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Il Giornale Rassegna Stampa
21.12.2008 Sarà anche una bufala, ma la smentita non convince
Papa Roncalli poteva benissimo averla scritta perchè è stato il primo Papa Buono

Testata: Il Giornale
Data: 21 dicembre 2008
Pagina: 21
Autore: Andrea Tornielli
Titolo: «La falsa preghiera del Papa buono»

REPUBBLICA di ieri aveva dato notizia, con grande rilievo, della preghiera sugli ebrei di Papa Giovanni XXII, che IC ha subito ripreso. Oggi, 21/12/2008, escono su AVVENIRE e IL GIORNALE le smentite. Su AVVENIRE è Guido Ronaclli a scriverne, mentre sul GIORNALE è Andrea Tornielli. Non siamo particolarmente interessati alla polemica intorno al fatto se la preghiera sia stata veramente scritta da papa Roncalli, oppure il documento non sia veritiero. Come scrivevamo ieri, la preghiera potrtebbe benissimo averla scritta papa Roncalli, tanto è conseguente al suo pontificato. Ma non solo, anche da nunzio apostolico si differenziò, tanto per non fare nomi, da Pio XII. Fu papa Roncalli ad iniziare la revisione della politica vaticana nei confronti degli ebrei. Quella preghiera rientra a pieno titolo in quel programma. Certo, alcuni fra i papi del dopoguerra, non fanno una bella figura se paragonati a Giovanni XXIII, ma non è per colpa di quest'ultimo. Se poi la scrisse un gesuita nel 1965, diventato " ex  "subito dopo, la chiesa si chieda se a farlo diventare ex non sia stato un errore. Sono i sostenitori della politica pacelliana a doversi porre delle domande. Ignorare la storia, impedire che la verità venga alla luce su un periodo drammatico come quello della 2a guerra mondiale, ci pare abbia poco a che fare con il magistero della fede. Pubblichiamo l'articolo di Andrea Tornielli dal GIORNALE, con il titolo " La falsa preghiera del Papa buono", un titolo che ci suscita una domanda: chissà come mai quell'aggettivo gli fu attribuito, una parola così semplice, , non sarà stato per sottolineare  l'enorme differenza con qualche altro, che buono non è stato ?

Una pagina intera su La Repubblica di ieri rivelava un eccezionale «inedito» di Giovanni XXIII, una «preghiera per gli ebrei» che il “Papa buono” - ormai in punto di morte - avrebbe scritto riconoscendo le colpe dei cristiani che sulla fronte hanno, così recita il testo, «il marchio di Caino». Cosa c’è di meglio da rilanciare nei giorni in cui tiene banco la polemica sulle leggi razziali con chiamate in correità della Chiesa cattolica?
Un documento significativo e importante, che sarà declamato questa sera al monastero di Santa Cecilia a Roma dall’attore Guido Roncalli (il quale, diciamolo subito, non è legato da alcun legame di parentela con il beato Pontefice) nello spettacolo dal titolo suggestivo ma fuorviante «Roncalli legge Roncalli». Peccato però che la «preghiera» sia un falso, smentito ripetutamente e per di più ben conosciuto da moltissimi anni. Un apocrifo, dunque, del quale non esiste alcun autografo né si conosce in dettaglio l’origine, reso noto per la prima volta dall’ex gesuita Malachy Martin sotto pseudonimo nel 1965, e dichiarato assolutamente non vero da tutti i collaboratori di Giovanni XXIII, in primis dal suo segretario, monsignor Loris Capovilla, che delle carte del Pontefice bergamasco è stato attento e fedele custode.
Repubblica scrive che giunto ormai al termine della sua vita, Papa Roncalli, nel maggio 1963, «nel chiuso della sua stanza nel Palazzo apostolico, in Vaticano», dedicò «le sue ultime energie al popolo ebraico sotto forma di preghiera composta quasi di getto su un foglio bianco, davanti al Crocifisso». Lasciando così ai posteri «una chiara e appassionata richiesta di perdono per le “colpe” commesse dai cristiani nel corso dei secoli con i loro atteggiamenti antisemiti». L’eccezionale documento, scrive il quotidiano, «finora sostanzialmente inedito in Italia», era stato pubblicato «solo in parte nel 1965 su un giornale olandese e brevemente accennato nello stesso anno su un periodico italiano, sembra per iniziativa di un giovane monsignore statunitense che aveva preso parte al Concilio come esperto ed era molto amico dell’allora Pontefice». Testo importante e scomodo, caduto inspiegabilmente «nell’oblio per 45 anni», prima che l’attore omonimo ma non parente, e il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, lo scoprissero e lo rilanciassero.
In realtà, un motivo per l’oblio c’è, ed è ben fondato. «Si tratta di un falso, Giovanni XXIII non c’entra nulla con quella preghiera – spiega al Giornale monsignor Capovilla – e quando venne resa nota per la prima volta fu prontamente smentita». Tutta la vicenda è stata ricostruita a suo tempo dal gesuita padre Giovanni Caprile su La Civiltà Cattolica (il 18 giugno 1983), sulla base delle carte conservate negli archivi della «Fondazione Giovanni XXIII» di Bergamo. Si scopre così che a divulgare per primo l’apocrifo, senza peraltro indicare fonti o testimonianze di autenticità, è la rivista dell’«American Jewish Committee», in un articolo firmato da un certo «Cartus», pseudonimo dell’ex gesuita Malachy Martin. Proprio su quest’ultimo si appuntano, da decenni, i maggiori sospetti circa la fabbricazione dell’apocrifo. Capovilla, che all’epoca aveva già smentito, oggi rincara la dose: «È una pura invenzione, e spiace che si sia potuto credere autentica una preghiera che non corrisponde allo stile e allo spirito di Papa Giovanni, il quale non si sarebbe mai permesso di dire che i cristiani portano impresso “il marchio di Caino” sulla fronte. I testi roncalliani sono stati studiatissimi e pubblicati, di questa preghiera non esiste traccia tra le carte del Pontefice e tutti coloro che la citano non hanno mai potuto produrre riscontri sulla sua autenticità, un’autenticità che è smentita dal testo stesso».
Guido Roncalli, l’attore che stasera la reciterà, ha presentato recentemente il suo spettacolo anche in Vaticano, presso il Governatorato, ma in quella occasione la clamorosa preghiera «inedita» pare non sia stata declamata.
Non c’era bisogno di questo testo per sapere che Giovanni XXIII ha sempre mostrato attenzione nei confronti degli ebrei, prendendo decisioni importanti che hanno contribuito a cambiare il clima dopo secoli di antigiudaismo cristiano. Non soltanto da delegato apostolico a Istanbul – durante la guerra e, va ricordato, sempre in accordo con la Segreteria di Stato di Pio XII – quando salvò molti ebrei dalla deportazione; ma anche da Papa, quando decise di abolire l’ottava supplica del Venerdì Santo, che definiva gli israeliti «perfidis». E poi nel disporre che il Concilio Vaticano II, da lui convocato, si occupasse della questione ebraica. Nella dichiarazione «Nostra aetate» i padri conciliari aboliranno l’accusa di «deicidio» che era stata indistintamente rivolta al popolo ebraico.
Segnalare questo ennesimo scivolone storico, non significa dunque misconoscere l’esistenza di una svolta roncalliana nei rapporti con gli ebrei, anche se forse vale la pena ricordare che una precisazione sul fatto che quel «perfidis» doveva intendersi solo nel suo significato di «privi di fede» in Gesù, era già stata fatta pubblicamente, a suo tempo, da Pio XII.
La complessità della storia poco si dovrebbe prestare a battaglie giornalistiche che ripropongono la «vulgata» dei Papi buoni e dei Papi cattivi, come accade in continuazione con la leggenda nera di Pio XII «antisemita» e «filonazista». Sempre più spesso si assiste a una confusione dei ruoli: archivisti di istituzioni anche illustri che si attribuiscono da soli la patente di storici, docenti di storia che scrivono sui giornali e accusano i giornalisti di non essere accurati e di non avere titoli per occuparsi di questa materia, ma che non sono affatto esenti da abbagli anche notevoli, dai quali i titoli accademici non mettono al riparo: basta ricordare la polemica sul «documento agghiacciante» - ma incompleto e presentato senza il necessario contesto - che accusava Pio XII di non voler restituire i bambini ebrei ai loro parenti dopo la Shoah, messo in pagina dal Corriere della Sera nel dicembre 2004, la più recente montatura di Sergio Luzzatto contro Padre Pio che si sarebbe procurato le stimmate con l’acido e, un paio di mesi fa, le «rivelazioni» di Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino, rilanciate dall’Ansa e prontamente riprese da Repubblica, sui documenti relativi ai colloqui di Papa Pacelli con i diplomatici angloamericani nei giorni successivi alla razzia del ghetto ebraico di Roma: gli studiosi li avevano ritrovati in un archivio americano e hanno pensato che fossero inediti, senza sapere che erano notissimi e pubblicati in decine di libri, nonché ampiamente commentati da Civiltà Cattolica.
 
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