Dal sito ARTICOLO 21 , un'intervista a David Meghnagi di Gianni Rossi, su "Giornata della memoria. Vecchio e nuovo antisemitismo all’ombra degli echi di guerra tra Israele e Gaza".
David Meghnagi è uno storico, psicanalista e direttore del Master post-universitario per la Didattica della Shoah (riunisce docenti americani, tedeschi, italiani, francesi e israeliani, riservato a chi ha già una specializzazione, si tiene in collaborazione con altre università italiane ed estere, ha sede nella Terza Università di Roma, a Piazza Esedra).
D. Intanto, qual è la differenza tra celebrare la giornata della Memoria e il ricordo della Shoah?
R. “Il giorno della memoria non è quello della Shoah, che è invece legato alla rivolta del Ghetto di Varsavia e alla sua fine, la prima rivolta nell’Europa occupata dai nazisti, una rivolta avvenuta nel silenzio del mondo e nel più totale isolamento. L’anno dopo c’è l’insurrezione di Varsavia alla quale i superstiti ebrei del ghetto partecipano. L’esercito sovietico alle porte della Polonia non intervenne a loro sostegno, per avere mano libera dopo la guerra: fu una tragedia nella tragedia. Per il Giorno della Memoria è stato scelto, invece, il 27 gennaio che ricorda la fine della schiavitù nei campi e suggella in pratica la fine della Seconda guerra mondiale, da cui l’inizio di una nuova era per l’Europa occidentale, ma anche la divisione purtroppo con la guerra fredda e la divisione nei due blocchi”. D. Le manifestazioni a favore dei palestinesi accerchiati dalle truppe militari israeliane a Gaza hanno mostrato fenomeni di antisionismo e di antisemitismo nuovi.Come lo spiega? R. “Sono convinto che all’antisemitismo vecchio si è aggiunto uno nuovo. Il fenomeno ha avuto una lunga incubazione di almeno 40 anni ed ha avuto come sfondo il rifiuto dell’ebreo come nazione e come stato. Le vecchie demonologie antisemite del passato si sono trasferite su Israele. Si tratta di un processo dissociativo in cui l’ebreo è accettato e idealizzato come nazione morta, e di fatto rifiutato come nazione viva.
Il problema è complicato dai cambiamenti che stanno avvenendo nella stessa Europa, per la presenza sempre più ampia di immigrati di terza generazione di origine araba e islamica che proiettano sul conflitto mediorientale il senso di alienazione e di non appartenenza con cui vivono il loro nuovo rapporto con i paesi in cui genitori e i nonni si sono stabiliti. Vi è il rischio del trasferimento del conflitto mediorientale dentro, nel cuore dell’Europa, con tutti i pericoli che comporta rispetto alla prospettiva di un nuovo antisemitismo. l pericolo più grande è che il sentimento di alienazione e di protesta contro il mondo occidentale, diffuso nelle periferie parigine e in settori dell’èlite di terza generazione dell’immigrazione, si saldi con una nuova ideologia antisemita. Su questo c’è un grave ritardo politico e culturale. Sui tratta di un cambiamento epocale in cui il vecchio antisemitismo di matrice europea si congiunge con quello islamista di natura politica e religiosa. Ho fatto una ricerca sulla stampa araba degli ultimi 40 anni ed ho raccolto mille vignette. Studiandole si ha la sensazione netta che è in atto un processo di demonizzazione e che la rappresentazione della realtà del conflitto non è più di natura politica, ma ha assunto progressivamente dei connotati demonologici, ovvero una demonizzazione del nemico che ricorda non pochi aspetti della simbologia antisemita degli anni Trenta.”.
R. Non le sembra che l’attenzione degli europei verso i paesi arabi moderati sia come quella di Francia e Gran Bretagna nel ‘38 verso Germania e Italia: cercarono l’accordo con Hitler e Mussolini, per arginare il “pericolo bolscevico” rappresentato da Stalin, turandosi il naso, invece, rispetto alle violenze razziste antisemite?
R. Ci sono delle analogie. La cosa più grave che si possa fare oggi è di chiudere gli occhi di fronte alla cultura dell’odio antiebraico solo perché è giustificata da argomentazioni di carattere “politico”. Il fatto che gran parte degli episodi di antisemitismo in Francia come in Gran Bretagna, hanno avuto origine all’interno delle comunità degli emigrati di origine islamica, non rende il fatto meno grave. Si tratta di un attacco al cuore della convivenza che potrebbe avere conseguenze devastanti per l’intera società.
D. Quale messaggio si sente di poter decifrare dal recente conflitto israelo-palestinese?
R. “Il messaggio deve essere molto esplicito: il riconoscimento pieno di Israele di vivere in sicurezza e il riconoscimento dei diritti palestinesi, nell’ambito di una soluzione politica del conflitto che deve avere come fondamento il rifiuto di ogni logica terroristica. O l’intera classe politica europea parla chiaro a se stessa, rifiutando ogni forma di ambiguità nei confronti di chi che non hanno rinunciato al terrorismo, oppure vi è il rischio che alla lunga il conflitto lo ritroveremo nel cuore dell’Europa. La tolleranza verso le frange che giustificano il terrorismo antisemita e antisraeliano, non ha impedito gli attentati di Londra. Sullo sfondo, c’è il pericolo regime iraniano che utilizza attivamente Hamas ed Hezbollah come “pistole puntate” su Israele, per destabilizzarlo dall’interno e in prospettiva per destabilizzare l’intera regione.”.
D. Un suo giudizio sulla puntata di Anno Zero dedicato alla guerra in Gaza?
R. “L’ho trovata vergognosa! Ma non mi sorprende più di tanto. Quella non è informazione, in quanto sostituisce le facili emozioni alla cognizione dolorosa di un processo che avuto tempi lunghi, che ha molte facce ed è di una complessità terribile. La trasmissione di Santoro assumeva a priori l’esistenza di un colpevole, ovvero Israele, e su questo ha costruito l’intera trasmissione.”
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