Cosa pensa e scrive Filippo Landi, vice corrispondente Rai da Israele Forse non è troppo tardi per incontrare qualcuno in Rai
Testata: Informazione Corretta Data: 27 dicembre 2008 Pagina: 1 Autore: La redazione Titolo: «Cosa pensa e scrive Filippo Landi, vice corrispondente Rai da Israele»
Di Filippo Landi, vice corrispondente Rai da Israele ( e non corrispondente, come viene presentato), è ben nota la posizione ostile e pregiudiziale nei confronti dello Stato ebraico. Se ne ha conferma leggendo la sua relazione al convegno " Bocche scucite", che riprendiamo interamenete dal sito terrasantalibera. Il contenuto ci evita qualsiasi commento, basta leggerlo. E poi scrivere alla Rai per complimentarsi per un simile vice-corrispondente. Essendo la Rai un ente statale, presumiamo appartenga a tutti i cittadini. Ci pareva esistesse un organismo di controllo, ma forse ci siamo sbagliati.
Dalla relazione di Filippo Landi (corrispondente RAI da Gerusalemme) al Convegno “Terra Santa, terra ferita” Bocche Scucite, Firenze 29 novembre 2008 http://www.terrasan talibera. org/RelazioneLan di12-08.htm
Ma se è tutto vero, perché questo silenzio?
[In accordo con l'autore è stato mantenuto il tono discorsivo dell'intervento]
“Sono qui al Convegno di Pax Christi anche per rendere omaggio all’intelligenza di coloro che scrivono la rivista on line “BoccheScucite” di cui ho letto più numeri e mi sono rafforzato nell’idea di venire leggendo quello che voi avete scritto”. Così il corrispondente della Rai da Gerusalemme, FILIPPO LANDI, ha esordito nella sua relazione al Convegno “Terra Santa, terra ferita” del 29 novembre a Firenze. L'incipit della sua preziosa riflessione è stato l'editoriale del n.65. “Mi ha colpito e voglio rileggere alcuni passaggi di un recente editoriale di BoccheScucite: “Non ci stancheremo di denunciarlo: tutto quello che, a causa dell’occupazione, la gente subisce e sopporta pazientemente ogni istante e in ogni ambito della sua esistenza, non scandalizza più nessuno semplicemente perché nessun media riporta la notizia. Persino lì dove la tragedia è diventata catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza sotto assedio ed embargo, tutto ciò che accade è conosciuto solo da chi si trova lì sul posto e vede con i suoi occhi un crimine che rimarrà impunito.(...)”
Nel vostro BoccheScucite, citate spesso una serie di fatti che non si sono visti in TV né si son letti sui giornali con l’eccezione della scorsa settimana, quando in tarda serata su Report si sono viste alcune immagini molto interessanti sull'attività di un’associazione, legata a un eccezionale personaggio israeliano che lavora per evitare che le case palestinesi vengano abbattute, soprattutto a Gerusalemme, e lavora anche nel ricostruire quelle distrutte. Io potrei aggiungere molti altri fatti che accadono ma di cui non si ha notizia nei media.
Per esempio, avete sentito o letto qualcosa dell’Imam Majd Barghouti, parente del noto leader Marwan che è in carcere? Egli viveva in un piccolo villaggio di tremila abitanti, alla periferia di Ramallah. Una sera è stato preso da uomini incappucciati e portato ad un posto di polizia palestinese, poi, dopo qualche giorno hanno telefonato alla moglie perché andasse all’ospedale dove avrebbe trovato suo marito. In effetti era lì, ma dopo poco è morto, a causa delle percosse subite durante l'interrogatorio della polizia palestinese. L’Imam Barghouti era un Imam molto stimato, ma aveva il torto di appartenere ad Hamas, e per questo l'hanno interrogato pesantemente, lui come tante altre persone, perché volevano sapere da lui dove nascondeva le armi, o meglio, dove i militanti di Hamas le nascondono. Dopo un interrogatorio pesante gli è venuto un infarto ed è morto, e così l’hanno riconsegnato alla famiglia. Marwan Barghouti, dal carcere, si è molto arrabbiato e ha fatto sapere ad Abu Mazen che o metteva in piedi una commissione di indagine oppure dal carcere avrebbe pubblicamente denunciato come un crimine questa vicenda. La commissione d'indagine si è riunita e, dopo qualche tempo, ha detto che l’Imam era morto per un attacco cardiaco. Era una commissione indipendente. Ho visto le fotografie dell’Imam da morto. Certo i lividi non deponevano per un infarto spontaneo... In realtà la commissione è stata il frutto di un compromesso. Nessuno ha detto che è stato un crimine della polizia palestinese, ma il capo dei servizi segreti palestinesi, non più tardi di un mese fa, si è dimesso.
Ho proposta che questa vicenda venisse ripresa in un mio servizio, ma la risposta è stata: “Mi dispiace, non c’è spazio per mandarla in onda...”. Eppure mi sembrava interessante perché mette in ballo tante cose rispetto ai diritti dell’uomo, anche verso coloro che sono di Hamas. Questa impossibilità si ripete tante volte.
Ad esempio non c’è stato spazio per raccontare della famiglia sfrattata a Gerusalemme est una quindicina di giorni fa e, visto che stiamo parlando di infarti, il vecchietto che hanno portato via di casa alle quattro di notte in ambulanza è morto dopo pochi giorni in ospedale. Il proprietario aveva deciso di vendere la casa ai coloni ebrei che si erano insediati intorno e questa piccola vicenda poteva essere l’occasione per riflettere su quello che sta accadendo a Gerusalemme est, ma... “Non c’è spazio!”.
Così c’è stato poco spazio per la notizia delle soldatesse israeliane che sono finite diritte dal liceo al carcere, e non c’è stato spazio per le loro amiche che hanno organizzato un concerto sotto la loro prigione. Si erano rifiutate di fare il servizio militare nei territori palestinesi occupati. Il collega Alberto Stabile è riuscito a fare un pezzo che è miracolosamente apparso su Repubblica, ma in televisione...poco spazio o quasi niente. Potrei continuare a lungo ma, invece, preferisco porre una domanda retorica, una domanda che voi stessi potreste porre a me legittimamente: i fatti che abbiamo raccontato finora, quelli che voi scrivete su BoccheScucite, quelli che io ho detto oggi, sono veri o sono falsi? E se sono veri, io sono dentro o sono fuori questo silenzio che riguarda tanti episodi della vita di un intero popolo, quello palestinese, e tanti altri che riguardano il popolo israeliano? La risposta è che io non sono fuori da questo silenzio. Non mi sento assolto dall'esserne parte solo perché il TG3 e il giornale radio per i quali lavoro mi consentono "di tanto in tanto" di parlare di qualcuno di questi episodi.
Spesso, in vero, ricevo richieste per fare altri servizi che mi sembrano per lo meno folcloristici nel contenuto. Mi salvo, perché preparando il servizio lo interpreto e lo inquadro in contesti più seri e rilevanti. Accade così che in testa ci metto, su 17 righe, 11 righe sul tema commissionatomi mentre uso le altre sei righe per allargare e dar notizia di altro, aggiungendo: “ma oggi è accaduto anche questo...”.
Utilizzo così la mia autonomia professionale anche per apportare spicchi di verità che a Roma sembrano non interessare. Però, in definitiva, io non sono estraneo al silenzio complessivo che è calato sulla vicenda medio-orientale. Io ne faccio parte. Allora è giusto porre un'altra domanda retorica: ma perché tutto questo accade? Perché i media si comportano così? Perché frenano anche giornalisti che, per la loro cultura, per la loro esperienza e per la loro storia, vorrebbero dire più cose, costringendoli in un angolo? Perché? Ho individuato alcune risposte e ciascuna di queste meriterebbe un approfondimento. Questi fattori, che semplicemente elenco, aiutano a comprendere la complessità di fatti che in parte ci sovrastano, in parte ci vedono dentro e in parte non possiamo in questo momento cambiare. Quest'ultima è ovviamente una considerazione amara, ma va fatta con grande sincerità.
I fatti che, secondo me, creano questa cappa di silenzio sono i seguenti:
Primo: la sindrome del terrorismo. Non servono tante spiegazioni. E’ sufficiente aprire un giornale e scorrere i titoli per verificarla a tutti i livelli, sia nell’opinione pubblica sia in chi fa informazione. La sindrome “denuncia” come onnipresente il terrorismo e fa sì che il terrorismo venga ritenuto più importante di ogni altro fatto o problema.
Secondo: la fobia verso il mondo arabo ed islamico. E qui c’è una grande responsabilità dei mass media italiani e c’è una responsabilità morale di una parte dei giornalisti, sia della carta stampata che della televisione, nell'aver alimentato e nell’alimentare oggi questa fobia.
Terzo: un senso religioso e cattolico anti-islamico. Credo che sia evidente per voi, come è evidente per me che sono a Gerusalemme. Talvolta incontro pellegrini e le guide religiose del pellegrinaggio che si ritengono buoni cattolici. Soffermandosi davanti alle moschee della città vecchia le guide dicono: “ecco vedete, queste sono le moschee costruite contro le chiese cattoliche!”. Il pellegrinaggio diventa allora, purtroppo, la ricerca della propria radice cristiana in Terra santa, ma nella sfida con e contro gli islamici. Fortunatamente non tutte le “guide” hanno questa idea del pellegrinaggio in Terra Santa.
Quarto: il senso di colpa europeo per la Shoah. Questo fatto aumenta il silenzio dell’opinione pubblica e di chi fa informazione rispetto a molti eventi che accadono in Medio Oriente. Il senso di colpa per l’Olocausto fa sì che vengano giustificate molte cose, altrimenti non giustificabili. È anche in aumento una pregiudiziale politica filoisraeliana, che è un passaggio successivo. Accade così che vengano giustificati molti atti compiuti dai governi israeliani, indipendentemente da ogni valutazione etico-morale. È il caso del blocco economico alla popolazione di Gaza. Questa è una pregiudiziale molto forte. Non si devono dare “giudizi” su quello che i governi israeliani fanno e si cade così nel ridicolo. I giornalisti israeliani appaiono molto più liberi di noi. È sufficiente prendere alcuni numeri di BoccheScucite e vedrete quanti sono gli articoli di giornalisti israeliani e quanti di quelli italiani. I giornalisti israeliani hanno una capacità critica verso gli atti del loro governo che noi italiani non abbiamo più.
Quinto: le pressioni di istituzioni israeliane e di gruppi ebraici europei ed italiani. Le istituzioni israeliane incidono sui corrispondenti e, saltando i corrispondenti, direttamente sui quartieri generali a Roma, Londra, Parigi ecc. Ci sono dei corrispondenti a Gerusalemme che dopo un po’ di tempo diventano sgraditi e le istituzioni israeliane, comprese le ambasciate israeliane all’estero, chiedono, per esempio, al direttore della BBC di sollevare dall’incarico una collega perché troppo filo-palestinese. Oggi lavora in Pakistan. Questi interventi accadono con una certa frequenza. Inoltre, ci sono i gruppi ebraici dei singoli paesi che cercano di incidere su chi fa informazione, anche bypassando il giornalista sotto accusa, arrivando direttamente al direttore della testata e al direttore editoriale. Mi raccontava una collega finlandese che era letteralmente subissata di email per quello che scriveva a Gerusalemme. La stessa cosa capita a noi italiani e a tanti altri. Ci sono quindi due tipi di pressioni che certe volte si intersecano: quella delle istituzioni israeliane e quella dei gruppi ebraici locali.
Sesto: la divisione all’interno dei palestinesi. Non è davvero il fattore meno importante. La divisione genera una ulteriore autocensura. Quest’anno poco meno dell’1% delle piante di ulivo sono state danneggiate dai coloni israeliani in Cisgiordania. Se questo è importante, però… ci sono anche i razzi di Hamas, che cadono su Sderot o nel deserto israeliano. L’Imam Barghouti è stato torturato…ma forse è un caso isolato. La divisione tra i palestinesi dal punto di vista di chi fa informazione, di chi dirige l’informazione, ha così accentuato la scelta di non parlare dei problemi dei palestinesi.
Come vedete, questi elementi messi insieme influenzano l’opinione pubblica e fanno sì che non solo venga censurata una parte della realtà palestinese, ma viene pure censurata una parte della società israeliana.
Questo non mi stancherò mai di ripeterlo. Il problema è che si è formata un’immagine della società israeliana a livello di chi dirige i mezzi di comunicazione di massa e di chi influenza la politica, per cui è difficilmente accettabile un servizio che, ad esempio, faccia vedere il livello di povertà che c’è a Gerusalemme. Nell’immaginario che si crede e che si vuole venga rappresentato, gli israeliani non sono poveri bensì ricchi. I poveri, per loro colpa, sono i palestinesi. Gli ebrei poveri non ci sono e non ci devono essere. Le violenze sessuali nelle famiglie ebree osservanti sono uno dei fenomeni più in crescita, e più statisticamente rilevanti della società israeliana. Ma questo non coincide con l’immaginario che qualcuno vuole trasmettere, perché sono invece le donne musulmane le sole vittime di cattivi mariti musulmani. C’è stato il caso di un rabbino fuggito in Canada inseguito da un ordine di cattura per violenza. Il caso è stato ignorato, in primo luogo dalle agenzie di stampa, assai importanti per rilanciare poi le notizie attraverso giornali e televisioni. C’è il fenomeno dei refusnik, ragazzi israeliani che non vogliono fare il servizio militare nei territori occupati… “Ok, si può fare un pezzo, ma senza esagerare”. Perché?
L’immaginario è fermo al fatto che tutti i giovani israeliani difendono la loro patria.
In tempi recenti si è dimesso il Capo dello stato israeliano per molestie sessuali e un primo ministro per corruzione: c’è stato un dibattito sull’informazione italiana sulla crisi della società politica in Israele? E così mentre l'informazione in Europa -soprattutto in Italia - si autocensura, rimangono solo alcuni giornalisti israeliani con una severa capacità di critica.
Una conclusione. In otto anni vissuti tra Il Cairo e Gerusalemme e in diciassette anni vissuti in Medio Oriente ho imparato che gli arabi e i musulmani (uso la parola “arabo” e la parola “musulmano” ma voi sapete purtroppo che per molti non c’è distinzione! Non capiscono che a Giakarta non sono arabi...E chi pensa così non sono solo giornalisti ma anche politici…) sono innanzitutto Persone come noi. Hanno cioè aspirazioni e desideri che sono esattamente uguali ai miei e ai vostri. Il desiderio, per esempio, di una felicità familiare, di allevare i propri figli, di farli studiare. Nel mondo arabo, molto più che da noi, le famiglie si ammazzano di lavoro e di debiti pur di mandare i figli a scuola. Inimmaginabile è stato per esempio il dolore delle famiglie di Gaza, quando all’inizio dell’anno scolastico si è dovuto fare una selezione all’interno delle famiglie perché non c’erano soldi per comperare i quaderni e i libri per tutti, e quindi alcuni figli hanno potuto andare a scuola mentre altri sono stati costretti a lavorare. E quanti esempi potrei fare...
Di loro, moltissimi sono musulmani come ci sono anche arabi cristiani.
Quello che non può sfuggire è che tutti sono realmente delle persone!
Questo dato elementare è stato estirpato dall’informazione. Questo va detto con grande forza, perché ci sono giornalisti che lo dimenticano. Così, le persone vengono descritte come “musulmani”, intendendo con ciò che sono potenzialmente dei terroristi. Questo è gravissimo. Inoltre, dal punto di vista dei cattolici, è in gioco il nostro modo di guardare alle persone. Mi chiedo: la fede permette a un cattolico di avvicinarsi a un musulmano senza paura? Sì o no? Uno è abbastanza convinto di quello che ha incontrato nella propria vita da potersi avvicinare all’altro senza timore, o no? A me sembra che siamo a questo punto nodale: ci sono cattolici, laici e religiosi, preti e vescovi, che hanno questo timore e questo fa sì che il rapporto fra cristiani e musulmani si complichi. Vengo invitato alla prudenza su questo argomento, io rispondo in un altro modo: ricordo il giorno dei funerali di papa Giovanni Paolo II che ho vissuto a Gerusalemme. Non c’era televisione nelle case dei musulmani o nei negozi dei musulmani che non fosse accesa sulle “televisioni dei terroristi” Al Jazeera e Al-Arabyia, che trasmettevano in diretta i funerali da San Pietro. Non c’era musulmano che quel giorno incontrandomi non mi abbia fatto le condoglianze e ho perfino ricevuto telefonate di condoglianze. Questo cosa vuol dire? Che è fondamentale sapere che di fronte abbiamo sempre delle persone con aspirazioni e desideri uguali ai nostri, ed è sbagliato issare recinti.
Anche i musulmani sanno riconoscere chi tra i cattolici parla a loro avendo a cuore la loro umanità. Per questo, nell’affrontare i problemi dei cristiani in Medio Oriente, in Palestina, ed anche nel parlare dell’esodo dei cristiani da Betlemme, si deve avere a mente che spesso i problemi riguardano, ad esempio, ogni singola persona che vive a Betlemme.
Cristiana o musulmana che sia, se non ha da mangiare vive lo stesso dramma. Se poi il cristiano ha la fortuna di avere il visto per espatriare e il musulmano non può averlo, voi capite che l’esodo si fonda su un problema comune.
È superficiale dire: “ci dobbiamo interessare dei cristiani a Betlemme”.
In realtà ci dobbiamo interessare della gente che vive a Betlemme e allora sarà immediato sentirci impegnati a solidarizzare con i cristiani e cercare di aiutarli.