che con le sue mediazioni aveva guadagnato crediti nel lungo viaggio verso l'Unione europea, si ritrova in retromarcia, vittima dell'inattendibilità. Questo, Erdogan non l'aveva calcolato.
CORRIERE della SERA - Alessandra Coppola : " Ha voluto catturare un sentimento diffuso a uso dei sondaggi "
Un tentativo (riuscito) di catturare la simpatia popolare. Un affare di politica interna, insomma, più che di relazioni internazionali. Erhan Üstündag, uno dei responsabili di Bianet, agenzia di stampa indipendente turca, ha visto in tv giovedì l'immagine del premier Erdogan che, rosso dalla rabbia, abbandonava il forum di Davos e il confronto col presidente dello Stato ebraico Shimon Peres. Quindi, ha letto ieri mattina i giornali. E non è preoccupato.
Nessun rischio di rottura tra la Turchia e l'alleato di ferro Israele (legati dalla metà degli anni Novanta da un'importante cooperazione economica e militare)?
«Non credo. E lo dimostra il fatto che il capo dell'esercito si sia affrettato a dichiarare che le relazioni con lo Stato ebraico non saranno toccate dall'episodio ».
Erdogan, però, già durante l'offensiva a Gaza aveva usato parole molto dure contro Israele.
«Un effetto anche delle manifestazioni di piazza a sostegno dei palestinesi e dei sondaggi pro-Gaza. Erdogan non ha fatto altro che catturare un sentimento diffuso».
Qualcuno lo ha letto come un appoggio ad Hamas, una radicalizzazione.
«Anche in Turchia commentatori laici hanno accusato il premier di dare sostegno agli integralisti. Può anche essere che per la sua provenienza islamica Erdogan abbia simpatia per Hamas. Ma è impensabile una svolta fondamentalista. L'Akp (il partito del premier,
ndr) ha già virato verso una politica liberal. Non avrebbe sostegno».
Neanche nei settori islamici?
«Solo nelle frange più radicali, comunque ininfluenti. Lo spazio per attacchi antisemiti è limitato alle preghiere del venerdì nei quartieri più islamici di Istanbul. Nessuno in Turchia mette davvero in dubbio l'alleanza con lo Stato ebraico».
Andrà avanti la mediazione tra Israele e Siria?
«Più che una mediazione, un tentativo, non so quanto concreto. Ankara sta cercando di dimostrare all'Occidente di avere influenza nell'area, di avere peso. Altro elemento di cui tener conto per l'episodio di Davos».
IL MESSAGGERO - Eric Salerno : " Scontro sull'attacco a Gaza. Tra Israele e Turchia è gelo " .
Malgrado la cronaca, sostanzialmente in linea con quanto è accaduto, Eric Salerno non perde occasione per presentare la parte israeliana in modo non corretto. Salerno fa passare Shimon Peres come colui che attacca il premier Erdogan, mentre invece è vero il contrario. Come riportato ampiamente sui giornali di oggi, il presidente israeliano ha posto al leader turco alcune domande. E' Erdogan che si è arrabbiato e ha risposto male a Peres. Ma dall'articolo di Salerno si capisce il contrario.
IL MANIFESTO - dedica l'intera pag. 11 all'incidente di Davos. Tre gli articoli, due di Michele Giorgio, e uno di Farid Adly. Per non tediare i nostri lettori non riportiamo i prevedibili articoli, riprendendo invece i titoli, di per sè illuminanti. " L' Erdogan entusiasma i palestinesi " , " Gesto coraggioso e condotta coerente " , " L'impazienza della Turchia , il miglior alleato di Tel Aviv in Medio oriente " . Notiamo la citazione di Tel Aviv invece di Gerusalemme/Israele come abitualmente scrivono gli ignoranti o coloro che sono in malafede.
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