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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.12.2008 Bush visita l'Iraq, il paese che ha liberato
e dimostra la sua forma atletica e il suo senso dell'umorismo quando un giornalista gli lancia le proprie scarpe

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Bush a Baghdad: “La guerra non è finita” - L'Iraq stabile è il suo vero lascito»

Da La STAMPA del 15 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di Maurizio Molinari "Bush a Baghdad: “La guerra non è finita” ".
Rivendicando la liberazione dell'Iraq dalla tirannia terrorista di Saddam Hussein, Bush ha anche avuto modo di dimostrare la sua forma atletica e il suo senso dell'umorismo quando un giornalista iracheno gli ha tirato le proprie scarpe: il presidente americano le ha schivate, e ha commentato l'episodio con una battuta:  "L’unica cosa che posso dirvi è che le scarpe erano taglia 10»".

Ecco il testo:

Una cerimonia d’accoglienza a cielo aperto, la firma dell’accordo sul ritiro delle truppe e due scarpe lanciate contro durante la conferenza stampa. L’addio di George W. Bush all’Iraq avviene con un viaggio a sorpresa - il quarto della sua presidenza - per «ringraziare le truppe per il lavoro fatto» a soli 37 giorni di distanza dal cambio della guardia alla Casa Bianca. Partito in segreto da Washington nella giornata di sabato, l’Air Force One è atterrato ieri all’aeroporto di Baghdad in pieno giorno e Jalal Talabani, presidente iracheno, ha accompagnato l’ospite a passare in rassegna il picchetto d’onore in una cerimonia a cielo aperto che solo pochi mesi fa sarebbe stata del tutto impensabile.
A rendere possibile il nuovo clima sono i progressi sulla sicurezza che Bush ha lodato nell’incontro con il premier Nuri al Maliki durante il quale sono state apposte le firme ufficiali all’accordo «Sofa» che prevede il ritiro di tutte le truppe combattenti americane entro il 2011, con la consegna delle principali città agli iracheni sin da questo giugno. «La deposizione di Saddam Hussein ha dato sicurezza all’America, speranza all’Iraq e pace al mondo ma c’è ancora molto da fare, la guerra non è finita», ha detto Bush dopo la firma mentre il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Stephen Hadley, lodava il presidente eletto Barack Obama per «quanto ha detto di recente sul fatto che ascolterà i comandi e terrà presenti quattro differenti priorità» nel procedere verso il ritiro delle truppe, senza dunque accelerare i tempi come aveva detto durante la campagna elettorale. Hadley ha sottolineato che «l’accordo Sofa è un importante risultato politico, unico in tutto il Medio Oriente perché è stato discusso ed approvato da un Parlamento democraticamente eletto». Anche il premier al Maliki ha messo l’accento sui progressi in atto: «L’Iraq sta crescendo in tutti i campi».
La visita era stata pensata dalla Casa Bianca per sottolineare il positivo commiato del presidente dalla nazione che nel marzo del 2003 decise di invadere ma non tutto è filato liscio. Durante la conferenza stampa conclusiva infatti uno dei giornalisti iracheni presenti, Muntadar al Zeidi della tv Al Baghdadia con sede al Cairo, si è tolto all’improvviso entrambe le scarpe lanciandole in direzione di Bush, che ha mostrato riflessi pronti nell’evitarle, muovendosi d’istinto. Il personale di sicurezza ha subito fermato il giornalista, che con il gesto di protesta ha voluto esprimere forte disprezzo nei confronti di Bush. Lanciando le scarpe al Zeidi ha gridato in inglese «This is the end», (questa è la fine) riferendosi all’imminente uscita di scena di Bush ma il presidente americano non se l’è presa più di tanto e di fronte ai reporter ha ironizzato sull’incidente affermando: «L’unica cosa che posso dirvi è che le scarpe erano taglia 10», l’equivalente al 44 europeo.
Bush è ripartito in serata lasciandosi alle spalle circa 150 mila soldati destinati a diminuire in fretta ma le polemiche sull’intervento militare continuano, come dimostrano le rivelazioni dei media americani su un rapporto governativo di 153 pagine che ricostruisce i sei anni di guerra e ricostruzione imputando al Pentagono «fallimenti costati 100 miliardi di dollari», a causa di «guerre burocratiche, la spirale di violenza e l’ignoranza delle caratteristiche di fondo della società irachena». Il rapporto afferma che i generali del Pentagono all’inizio del conflitto si opposero all’idea di partecipare alla ricostruzione dell’Iraq. In alcune pagine appare chiaro come l’allora Segretario di Stato Colin Powell imputasse ai comandi militari di «gonfiare le cifre delle forze irachene». Il rapporto afferma che la ricostruzione è costata in tutto 117 miliardi di dollari, almeno 50 dei quali pagati con i soldi dei contribuenti americani, senza essere riuscita a sanare i problemi economici nazionali.

Da CORRIERE della SERA, a pagina 5, l'intervista di Ennio Caretto a Richard Perle che traccia un bliancio dell'amministrazione Bush: "L'Iraq stabile è il suo vero lascito":

WASHINGTON — Richard Perle è d'accordo con Bush: l'Iraq relativamente stabile e democratico di oggi sarà forse il maggiore lascito della sua presidenza, assieme alla guerra al terrorismo. L'ex sottosegretario alla Difesa, un leader neocon, dichiara che «la politica estera e di sicurezza di Bush è stata talora fallimentare », ma che «il successo del suo intervento in Iraq e della sua lotta contro Al Qaeda la ha salvata». Contesta pertanto i liberal secondo cui Bush passerà alla storia come il peggior presidente americano: «Potrebbe passarvi il democratico Jimmy Carter».
Perché considera un successo la guerra in Iraq?
«Perché ha eliminato Saddam e ha liberato 25 milioni di iracheni dando loro un governo rappresentativo. Fu l'unico modo possibile di gestire il rischio che Saddam possedesse armi di sterminio, come quasi tutti credemmo erroneamente, e che le fornisse ai terroristi. Non si può ritenere la guerra uno sbaglio: è uno sbaglio assicurare la casa, come si fa sempre, se poi non brucia?».
Ma non c'è ricostruzione, lo dice un rapporto ufficiale.
«L'Iraq non è una democrazia perfetta, le minoranze non hanno il peso che meritano, e noi abbiamo commesso errori rendendo la situazione più difficile. Ma si sta avviando alla ripresa economica e alla pace interna, non rappresenta più un pericolo militare per la regione ».
L'Iraq non ha depistato Bush dall'Afghanistan?
«La crisi afghana fu sempre legata alla crisi pachistana, non a quella irachena. Noi abbiamo cantato vittoria troppo presto e, come voi europei, non abbiamo mandato le truppe necessarie. Visitai Kabul due anni fa: i nostri comandanti ammisero che avevamo perduto la palla. Ma adesso ce la stiamo riprendendo ».
Perché la lotta al terrorismo è l'altro lascito di Bush?
«Perché il suo momento migliore, subito dopo la strage delle Torri Gemelle, fu quando ammonì che non avrebbe fatto differenza tra i terroristi e i loro sponsor. Prima si dava solo la caccia ai singoli ma ora ci sono soltanto due Stati dove si annida ancora il terrorismo, Afghanistan e Pakistan, e solo nelle zone di frontiera».
Qual è il suo bilancio della politica estera di Bush?
«Alla luce dei fatti non è stato un grande presidente, non ha risolto i problemi dell'Iran, del Medio Oriente, della Corea del Nord, della Russia, e l'attuale crisi finanziaria lo ha molto danneggiato. Ma se l'Iraq continuerà a migliorare e il terrorismo a diminuire, si riscatterà ».

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