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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.12.2008 Scomode verità su Damasco, Islamabad e sull'antisemitismo del terrorismo islamista
l'analisi di Christopher Hitchens

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 dicembre 2008
Pagina: 36
Autore: Christopher Hitchens
Titolo: «Quei governi ombra di Damasco e Islamabad»
Da pagina 36 del  CORRIERE della SERA del 10 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di Christopher Hitchens "Quei governi ombra di Damasco e Islamabad":

Talvolta le cose più ovvie sono le più difficili da capire, ed è divertente constatare fino a che punto i media si sforzino di mantenere un atteggiamento di «apertura» verso ciò che è palese, per creare poi misteri quando il vero compito del giornalismo è quello di svelarli. Il primo premio della categoria va a Fernanda Santos del New York Times, la quale scrive da Mumbai il 27 novembre che il centro ebraico Chabad in quella città era «l' obiettivo improbabile dei terroristi che hanno lanciato una serie di sanguinosi attacchi simultanei in diversi punti nel cuore commerciale di Mumbai». Con la fronte sempre corrugata e tormentata dal dubbio e dall'incertezza, la Santos prosegue affermando che «non si è ancora appurato se il centro ebraico sia stato tra i bersagli strategici dei terroristi, oppure un luogo scelto a caso per la cattura degli ostaggi». La stessa espressione sconcertata si ritrova sul viso di tutti coloro che si chiedono se il Pakistan sia coinvolto nei «sanguinosi attacchi simultanei» nel cuore di Mumbai.
Per trovare una prospettiva aggiuntiva, benché indiretta, su questo enigma che appare sempre di più come un enigma avvolto in un mistero, diamo un' occhiata all'ottimo saggio di Joshua Hammer sull'ultimo numero di Atlantic. La domanda cruciale — «C'è la Siria nella regia occulta della strage?» — ha il pregio di apparire almeno nel titolo dell'articolo, e non alla fine. Ecco i fatti: se siete un politico, un giornalista o una figura pubblica libanese e criticate il ruolo svolto dal governo siriano negli affari interni del vostro Paese, state pur certi che la vostra auto salterà in aria non appena girerete la chiave, oppure verrete aggredito e massacrato di colpi o dilaniato da una bomba o da una mina antiuomo mentre percorrete le vie di Beirut o avete imboccato la strada delle montagne. Gli esplosivi, le armi e le raffinate tattiche impiegate fanno pensare a risorse solitamente a disposizione della polizia segreta e dell'esercito di un'organizzazione statale. Mi sento in dovere di ribadire, tuttavia, nel rispetto della massima obiettività, che non si può affermare altro. Se invece vi ostinate ad accusare il dittatore Assad, ecco che la vostra macchina esplode o qualcuno vi spara alla testa. Nel corso degli anni, questo è accaduto a diversi personaggi, dal politico sunnita Rafik Hariri al leader druso Kamal Jumblatt, fino al portavoce comunista George Hawi. Certo, nessuno vuol passare per un «teorico della congiura » e insinuare che vi siano collegamenti inequivocabili tra le accuse al regime siriano e la triste fine di questi poveracci.
L'articolo di Hammer fa sorridere perché rivela fino a che punto la comunità internazionale è disposta ad argomentare proprio per non coinvolgere la dittatura di Assad in questa infinita serie di drammatici eventi. Dopo tutto, non è forse Damasco che detiene le chiavi della pace nella regione? E non potrebbe il giovane Bashar Assad, che è riuscito a farsi eleggere presidente dopo la morte del padre, per cause naturali, infastidirsi e addirittura imbufalirsi se viene a scoprire di aver ordinato attentati e omicidi? Non rischia di risentirne il celebre «processo di pace», se un dito accusatorio venisse puntato contro di lui? Negli uffici delle Nazioni Unite, dove languisce la vecchia inchiesta sull'assassinio di Hariri, considerazioni come queste contribuiscono ad allungare i tempi e Hammer descrive con efficacia l'atmosfera che vi si respira.
Allo stesso modo, la comunità internazionale sembra aver deciso di non prendere posizione riguardo il coinvolgimento del Pakistan negli attentati in India.
Tutto, dai cellulari all'addestramento, sembra puntare nella direzione di un gruppo militante già messo al bando, chiamato
Lashkar-e-Taiba, che pratica ciò che predica e predica la guerra santa contro gli indù, oltre che contro ebrei, cristiani, atei e altri elementi impuri. Tutti sanno che Lashkar è il figlio bastardo — e nemmeno disconosciuto — dei servizi di sicurezza pachistani. Ma quanto sarebbe scomodo affrontare una verità tanto ovvia e palese? Scomodissimo, tanto per cominciare, per il governo del presidente pachistano Asif Ali Zardari, un politico nuovo e inesperto che potrebbe anche non essere realmente a capo del suo Paese o delle sue forze armate, ma che comunque sa anche lui come far tintinnare quelle famose chiavi del processo di pace. Scomodo anche per tutti coloro che si ostinano a credere che la guerra in Afghanistan sia «giusta», quando vedono che il Pakistan ritira i battaglioni dalla frontiera afghana per spiegarli contro il Paese vicino, la democratica India (da sempre il «vero» nemico del Pakistan).
La situazione in Siria e in Pakistan è molto più simile di quanto si abbia interesse a denunciare. In entrambi i casi, esiste uno Stato dentro lo Stato che esercita il vero potere parallelo e dispone delle forze di riserva. In entrambi i casi, il «laicismo » ufficiale è una maschera (come lo era per il partito Baath in Iraq) per l'appoggio concesso dallo Stato a gruppi criminali teocratici e transfrontalieri come Lashkar e Hezbollah. In entrambi i casi, una quantità sconosciuta di armi nucleari è a disposizione della repubblica ufficiale (delle banane), come pure — con ogni probabilità — nelle mani di vari elementi all'interno dello stato ufficioso, criminale e terrorista. (La Siria non ha recriminato davanti alle Nazioni Unite per il recente raid israeliano che ha distrutto i suoi impianti nucleari segreti, né ha sollevato clamore: un fatto cruciale, questo, sfuggito all'attenzione dei media). Nelle attuali circostanze, assai drammatiche e in via di peggioramento, forse si capisce perché preferiamo rifugiarci nel dubbio e consolarci con le illusioni, come l'ingenuo interrogativo sollevato dalla giornalista se gli ebrei fossero stati l'obiettivo dell'attacco o se si fossero trovati casualmente, e per il massimo della sfortuna, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tutto ciò potrebbe apparire anche vagamente comico, se il pericolo non puntasse dritto contro le nostre strade e le nostre città.

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