Il problema delle moschee che promuovono la jihad esiste l'analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 05 dicembre 2008 Pagina: 3 Autore: Carlo Panella Titolo: «Perché sulle moschee la Lega ha buone ragioni da vendere»
Da pagina 3 del FOGLIO del 5 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di Carlo Panella "Perché sulle moschee la Lega ha buone ragioni da vendere":
Roma. “Se la moglie non si sentisse di continuare la convivenza matrimoniale, può ottenere il divorzio offrendo al marito una compensazione materiale”: queste parole, più di qualsiasi altra motivazione, spiegano ad abundantiam perché la Lega ha tanta ragione nel merito – quantoi torto nel metodo – nel chiedere una moratoria per la apertura di moschee in Italia. Considerare la donna una semi schiava che deve riscattare con una “compensazione materiale” la propria libertà – là dove il marito può invece ripudiarla a voce, sottraendosi all’obbligo degli alimenti – è infatti l’architrave del diritto di famiglia che la più grande organizzazione musulmana, l’Ucoii, vorrebbe introdurre nel nostro paese. E’ parte infatti del commento al Corano più diffuso in Italia di Hamza Piccardo – sotto “revisione e controllo dottrinale dell’Ucoii”, di cui è fondatore e dirigente – e spiega l’allarmante sostanza del problema. L’Islam, a differenza di tutte le altre religioni e ideologie praticate in Italia, pretende di non potere essere praticato dai suoi fedeli, se non all’interno di una cornice normativa e legale – la shari’a – che viola alcuni capisaldi della nostra Costituzione. Al di là del tema – reale e allarmantissimo del radicamento di cellule terroriste nelle moschee italiane – il vero problema che pone la stragrande maggioranza delle moschee in Italia è il carattere non solo di organizzazioni religiose, ma soprattutto di organizzazioni politiche che mirano a sovvertire i principi costituzionali. Caratterizzazione politica peraltro rivendicata dalla stessa Ucoii con i suoi reiterati proclami contro la partecipazione del contingente italiano alla Coalition of Willing in Iraq e ai suoi deliranti proclami contro Israele. Il tutto per di più, con evidenti venature di antisemitismo, come si legge sempre nel Commento al Corano dell’Ucoii, là dove si legittima (pagina 154, dell’edizione del 2006) l’imposizione della jiza – la tassa di sottomissione dovuta ai musulmani – quale castigo agli ebrei per aver trasgredito il patto con Allah. In Italia, dunque, molte moschee, la maggioranza sono strutture di culto, ma anche e soprattutto sedi di organizzazioni politiche per organizzare cittadini stranieri in vista di uno stravolgimento dei principi basilari del dettato costituzionale e per propagandare un antisemitismo con base teologica. Si può negare quanto si vuole lo stretto legame che questo ha con gli innumerevoli episodi in cui in questo humus ha prodotto proselitismo in organizzazioni terroristiche, ma l’evidenza della relazione è invece stretta e palpabile. Una concezione jihadista della famiglia, per di più antisemita, può – ripetiamo: può – ben facilmente irradiarsi in una concezione jihadista della vita, dello Stato, delle relazioni tra popoli. Naturalmente non tutte le moschee – in primis la grande moschea di Roma – hanno questo precipuo carattere politico, ma sicuramente così è per le moschee che fanno capo all’Ucoii. E questo carattere tutto politico, dell’attività e del proselitismo che puntano a ottenere una sostanziale eversione di passi essenziali della Costituzione, è proprio la ragione per cui non si è mai giunti a una Intesa con le organizzazioni islamiche. L’Ucoii e altri, infatti, pretendevano che l’Intesa prevedesse il diritto per i musulmani di applicare le norme della shari’a, in deroga ai codici italiani. Va detto che la Lega sbaglia nel presentare ogni mese un provvedimento diverso sul tema (le classi di inserimento, la chiusura dell’immigrazione, ecc.) e che è indispensabile invece un quadro d’intervento organico e complessivo. Ma è evidente che sino a quando il Parlamento non avrà regolato questo complesso, aspetto bivalente e politico delle moschee, i duecento e passa luoghi di culto musulmani già operanti, frequentati solo dal cinque per cento dei musulmani italiani, sono più che sufficienti a garantire l’essenziale diritto alla libertà di religione. “… Se temete di non potere osservare i limiti di Allah, allora non ci sarà colpa se la donna si riscatta…” (sura II, v. 229)
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