L'Iraq, il mondo arabo, la democrazia e il lancio delle scarpe i commenti di Piera Prister e R.A. Segre
Testata: Informazione Corretta Data: 19 dicembre 2008 Pagina: 0 Autore: Piera Prister - R.A. Segre Titolo: «L'Iraq e' davvero una democrazia - L’intifada delle scarpe fa paura ai regimi del Medio Oriente»
Il commento di Piera Prister , scritto per INFORMAZIONE CORRETTA, alla vicenda del reporter iracheno Munthander al-Zaidi
La sceneggiata del reporter iracheno, Munthander al-Zaidi che a Baghdad, nella sala stampa gremita di giornalisti, tira le sue scarpe contro il presidente Bush di fronte a milioni di telespettatori ha sortito invece l'effetto di dimostrare anche agli increduli che l'Iraq e' davvero una democrazia, d'altronde in quale altro paese per giunta islamico sarebbe stato possibile? Se avesse ardito farlo contro Saddam Hussein solo qualche anno fa, sarebbe stato sicuramente torturato ed ucciso. Ma Il giovane giornalista era in cerca di notorieta', voleva i suoi cinque minuti di gloria ed ha orchestrato la gag del lancio di scarpe -che dicono che per i musulmani e' piu' offensivo del lancio di pomodori- consapevole d'aver puntate su di se' le televisioni di tutto il mondo! Le immagini della scena hanno fatto rapidamente il giro del mondo ad una velocita' persino superiore a quella delle scarpe e sono diventate oggetto di freddure e di lazzi buffoneschi a non finire. Ma chi ha fatto una figura meschina nella sua rozzezza e nella sua sua totale mancanza di civismo e di professionalita' e'proprio lui al-Zaidi. Bell'eroe, troppo facile prendersela con Bush, ma perche' magari non prendersela invece con un dittatore sanguinario, di quelli che conosciamo bene o troppo coraggio gli avrebbe richiesto! Aveva il diritto di liberta' di parola a sua disposizione ma e' ricorso volgarmente al lancio di scarpe. Ma i libri non gli hanno insegnato nulla perche' proprio in quella sede della sala stampa avrebbe potuto liberamente esprimere la sua opinione e il suo dissenso, ne aveva tutti i diritti. Altri giornalisti non hanno avuto quella opportunita', perche' sono stati assassinati brutalmente per tenere loro la bocca chiusa, da Anna Politkovskaya uccisa a colpi d'arma da fuoco il 7 ottobre 2006 a Mosca a Hrant Dink, il giornalista turco di origine armena assassinato per le strade di Istambul il 19 gennaio 2007 e molti altri giornalisti che pagano a duro prezzo il diritto alla liberta' di parola, continuamente minacciati di morte, costretti a nascondersi e ad avere una vita blindata. Ma il presidente americano ha appena detto come si legge sul "The Wall Street Journal" del 16 dicembre che non serba rancore "no hard feelings" verso il giovane giornalista anzi raccontando l'accaduto ha dato prova di un grande senso dell'umorismo che in lui e' proverbiale. Bush non s'e' scomposto piu' di tanto, si e' chinato due volte schivando i colpi con grande agilita', poi s'e' fatto una bella risata, ben altre prove ha dovuto affrontare nella sua presidenza, la piu' dura quella dell'11 settembra 2001 quando lo abbiamo visto sconvolto e profondamente commosso di fronte a quello scenario di distruzione e di morte. L'Iraq e' ora un paese libero grazie all'amministrazione Bush e grazie agli uomini e donne in uniforme che hannno sacrificato le loro vite per esportare la democrazia in quel paese mesopotamico, e che tuttora combattono a fianco degli Iracheni contro il terrorismo. La loro morte non e' stata vana come i media vorrebbero farci credere perche' laddove avanza la democrazia retrocedono i regimi dispotici e il terrorismo. Adesso il premier Nouri Al Maliki non deve lasciarsi sfuggire l'opportunita' di dimostrare ancora una volta, a tutti quei regimi illiberali ed oppressivi che l'Iraq e' una democrazia e che lui stesso ne e' orgogliosamente il primo ministro. Con un gran gesto di clemenza rilasci pure libero Muntandher al-Zaidi dandogli cosi' uno schiaffo morale, ma ad una sola condizione pero', che prima chieda pubblicamente scusa a Bush. Quale migliore vendetta! Piera Prister Bracaglia Morante
Da pagina 22 del GIORNALE del 19 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di R. A Segre "L'intifada delle scarpe fa paura ai regimi del Medio Oriente":
Non si deve sottovalutare il significato del lancio della scarpa contro Bush da parte del giornalista della TV irakena Muntazer Al Zaidi. Col suo gesto - che si trasformerà in martirio - se il governo di Bagdad lo punirà con la prigione o se, come forse già fatto lo sottoporrà a violenza fisica - questo giovane di 28 anni, ha creato il simbolo di una nuova rivolta nel mondo arabo. Non tanto contro l'America e l'odiato Bush, ma contro tutti i regimi dittatoriali della regione. È il Balilla - il ragazzo di Portoria - che lanciò la pietra che mise in fuga i soldati imperiali tedeschi a Genova nel 1746 creando una delle leggende più amate e durature del Risorgimento e in seguito del Fascismo. Come giustamente ricordato da Carlo Bitossi poco importa se un ragazzino di nome Giovan Battista Perasso tirò per primo la famosa pietra. Fu il popolo a imitarlo contribuendo a cambiare la storia d'Italia. Muntasser Al Zaidi è qualcuno in carne ed ossa che si è trasformato istantaneamente in eroe, dall'irak al Marocco, da Gaza all'Egitto, dalla Turchia alla Cina. Non solo grazie ai media globalizzati ma perché, senza rendersene conto, ha inviato un messaggio che tutti hanno registrato perché toccava un nervo scoperto nella società araba: il bisogno sempre auspicato e mai realizzato di cambiamento rivoluzionario, dal basso. Un cambiamento (fallito) che dopo Nasser non trovava più simboli forti e semplici attorno a cui polarizzare «tutti quelli che sono contro». Per questo il premier irakeno è rimasto cosi spaventato dall'accaduto. Non a causa della violazione del principio dell'ospitalità, ma perché Bush (e gli americani) se ne vanno, mentre lui resta e dovrà fare i conti con milioni di scarpe di protesta. Come dovranno fare molti dirigenti dei paesi arabi che vedono già l'insulto di protesta della scarpa, allargarsi a macchia d'olio contro il potere; riunire intellettuali e popolino, vecchi e ragazzini, in una manifestazione di sfogo che non conosce ne frontiere ne classi sociali. È uno sfogo che ha radici psicologiche arcaiche. Nella Bibbia è il gesto di disprezzo (accompagnato dallo sputo pubblico) che accompagna il levirato, cioè il rifiuto del fratello che si sottrae all'obbligo di concedere il suo seme alla nuora vedova e senza figli invece di continuare la discendenza del fratello. Nel mondo islamico - è in quello asiatico - la scarpa lasciata fuori della moschea o della casa è uno dei simboli dell'abbandono (sia pure solo temporaneo) del contaminato, dell'impuro. Ma un simbolo di protesta difficilmente può essere controllato. La polizia può sparare sulla folla ma non sulle scarpe che chiunque può lasciare davanti alla porta di un potente. Si tratta di un gesto simbolico molto più significativo del lancio di monetine o di uova contro un politico occidentale , o di una scarpa contro la sua effigie. Paradossalmente e con «toute proportion gardée», questo simbolo di rabbia e di volontà di cambiamento ha qualcosa che ricorda il simbolismo politico della «negritudine» di Barack Obama, il quale con l'effetto «balilla» di Al Zaidi dovrà fare i conti e non solo in Irak.